Bella Takushinova

«Che nel paese delle Arti fossero dichiarati i primi arazzi del Mondo»: sugli arazzi ‘inimitabili’ dell’Accademia di Francia spediti da Domenico Venuti per il Palazzo Reale di Napoli


bella.takushinova@unicampania.it
DOI: 10.7431/RIV25052022

I primi sei mesi del 1799, che segnarono la breve esistenza della Repubblica Napoletana, ebbero un impatto notevole su tutti gli aspetti della vita dell’ex Regno. Tra le conseguenze, tutt’oggi scarsamente indagate, della conquista francese e della successiva restaurazione dei Borbone spicca la questione delle cosiddette “spoliazioni”, ossia dei furti di beni, tra cui opere d’arte, “trafugati” dalle truppe e dai funzionari francesi e portati via da Napoli 1. Per quanto riguardò gli oggetti artistici che dovevano essere trasportati in Francia, tale saccheggio era così giustificato in una lettera inviata a Napoleone nel 1796 da alcuni esponenti del comitato esecutivo del Direttorio (1795-1799), quali Lazare Carnot, Étienne-François Le Tourneur e Louis-Marie de La Révellière-Lépeaux:

Le Directoire exécutif est persuadé, citoyen général, que vous regardez la gloire des beaux-arts comme attachée à celle de l’armée que vous commandez. L’Italie leur doit en grande partie ses richesses et son illustration ; mais le temps est arrivé où leur règne doit passer en France pour affermir et embellir celui de la liberté. Le Muséum national doit refermer les monuments les plus célèbres de tous les arts, et vous ne négligerez pas de l’enrichir de ceux qu’il attend des conquêtes actuelles de l’armée d’Italie, et des celles qui lui sont encore réservées. Cette glorieuse campagne, en mettant la République en mesure de donner la paix à l’éclat des trophées militaires le charme des arts bienfaisants et consolateurs 2.

A Napoli i menzionati furti “giacobini” ebbero inizio nell’inverno del 1799 con l’invasione della capitale borbonica da parte dei militari d’oltralpe, preceduta dalla fuga di Ferdinando IV e della sua corte a Palermo 3. L’interesse dei francesi per le ricchezze artistiche del Regno non veniva affatto mascherato 4. Prima di giungere a Parigi, le casse con le opere d’arte napoletane furono inviate a Roma, all’epoca anch’essa sotto il controllo delle truppe francesi. Una volta giunte nella Città Eterna, gli oggetti artistici venivano nascosti dai francesi in luoghi, quali, ad esempio: i magazzini del porto di Ripa grande, S. Luigi dei Francesi o Palazzo Farnese 5. Per riparare il danno causato da tali saccheggi Ferdinando IV incaricò già nell’autunno 1799 un agente per il recupero di quelle opere trafugate, molte delle quali si trovavano ancora a Roma. Il caso volle che il ruolo chiave in questa delicatissima vicenda fosse giocato dal marchese Domenico Venuti (1742-1814).

Originario di Cortona, uomo colto con profonde conoscenze storiche e archeologiche nonché ben preparato sul piano scientifico e artistico, Venuti venne incaricato nel 1779 di dirigere la Real Fabbrica Ferdinandea. La sua ventenne attività diede un grande impulso creativo di matrice neoclassica alla produzione della manifattura reale, ma nel 1799, “sospettato di collusione coi Francesi”, Venuti venne destituito dell’incarico 6. Nel luglio dello stesso anno, disoccupato e desideroso di recuperare l’antico rapporto che una volta legò la sua famiglia alla dinastia reale 7, egli chiese al sovrano il permesso di partire per Roma e recuperare tutto ciò che poteva ancora essere restituito al Regno 8. La richiesta fu soddisfatta e Venuti, insieme con la moglie e con il figlio Ludovico, si stabilì nella città papale, dove ebbe occasione di frequentare l’ambiente artistico più accorsato 9. La sua prima missione romana, per cui partì «risoluto o di vincere, o di morire» 10, ebbe inizio nell’ottobre del 1799. Egli organizzò sei grandi spedizioni di opere d’arte nell’arco di nove mesi sulle quali ci ha lasciato interessanti testimonianze. L’11 ottobre del 1799 ecco quanto riferiva al Direttore delle Finanze, di Casa Reale e di Guerra e di Marina, Giuseppe Zurlo (1757-1828):

Eccomi qui in Roma dopo un penosissimo viaggio, mancato di tutto. Però compensato dal poter dare a V.E. la lieta notizia che la mia venuta qui e la mia permanenza sarà del massimo utile ai Reali Musei, ed alla gloria della M.S. Sono infinite le cose che potremo riacquistare, e tutti i monumenti di scultura di prima classe sono a mia disposizione 11.

Già vado riconoscendo tutta la scultura Farnesiana rapita da Napoli e posso dire che toltane qualche piccola bagatella tutto esiste 12.

Durante quel periodo sia l’incaricato della Casa borbonica sia il Tenente Generale Diego Naselli (1754-1832), il suo aiutante a cui fu affidato il trasporto marittimo degli oggetti d’arte dal porto di Fiumicino a quello di Napoli, inviarono delle relazioni molto dettagliate all’appena menzionato Zurlo e al generale Sir John Francis Edward Acton (1736-1811), segretario di Stato, meglio ricordato in Italia come Giovanni Acton, che all’epoca si trovava a Palermo insieme con la coppia reale. L’energica attività, incredibilmente proficua, di Venuti portò quasi subito dei frutti notevoli: la restituzione di centinaia di pezzi preziosi tra quadri, sculture nonché varie “antichità” pervenute dagli scavi di Ercolano e di Pompei; un’attività che è stata oggetto di alcune indagini importanti 13.

Un aspetto che potrebbe confermare la volontà di Venuti di servire la corona borbonica fu l’acquisto delle opere che non erano mai appartenute al Regno di Napoli. Pienamente cosciente dell’instabilità politica del momento, Venuti seppe sfruttare al massimo il tempo e le risorse economiche datogli dal sovrano. Ecco quanto riferisce ad Acton in una delle sue comunicazioni in merito alla contingenza favorevole non solo al recupero dei pezzi trafugati, ma anche all’acquisto delle nuove opere d’arte:

Non posso trattenermi di replicare a V.E. quello che già da tre mesi feci presentare a S.E. il Direttore Zurlo che mai vi è stato tempo più opportuno in Roma da fare degli acquisti per mobili preziosi da ornare appartamenti come adesso e con prezzi molto moderati, stante le passate ad attuali calamità in cui si ritrovano gli artefici.

Orologi di metallo dorato, di pietre dure e di altre materie, vasi di marmi e di alabastri orientali ornati in metalli, candelabri dell’istessa materia, ornamenti per gabinetti, caminetti di esquisito gusto, di marmi all’Etrusca, alla Greca, all’Egizia, promiscuati con metalli, tavole di alabastri e marmi preziosi, ed altri ornamenti del più elevato gusto, per sale, gallerie, gabinetti.

Le dilapidazioni usate dai Francesi nei Reali Edifici hanno ridotti questi intieramente nudi, onde mi sembra una speculazione economica di pensare ad acquistare ora quello che in seguito nei prezzi sarà il doppio incomodo 14.

Così una storia curiosa è quella dell’acquisto di alcuni arazzi appartenuti all’Accademia di Francia a Roma e portati a Napoli nel 1800. Oltre a testimoniare l’eccellente gusto artistico di Venuti, la vicenda fa pensare all’ironia del destino nei confronti dei “saccheggiatori” francesi; in quanto si trattò di «trafugare» i tesori artistici tessuti a Parigi per portarli nella capitale borbonica. Ma, come si suol dire, «in guerra tutto è lecito».

Nelle lettere inviate al generale Naselli e al conte Giuseppe de Thurn, comandante della Real Marina di Napoli (1799-1809), risalenti al 7 gennaio del 1800 Venuti parla dei ventun arazzi della rinomata Manufacture des Gobelins, inviati all’Accademia di Francia a Roma sotto Luigi XV e Luigi XVI e acquistati dallo stesso agente borbonico per il Palazzo Reale di Napoli (Fig. 1) 15. Va ricordato che questi non erano i primi manufatti della Gobelins ospitati tra le mura del Palazzo Reale di Napoli. I primi pezzi della fabbrica parigina che arrivarono nella dimora reale, come dono del Nunzio Apostolico alla corte di Napoli nel 1719 e dedicati alla celebrazione del Re Sole, furono i quattro arazzi della serie Les Eléments, tessuti da Louis Ovis de la Tour (1703-1734) su cartoni di Charles Le Brun (1619-1690) tra il 1703 e il 1712 16. Oggi gli arazzi raffiguranti l’Allegoria del Fuoco e l’Allegoria dell’Aria sono collocati nella Prima Anticamera, detta anche Sala Diplomatica (sala II), mentre altri due (l’Acqua e la Terra) sono presenti alle pareti della Sala degli Ambasciatori (sala VIII). A Napoli l’arte dell’arazzeria trovò la propria applicazione pochi anni dopo l’arrivo nel Regno di Carlo di Borbone, con l’istituzione della Real Arazzeria inaugurata nel 1737 17. L’eccellenza della tappezzeria napoletana, stimolata poi dal rapido avanzare della Reggia di Caserta e degli altri siti reali, si manifestò attraverso le note serie di arazzi, tutt’oggi esposti in alcune sale del Palazzo Reale 18.

Per quanto riguarda gli acquisti romani del Cav. Venuti, egli giustifica il prezzo “esorbitante” 19 pagato per gli arazzi da «L’arte con la quale sono tessuti» che è «tutta diversa dagli arazzi Italiani, ed è inimitabile, come anche il vigore delle tinte delle lane, e la loro resistenza, è stata sempre per noi incognita» 20. Riconoscendo l’eccellente esecuzione dei pezzi da lui trovati nonché la differenza netta nei toni e nelle cromie tra i manufatti parigini e quelli napoletani, Venuti conclude: «Questi arazzi sono stati, sono, e saranno sempre un portento dell’arte, e l’ammirazione universale; e Roma che fin ora non aveva saputo il loro destino, e stupefatta, che ritornino in luce, sotto il Cielo Italiano» 21.

In base alla relazione dell’agente borbonico, questi venne a conoscenza degli arazzi che erano stati nascosti a Roma in una «casa terza» da un certo «Commissario Theveren», grazie allo zelo di una «spia ben pagata e ben istruita» 22. Lo stesso Venuti precisa che detti manufatti appartenevano all’Accademia di Francia e erano stati donati del Re Sole all’Istituzione «per intercessione di Mon.r Netojen, Direttore della suddetta Accademia da circa trent’anni» 23. Per ovvie ragioni il nome della spia non viene menzionato nella corrispondenza, possiamo tuttavia risalire all’identità, ben più intrigante, ossia quella del misterioso commissario “Theveren”. Con un alto grado di probabilità possiamo pensare che colui che si è adoperato nel tentativo di salvare gli arazzi francesi potrebbe essere stato Charles Thévenin (1764-1838). Un pittore francese neoclassico, già vincitore del prestigioso Prix de Rome nel 1791 24, che da un pensionato dell’Accademia sarebbe tornato a Roma in veste di direttore dell’Istituto nel 1816 (Fig. 2). Ricordato principalmente per le opere celebrative delle gesta militari di Bonaparte, tra il 1797 e il 1804 Thévenin si trovava a Roma insieme con un illustre connazionale, vale a dire Jean-Baptiste Wicar (1762-1834), il futuro direttore dell’Accademia di Belle Arti a Napoli (1806-1809). In quegli anni i due francesi avevano il compito di fornire al governo di Parigi informazioni sulle attività dell’Accademia di Palazzo Mancini, compreso il controllo del suo patrimonio artistico 25.)).

Gli arazzi trovati da Venuti erano costituiti da quattro serie. I primi quattro pezzi riportati nella sua nota e appartenenti alla serie più recente raffiguravano «l’istoria di Mardoccheo», ossia storie tratte dal testo biblico del Libro di Ester 26. Più precisamente i soggetti descritti da Venuti riguardavano le quattro scene note come: lo Svenimento di Ester e il Disprezzo di Mardocheo realizzati da Pier-François Cozette, direttore della Manifattura dei Gobelins dal 1769 al 1773; il Trionfo di Mardocheo e la Toeletta di Ester, eseguiti da Michel Audran (1701-1771) 27. La prima serie di quattro arazzi fu realizzata su cartoni di Jean-François de Troy (1679-1752) tra il 1736 e il 1742 28, mentre le tappezzerie destinate per l’Accademia furono eseguiti tra il 1771 e il 1775 presso gli atelier di Cozette e Audran (Figg. 34) 29. Gli arazzi furono spediti a Roma nel 1776 a seguito dell’odine del 26 ottobre dello stesso anno:

Je viens, Monsieur, de donner les ordres nécessaires pour tirer de la manufacture des Gobelins et envoyer à Rome les quatre plus belles pièces d’une tenture de l’Histoire d’Esther, afin d’en décorer la salle du trosne à l’Académie de France, il m’a paru convenable de donner aux Romains une idée de ce que notre manufacture des Gobelins est en état d’exécuter, et c’est dans sette vûe que j’ai choisi de préférance cette tenture comme une des plus belles 30.

La serie è nota soprattutto per il carattere secolare della rappresentazione del testo biblico. La connotazione quasi fiabesca e melodrammatica, per cui l’artista venne più volte stroncato dalla critica moderna 31, venne definita da Pascal-Francois Bertrand come segue:

Optando per un’impaginazione teatrale, sfarzosa e movimentata, che rinvia all’arte di Rubens, e per una qualità cromatica derivata da Van Dyck, il pittore, allora direttore dell’Accademia di Francia a Roma, scelse di dipingere un’eroina mondana, le cui aggraziate movenze e la fresca tonalità dell’abbigliamento fanno dimenticare il destino del popolo ebraico che è posto nelle sue mani 32.

Il secondo gruppo di sei arazzi inviati a Ferdinando IV da Venuti rappresentava le «quattro parti del Mondo» e fu indubbiamente la famosa serie delle Tenture des Indes, originariamente costituita da otto soggetti 33 e tessuta sempre presso la manifattura dei Gobelins tra 1687 e il 1730 34. Gli arazzi delle Indie furono eseguiti sui cartoni degli olandesi Albert Eckhout (1610ca-1665) e Frans Post (1612-1680) 35. Nel 1679 queste rappresentazioni esotiche del Brasile furono spedite a Luigi XIV dal governatore generale della Compagnia olandese delle Indie occidentali negli anni 1637-1644, Giovanni Maurizio di Nassau-Siegen (1604-1679), come dimostrazione delle ricchezze naturali esorbitanti della regione, un dono eloquente al monarca noto per le sue ambizioni espansionistiche 36.

È doveroso precisare a proposito degli acquisti di Domenico Venuti che fu il duca d’Antin, il soprintendente ai Bâtiments du Roi tra il 1708 e il 1736, a soddisfare la richiesta dell’allora direttore Nicolas Vlueghels (1668-1737) di abbellire con gli arazzi della Gobelins l’Accademia di Francia, che nel 1725 si trasferì dal Palazzo Capranica al Palazzo Mancini, dove « Les murs sont blancs les pièces sont vides le palais est vast » 37. Sulla sollecitazione del duca a partire dal 1726 i superbi arazzi, dimostrazione palese dell’eccezionalità della tappezzeria francese, cominciarono ad essere esposti tra le mura della prestigiosa Istituzione. Infatti, il duca d’Antin scriveva sulla spedizione degli arazzi: « Je doute fort qu’il y ait dans Rome un palais mieux meublé» 38.

Secondo la descrizione fornita da Domenico Venuti, due degli arazzi delle Indie raffiguravano le figure umane al vero in costumi tradizionali, mentre gli altri quattro avevano come soggetto piante e animali esotici. Nella Nota degli arredi inviati a Roma per l’Accademia di Francia da parte del duca d’Antin nel 1726 sono indicati dieci pezzi 39. La collezione originale dovette subire varie sostituzioni nel corso del Settecento. Infatti, verso la fine del secolo, l’Accademia possedeva “non meno” di trentasei pezzi degli arazzi della Gobelins, inclusi quattro delle Storie di Ester e nove delle Indie 40. A base della lettera di Venuti possiamo dedurre che tra i pezzi destinati ai Borbone di Napoli vi fossero l’Indiano a cavallo e il Cacciatore indiano, entrambi eseguiti presso l’atelier di Le Febvre, per quanto riguarda le figure umane, e i Due tori, l’Elefante ed il cavallo isabella 41 (De La Tour), il Re portato dai due mori e la Lotta degli animali (Jans), che si dovevano intendere per il gruppo di quattro arazzi dal soggetto animalistico (Figg. 5678910).

Oltre alle serie appena citate, Venuti ebbe modo di inviare a Napoli «Altri quattro Arazzi alto stile di Raffaello; cioè espressi con figure ornate, e sublime Archidettura (sic.) con sorprendenti bordure all’intorno» 42. Qui bisognerebbe ricordare l’ammirazione dei francesi per le opere di Raffaello che portò i soprintendenti dei Bâtiments du Roi, prima Jean-Baptiste Colbert (1664-1683) 43 e poi Francois Michel Le Tellier de Louvois (1683-1691), di far realizzare dai pensionnaires dell’Accademia di Francia a Roma una serie di copie delle Stanze del Vaticano 44. Così già negli anni 1664-1673 troviamo nell’Urbe un folto gruppo di borsisti che si dedica all’esecuzione meticolosa delle copie, cartoni e tele, che, una volta inviati a Parigi, sarebbero serviti da modelli per gli arazzi della Gobelins. Tra questi vi furono: Charles de la Fosse (1636-1716), allievo di Charles Le Brun; Pierre Mosnier (1641-1704), Jean-Baptiste Corneille (1649-1695), François Verdier (1651-1730), Bon de Boulogne (1649-1717) 45. Nel 1675-1680 fu Louis de Boulogne II (1654-1733), vincitore del Prix de Rome nel 1672 nonché futuro direttore dell’Académie royale de peinture et de sculpture, ad eseguire alcune copie degli affreschi più noti dell’Urbinate tra cui, ad esempio, la Scuola di Atene e la Disputa del Sacramento 46. I quattro arazzi menzionati dal Cav. Venuti avrebbero potuto essere, a quanto possiamo giudicare dalla frase chiave “figure ornate”, alcuni pezzi della serie degli otto arazzi a basso liccio nota come Triomphes des Dieux, inviata a Roma dallo stesso Antin il 14 luglio 1731 per sostituire un’altra serie che aveva precedentemente spedito nell’Urbe, vale a dire Histoire du Roi 47. La serie è nota anche sotto l’appellativo degli Arabeschi dovuto appunto all’imitazione dello stile dei noti affreschi della scuola del Sanzio delle Logge vaticane. I disegni preparatori per la Gobelins furono realizzati ancora nel 1685 dal seguace di Poussin, Noёl Coypel (1628-1707). I Trionfi degli Dei spediti a Roma comprendevano le composizioni dedicate a Minerva, Venere, Apollo, Bacco, Marte, Ercole, alla Religione e alla Filosofia 48. Tre dei pezzi destinati al Palazzo Reale di Napoli, secondo la stessa lettera di Domenico Venuti, furono eseguiti da “Lacroix” e il quarto da “Lebrien”. La “collezione” dell’agente toscano poteva dunque essere costituita da tre arazzi dedicati a Minerva, Marte, Ercole o alla Religione, di cui esempi oggi si trovano presso il Mobilier National a Parigi (Figg. 111213) 49; l’attribuzione invece del quarto pezzo a Charles Le Brun risulta discutibile in quanto la serie originale non comprendeva il suo atelier e quindi si poteva trattare di uno degli arazzi eseguiti da Le Blond, oppure di un pezzo appartenete alla serie di cui si tratterà qui di seguito.

Infine, ai quattro pezzi delle Storie di Ester, ai sei arazzi delle Vecchie Indie e ai quattro della cosiddetta serie delle Arabeschi dovevano essere aggiunti altri che Venuti menziona nella propria relazione come «Sette Arazzi per uso di portieri espressi con vari emblemi, armi della Francia, attrezzi Militari, e bellissime bordure all’intorno» 50. Nella già citata lettera del duca d’Antin del 2 agosto 1726, contenete tutti gli oggetti inviati all’Accademia su richiesta di Vlueghels, vengono menzionati cinque portiere ad arazzo della serie Portières du Char e cinque della Portiéres de Mars 51. Ecco quanto scrive Muaurice Fenaille sulla serie di Portiere di Marte eseguita presso l’atelier di Le Brun tra il 1721-1723: « […] représentant au milieu des armes de France et de Navarre 52 et la devise de Louis XIV 53 dans un cartouche porté sur un Char de triomphe, accompagné de deux trophées d’armes ; la bordure est un guillochis qui enferme des fleurs de lys et des roses couleur de bronze » 54. La seconda serie invece venne descritta come segue: « Au-dessus d’un char, dont on voit les roues de face, est placé un grand écusson aux armes de France et de Navarre, au milieu d’un trophée de drapeaux, d’armures et d’armes de toutes sortes. Deux enfants, placés sur les corniches du haut de la composition, soutiennent des globes. Bordure de fleurs de lis alterant avec des rosaces dans un enroulement imitant le bronze doré » (Fig. 14) 55. Serie molto simili tra di loro per il soggetto bellico e assai vicine alla descrizione del Cav. Venuti.

Secondo la nota di Venuti, gli arazzi furono bordati da una «magnifica bordura e fregi con l’Armi Borboniche 56 che trionfano in mezzo» 57. L’effetto provocato dagli oggetti della leggendaria tappezzeria parigina, inviati all’Accademia dal duca d’Antin, viene riportato nella lettera di Nicolas Vlueghels risalente al febbraio del 1727 58, in cui il direttore descrisse una scena di cui splendore difficilmente può essere immaginato:

Nous sommes à présent en plein Carnaval. Comme je l’ay déjà écrit à V. G. c’est une fonction ici, c’est une cérémonie qui s’an- nonce au son de la cloche. Il vient beaucoup de monde chez nous, et sûrement notre palais est le mieux paré du Cours et de tout Rome, soit pour le dedans ou pour le dehors. Le grand balcon est couvert de deux grandes pièces de tapisseries, l’une qui est le Coup de canon et lìautre S. M. aux Gobelins; les deux petits ont des pièces de fruits et des animaux des Indes, et les portière ux fenestres. On ne peut presque pas passer dans la rue, tant il s’arrête de monde à admirer ces belles tapisseries 59.

Più di settant’anni dopo la scena descritta, nel marzo del 1800, il Tenente Generale Diego Naselli invia ad Acton una lettera accompagnata dalla lunghissima Nota della terza Spedizione grande di Monumenti di Arti, e R. Manifatture appartenenti a S.M., già impossessati dai Francesi che il Cav.r Venuti spedisce da Roma in Napoli e che parte dal Porto di Ripa Grande il dì 28 Feb.o 1800. Tra decine di quadri, disegni, marmi farnesiani, erme, gessi e così via, una volta appartenuti prevalentemente al museo di Capodimonte, troviamo anche la cassa contenete gli arazzi menzionati:

Gran Cassa che contiene ventuno pezzi di Arazzi, quattro dei quali denotano l’Istoria di Mardocheo; altri quattro lo quattro parti del Mondo; altri due con figure che accompagnano li ultimi quattro; altri quattro di Arabeschi su lo stile di Raffaello con sette Portieri appartenenti a tutti li sudd.i Arazzi 60.

L’avvenuta consegna dei pezzi viene confermata da una lettera di Venuti stesso, composta qualche settimana dopo l’appena citata spedizione 61. In questa egli dichiara di aver trovato due arazzi di Gobelins, mancanti alla già spedita serie di “quattro parti del mondo” 62. Questi dovevano essere aggiunti agli altri raffiguranti la Storia di Ester ed essere quindi collocati nella stessa camera reale, la quale viene indicata da Venuti come la “Camera dei Mori”. Spicca l’interesse di carattere pragmatico di Domenico Venuti per gli arazzi delle Indie: la loro esoticità avrebbe reso la stanza – secondo l’espressione dell’agente – «singolarissima, giacché oltre l’eccellenza dell’arte, è uno studio naturale per le piante, ed animali delle due Indie, che veramente sono uno stupore» 63. Un’informazione importante fornita dalla stessa comunicazione sta nell’aver completato il numero degli arazzi per “quattro Camere grandi” del palazzo partenopeo.

Ma l’ambizioso piano del Cav. Venuti di abbellire le mura del Palazzo Reale con gli splendidi pezzi della tappezzeria parigina non si sarebbe mai realizzato. L’agente di Ferdinando IV capì che il tempo che gli era concesso per raccogliere gli oggetti trafugati era limitato e la sua attività, quindi, risultava talvolta frenetica e attirava non poca attenzione. Egli stesso scriveva a Zurlo da Roma: «[…] a malapena che si muove una spilla, in un istante diventa il discorso di tutte le botteghe e caffè della Città». E aggiungeva: «V.E. saprà ancora meglio di me che a Roma […] i Napoletani non sono amati» 64. Verso l’autunno del 1800, oltre a Napoli e ai francesi, un’altra parte sarebbe entrata in gioco, ossia Roma stessa in persona del papa Pio VII (1742-1823). L’approccio talvolta eccessivamente intraprendente di Venuti relativo all’acquisto delle opere d’arte e al loro immediato passaggio nelle mani del re, costrinse il Cardinal Segretario di Stato, Ercole Consalvi (1757-1824) 65, di comporre una supplica ad Acton nell’ottobre del 1800:

Presto gli ordini che per un seguito delle Sue Regie beneficenze verso questo Stato fece promulgare con Dispaccio del 4 Maggio la Maestà Sua, vietando che dopo le sempre luttuose perdite di questa infelice Capitale di ogni genere di monumenti d’arte nella occasione delle passate vicende, potessero essi per qualunque modo o oggetto essere più estratti dallo Stato, questo Governo non può non credere che abusi dell’augusto Nome del Re che si fa lecito di estrarre i Monumenti sudd.i con tanto danno di questo Paese infelicissimo. […] La Maestà del Re conosce bene, che la riconoscenza del Governo non ha limiti per non fare di buon grado qualunque sacrificio, quando sappia che una cosa è del piacere di S.M. Ma che il Sig.r Cav.r Venuti declinando dalle regole fissate per ordine di S.M. medesima tolga da Roma gli oggetti d’Arte, e li tolga nell’accennato modo, converrà sicuramente V.E. che non può non recar dispiacere ed amarezza, vedendo così tanto accrescersi il vuoto, in cui dopo tante perdite disgraziatamente ora si trova questa infelice Città 66.

Un’ulteriore svolta decisiva nella restituzione e nell’acquisto di opere d’arte che effettuava a Roma l’agente reale avvenne a seguito della firma dell’accordo di pace entrato nella storia come il Trattato di Firenze. Fu firmato nell’omonima città da Napoleone Bonaparte e Ferdinando IV il 28 marzo 1801 a seguito della vittoria francese della cosiddetta Guerra della seconda coalizione. Il documento servì da pretesto ufficiale per la lettera dell’incaricato del Governo Francese «di raccogliere gli oggetti di belle arti di pertinenza della nominata Repubblica, tolte in Roma dall’armata Napoletana» 67. Come responsabili principali delle trattative della restituzione delle opere d’arte al governo francese furono incaricati Felice Nicolas da parte di Ferdinando IV e l’ambasciatore francese presso lo Stato Pontificio ed agente per gli affari ecclesiastici, Charles-Jean-Marie Alquier 68.

Nonostante l’approvazione del progetto della restituzione delle opere d’arte da Ferdinando IV, questa vicenda non si svolse senza impedimenti, a quanto possiamo giudicare dalla seguente nota del Cav. Carlo Ramette, corrispondente della corte di Napoli a Roma:

Sono circa dieci giorni, che è giunto in Roma un certo Mr. Fourny, Amministratore del Museo a Parigi, spedito dal Primo Console Bonaparte per trattare con questo Governo di affari di belle Arti, e per diverse cose che si devono trasportare in Francia, ma che fin’ora non sono stati di accordo per le stravaganti pretensioni dalla parte de Francesi, e per cui il Governo Pontificio a spedito a Parigi un Corriere espressamente. L’istesso Mr. Fourny parte poi domani per Napoli e con simile commissione. […] Fourny era in Roma prima della Rivoluzione da me conosciuto e non sembra uno di più cattivi Francesi, e attesta di essere molto facile e ragionevole 69.

Si tratta dell’architetto neoclassico, Léon Dufourny (1754-1818), che dal gennaio 1797 ricoprì la carica dell’amministratore del Muséum central des arts de la République, il futuro Louvre. Si sa che Dufourny, che aveva per anni svolto il ruolo dell’intermediario culturale tra l’Italia e la Francia, tornò nella città papale nel 1801 in veste di commissario della Repubblica incaricato dell’acquisizione di oggetti d’arte. Fu suo il merito di aver portato in Francia la famosa Pallade di Velletri, il pomo della discordia fra l’Italia e la Francia, nonché l’acquisizione della superba collezione di sculture del palazzo Giustiniani.

La delicata missione dell’agente francese ebbe successo: la corte borbonica dovette pagare seicentocinquanta piastre romane a Joseph-Benoît Suvée, direttore dell’Accademia di Francia (1792-1807), per alcune opere d’arte che, grazie all’attività di Domenico Venuti e Diego Naselli, si trovarono nel Regno 70. Contrariamente a quanto accadde agli oggetti artistici portate via da Napoli e che non fecero più ritorno in Italia 71, il destino degli arazzi della Gobelins sarebbe stato ben più felice. A seguito delle numerose sollecitazioni inviati dal Governo francese ai funzionari di Ferdinando IV a partire dall’autunno del 1800 per la restituzione delle serie di Ester e delle Indie 72, esse tornarono all’Accademia nel settembre del 1802 per abbellire le pareti della nuova dimora dell’Istituzione, la sua attuale sede, Villa Medici 73.

Ancora oggi alcuni degli arazzi, tra cui le Storie di Ester, superbi esempi della tappezzeria francese al culmine del suo splendore, una volta diventati il motivo della disputa tra i due Stati negli anni che avrebbero segnato l’inizio dell’epoca contemporanea per la storia europea, sono visibili presso le sale del maestoso complesso cinquecentesco (Fig. 15). Per quanto riguarda le magnifiche Tentures des Indie, diventate testimoni dalla gloriosa plurisecolare storia dell’Académie de France à Rome, fino a poco tempo fa esse furono esposte nel Grand Salon della Villa (Fig. 16). I pezzi, una volta tessuti con l’intento di provocare non solo lo stupore ma anche l’interesse utilitaristico e quasi scientifico per lo studio della natura, elemento intrinseco della cultura dell’età dei Lumi 74, recentemente sono diventati infelici vittime della cosiddetta cancel culture in quanto, secondo alcuni borsisti dell’Accademia, gli arazzi rappresentano «una cultura visiva imperialista che, attraverso uno sguardo carico di esotismo, celebra la violenza coloniale europea, la schiavitù» 75. L’accusa non è rimasta senza risposta. Una lettera collettiva, scritta in difesa degli arazzi, e più ampiamente in difesa della storia dell’arte e dei suoi metodi, e firmata da centosettanta studiosi da tutto il mondo, chiarisce che la serie:

[…] n’illustrent pas l’esclavage, mais au contraire une prestigieuse ambassade envoyée par le roi du Congo, au Brésil (partie des Indes occidentales), ambassade qui fut rencontrée et dessinée en 1640 par une expédition scientifique hollandaise conduite au Nord du Brésil à la fin du règne de Louis XIII. […] Nous dénonçons cette nouvelle manifestation de ce que les Américains appellent cancel culture, qui ressemble de plus en plus à tous les régimes qui ont voulu expulser, purifier, expurger les œuvres d’art de quelques natures qu’elles soient, et nous soutenons le refus qui a été opposé à cette atterrante demande 76.

A noi invece resta solo immaginare la magnificenza delle pareti del Palazzo Reale di Napoli che, grazie all’infaticabile zelo del Cav. Domenico Venuti, avrebbero potuto essere ricoperte dalle tappezzerie “inimitabili”, spediti a Roma «a solo fine che nel Paese delle Arti fossero dichiarati i primi Arazzi del Mondo, e per tali effettivamente hanno sostenuto il loro credito» 77.

Appendice documentaria

Documento A

ASNa, Ministero degli Affari Esteri,

Affari diversi della prima segreteria di Stato, 1733-1862

Oggetti di Belle Arti, 1776-1799

busta 4292, inc. 49, ff.n.n

Eccellenza

Ho l’onore di compiegare a V.ra Ecc.za una Lettera scrittami dal Sig.r Cavalier Venuti, con la quale mi acclude una Nota contenente la descrizione degli Arazzi già appartenenti all’Accademia di Francia in Roma, e nascosti dal Commissario Theveren in una Casa particolare, e ritrovati da detto Cavaliere, il quale col suo istancabile (sic) zelo nel recupero degli oggetti di Arte, dà continuamente le più chiare riprove del suo attaccamento alla Corona, come L’Ecc.za V.ra si compiacerà anche di rilevare dalla stessa di Lui Lettera. Prego pertanto V.E. di passarlo alla Sovrana intelligenza della Maestà Sua; e con l’ambito onore de’ suoi venerati comandi, passo ad ossequiosamente confermarmi

Dell’Ecc.za V.ra

Roma 7 Genn:ro 1800
Obblig:mo Serv.r vero
Diego Naselli

Sig.r Cavalier Acton
Palermo
Con fogi: I

Documento B

ASNa, Ministero degli Affari Esteri,
Affari diversi della prima segreteria di Stato, 1733-1862
Oggetti di Belle Arti, 1776-1799
busta 4292, inc. 49, ff.n.n

Eccellenza

Accludo a V.E. la dettagliata Relazione degli Arazzi già dall’E.V. veduti, e che si sono ritrovati in una Casa terza, ivi nascosti dal Commissario Theveren. Duole V.E. con tutta franchezza, e senza cadere in ombra di esagerazione, attestare alla M.S. che possiede un tesoro imprezzabile in tale materia; e che se i medesimi cedono nella composizione, e nei contorni diretti; i nostri le superano all’eccesso, e nel gusto delle tinte, e nella perfezione della manifattura, che a quei tempi era nella pura infanzia. Questi arazzi sono stati, sono, e saranno sempre un portento dell’arte, e l’ammirazione universale; e Roma che fin ora non aveva saputo il loro destino, e stupefatta, che ritornino in luce, sotto il Cielo Italiano.

Questi non comparivano alla curiosità del Pubblico se non che nel giorno dell’esposizione dei premi dell’Accademia di Francia.

Porzione di questi erano nell’Accademia dal tempo di Luigi XIV da Egli donati, gl’ultimi furono spediti da Luigi XVI per intercessione di Monr Netojen Direttore della suddetta Accademia da circa trent’anni; che rappresentano l’istoria di Mardoccheo; con l’intenzione di offuscare il credito di quelli di Raffaello; come in parte le riuscì. Il valore di questi ultimi fu venticinque mila Luigi d’oro; onde il costo di tutti in generale essendo vent’uno pezzi, e quelli quattro, è assolutamente esorbitante. Tanto i primi, che gl’ultimi sono della estinta Fabbrica di Coblenza; già molto decaduta prima della sua fine, onde tanto più si aumenta il loro merito imprezzabile. Sono tutti con fregi meravigliosi in mezzo di quali trionfa l’arme Borbonica; ed in fine sono tanto belli, coi tanto merito, che senza vederli, mai se ne potrà fare un’idea perfetta. L’arte con la quale sono tessuti è tutta diversa dagli arazzi Italiani, ed è inimitabile, come anche il vigore delle tinte delle lane, e la loro resistenza, è stata sempre per noi incognita.

Questi come di sopra ho detto furono trafugati dal Francese Commissario Theveren, e nascosti in una Casa terza; per rubarli alla Francia, ed all’Italia. Una spia ben pagata, e bene istruita, me ne ha cagionato l’acquisto per S.M. Io sono contentissimo, che mentre mi supponevo prossimo a terminare le mie operazioni, la fortuna mi ha suggerita la maniera di proseguire a farmi dei meriti con la M.S., e con l’E.V.

Questo è quanto devo umiliare a V.E. a cui resto facendo umilissima riverenza.

Di V.E.                                                                                             Piazza di Spagna 7 Gen.ro 1800

Diego Naselli Tenente Generale
Plenipotenziario di S.M. in Roma

Div.mo ed Obbl.mo Serv.tor V.o
Cavr: Domenico Venuti

Descrizione degli Arrazzi già appartenenti all’Accademia di Francia in Roma, e nascosti dal Commissario Theveren in una Casa particolare; ed indi ritrovati in Roma med:a per S.M. nostro Sovrano

Quattro Arazzi rappresentanti l’istoria di Mardoccheo; il primo la Regina Ester svenuta, che viene soccorsa dal Re Assuero; espresso con dodici figure grandi più del vero con Archidettura (sic), e Trono in fondo di Mon.r Cozzet alto pal. 18, e largo pal. 21 Romani.

Il secondo la Regina Ester, che si abbiglia nella sua camera per presentarsi al Re Assuero, suo sposo; espresso in nove figure grandi più del vero con campo di Archidettura in fondo di Mon.r: Odran alto palmi 18, e largo palmi 16 Romani.

Il terzo l’Adorazione d’Amanno, con Mardoccheo, che sdegna d’umiliarsi avanti di lui, espresse con ventitré figure ed un Cavallo con magnifico fondo di Archidettura di M.r Cozzet alto pal. 18, e largo pal. 22 Romani

Il quarto il Trionfo di Mardoccheo a Cavallo espresso con trentasei figure grandi al vero, sei cavalli ed una quantità di figure piccole, all’indietro magnifico fondo d’Archidettura di M.r Odran fatto nell’anno 1771. Alto palmi 18, e largo palmi 30 Romani. All’intorno delli sudd.i quattro Arazzi vi è magnifica bordura e fregi con l’Armi Borboniche che trionfano in mezzo.

Altri sei Arazzi che rappresentano le quattro parti del Mondo; espressi quattro di essi con animali, e piante, secondo le loro produzioni, ed altri due con figure grandi al vero del costume di quelle parti; il primo è di M.r Jans alto palmi 17, e largo palmi 14; altri due sono di Mon.r: Febvre alti palmi 17 e larghi palmi 18; il quarto è di Mon.r Lathour alto palmi 17 e largo palmi 12; ed in fine gl’ultimi due, sono di Autori incogniti alti palmi 17, e larghi palmi 11.

Altri quattro Arazzi alto stile di Raffaello; cioè espressi con figure ornate, e sublime Archidettura con sorprendenti bordure all’intorno: tre di essi di M.r Lacroix, ed il quarto di M.r Lebrien; uno di così è alto palmi 20, e larghi palmi 21 Romani.

Sette Arazzi per uso di portieri espressi con vari emblemi, armi della Francia, attrezzi Militari, e bellissime bordure all’intorno.

Tutta questa Grand opera si può dire il Trionfo di tale manifattura, giacché fu spedita in Roma da Luigi XIV, e da Luigi XVI a solo fine che nel Paese delle Arti fossero dichiarati i primi Arazzi del Mondo, e per tali effettivamente hanno sostenuto il loro credito.

Cav. Domenico Venuti 

Documento C

ASNa, Ministero degli Affari Esteri,
Affari diversi della prima segreteria di Stato, 1733-1862
Oggetti di belle arti 1776-1799
fascio 4292, inc. 71, f.n.n

Eccellenza

Esistono ancora gli ultimi spinti vitali. Fra i tanti celebri arazzi di Coblenza, che recentemente ritrovai, e che ora ho spediti a V.E. per S.M. mancavano due pezzi alla Camera della dei Mori; che contrasta in merito con quella dell’istoria di Mardoccheo. Ho ritrovato li due pezzi mancanti della lunghezza di palmi 16, e larghi palmi 12, ed alto palmi 11 – che sono sublimissimi come gli altri, ed erano impegnati per dodici piastre. Già sono in mio potere, e li manderò per prima spedizione. È certo, che non è questa piccola Fortuna, perché completo il numero, che dev’essere per guarnire quattro Camere grandi. Questa camera dei Mori, si rende anche singolarissima, giacché oltre l’eccellenza dell’arte, è uno studio naturale per le piante, ed animali delle due Indie, che veramente sono uno stupore.

Sono con ogni dovuto rispetto                                                                      Roma 4 Aprile 1800

Di V.E.

A S.E.
Il Sige D. Giuseppe Zurlo Dirre: dlla Re Sega di Napoli

Documento D

AFR, Directorat de Joseph-Benoît Suvée
Acquisition de la Villa Médicis, gestion des terrains, administration, restauration du palais Mancini
Pièce 20170113/2-121, fol. 191

Royal Palais Farnèse

Le Chevalier Ramette eût l’honneur de prévenir M.r Suvée qu’il avoit reçu de Naples deux caisses contenants les tapisseries appartenant a L’Académie de France, a fin qu’il  auvoit charge un des es affidés pour les recevoir, et Lui en donnant un recu pour de charge de sa commission, apres de la Cour, mais n’en ayant recu aucune réponse se evoit en devoir d’en passer le même avis  a M.r Suvée ; et il saisit cette occasion pour Lui constater les sentiments de l’estime la plus distinguée dont il es pénétré.

Rome ce 20 Septem. 1802

Mons.r Sevuée
Directeur de l’Ecole Française de Beaux Arts à Rome

Documento E

AFR, Directorat de Joseph-Benoît Suvée
Acquisition de la Villa Médicis, gestion des terrains, administration, restauration du palais Mancini
Pièce 20170113/2-128, fol. 199-199bis

Palais Royale Farnèse
ce 28 juilles 1803

Monsieur

Le Chevalier Ramette a l’honneur de remettre M.r Suvée  la lettre de Change de six cents cinquante piastres Romaines, qui Lui a été remise de Naples, pour faire le payment de la convention faite ensemble ; et dans le même temps prie M.r Suvée de Lui en donner un Vécu dans le quel soit exprimé, que c’est en payment et compensation complete de tous les objets d’art reclamis par le commissaire Du Fourny et appartenans à La République Française ; en déclarant même que par ce payment cette affaire et réclamation est entièrement terminèe.
En attendant le Chev. Ramette prie M.r Suvée d’être persuadé de toute la parfaite considération.

Mon.r Suvée Directeur del’Ecole Français des Beaux Arts à Rome

  1. A tal riguardo sono preziose le testimonianze di alcuni artisti stranieri, tra cui Philipp Hackert e Wilhelm Tischbein, che in quel periodo si trovarono a Napoli. Si veda R. Cioffi, Alcune considerazioni sulla produzione artistica napoletana durante la Repubblica del ’99, in Napoli e Repubblica del ’99: immagini della Rivoluzione, catalogo della mostra (Napoli, Castel Sant’Elmo, 13 dicembre 1989 – 28 gennaio 1990), Napoli 1989, pp. 39-51.[]
  2. Cit. da M.-L. Blumer, La commission pour la recherche des objets de science et d’art en Italie (1796-1797), in La Révolution française, vol. LXXXVII, Paris 1934, p. 69. Il loro punto di vista non fu universalmente condiviso. Così l’archeologo e l’architetto francese Antoine Quatremère de Quincy (1755-1849) ricordava che i frutti del genio umano, come il Colosseo, la Farnesina, la Cappella Sistina non potevano essere cancellati e, nel caso i francesi volessero davvero riscoprire il «grande antico» invece di spogliare Roma, essi dovrebbero «[…] n’exploite-t-elle les ruines de la Provence, […] interroger de nouvea débris de […] d’Arles, d’Orange […] et restaurer ce bel amphithéâtre de Nîmes […]». Cfr. A. Quatremère de Quincy, Lettres sur les préjudices qu’occasionnerait aux arts et à la science le déplacement des monuments de l’art de l’Italie, Paris 1796, p. 18.[]
  3. Secondo la testimonianza diretta di Philipp Hackert, pittore ufficiale della corte borbonica dal 1786 al 1799, i furti dei francesi furono preceduti da un saccheggio dei “lazzaroni” in una situazione di una “più grande anarchia”: «Non è mai successo a un uomo onesto e benintenzionato di desiderare tanto il nemico come in quel momento i francesi». Cit. da R. Cioffi, Alcune considerazioni …, 1989, p. 40.[]
  4. Così il comandante francese, generale Jean Étienne Championnet, che entrò nella capitale borbonica nel gennaio del 1799, dichiarò: « […] qu’il se resérvait tous les objects d’art trouvés dans le Musée, les maisons du Roi et des émigrés, les propriétés du Roi et de sa famille, et le droit de poursuivre les fouilles d’Herculanum et de Pompéi». Cit. da F. Boyer, Les responsabilités de Napoléon dans le transfert à Paris des œuvres d’art de l’étranger, in “Revue d’Histoire Moderne & Contemporaine”, XI № 4, Octobre – Décembre, 1964, p. 244.[]
  5. Si veda ASNa, Ministero degli Affari Esteri, Affari diversi della prima segreteria di Stato, 1733-1862, Oggetti di belle arti 1776-1799, fascio 4292.[]
  6. F. Strazzullo, Domenico Venuti e il recupero delle opere d’arte trafugate dai francesi a Napoli nel 1799, in “Rendiconti dell’Accademia di Archeologia, Lettere e Belle Arti”, LXIII, 1991-1992, p. 16.[]
  7. Non dobbiamo dimenticare che il primo riordino della Collezione farnesiana, arrivata a Napoli insieme a Carlo III, fu affidato al padre di Domenico, Marcello Venuti (1700-1755), il che lo portò a coprire la carica del direttore della Galleria Farnese di Napoli. Cfr. D. Gallo, Marcello Venuti tra Napoli e Cortona, in L’Accademia Etrusca, catalogo della mostra (Cortona, Palazzo Casali, 19 maggio – 20 ottobre 1985) a cura di P. Barocchi – D. Gallo, Milano, 1985, pp. 53-57. Promosse e partecipò, inoltre, alle prime scoperte archeologiche ad Ercolano (M. de’ Venuti, Descrizione delle prime scoperte dell’antica città d’Ercolano ritrovata vicino a Portici, Villa della Maestà del Re delle Due Sicilie, Roma 1748).[]
  8. Inviò una richiesta ufficiale al Cardinale Ruffo il 14 luglio 1799. Cfr. A. de Franciscis, Per la storia del Museo Nazionale di Napoli, in Archivio storico per le province napoletane, XXX (1944-1946), Napoli 1947, pp. 194-195.[]
  9. T. Venuti De Dominicis, I Venuti …, Roma 1889, p. 68.[]
  10. ASNa, Esteri, fasc. 4292, inc. 33, f. 2r. Lettera di Domenico Venuti a Giovanni Acton, Roma, 5 novembre 1799.[]
  11. ASNa, Esteri, fasc. 4292, inc. 4, f.n.n. Lettera di Domenico Venuti a Giuseppe Zurlo, Roma, 5 ottobre 1799.[]
  12. ASNa, Esteri, fasc. 4292, inc. 17, f. 2r. Lettera di Domenico Venuti a Giuseppe Zurlo, Roma, 11 ottobre 1799.[]
  13. Sulla missione di Venuti si vedano: E. Catello, Domenico Venuti: il recupero delle opere d’arte di S.M. Siciliana dopo il Novantanove, in Scritti di Storia dell’arte per il 70˚ dell’Associazione per i monumenti e il paesaggio, Napoli 1991, pp. 101-108; F. Strazzullo, Domenico Venuti …, 1991-1992, pp. 13-62.[]
  14. Relazione di Venuti al Capitan Generale Acton del 31 gennaio 1800, già pubblicata in F. Strazzullo 1991, p. 40.[]
  15. Cfr. Appendice documentaria, docc. A e B.[]
  16. F. André, Les quatre elements peints par Mr. Le Brun, et mis en tapisseries pour sa Majesté, in Id., Recueïl De Descriptions De Peintures Et D’Autres Ouvrages Faits Pour Le Roy, Paris 1689, pp. 95-141.[]
  17. Il Re si servì in quell’occasione dagli arazzieri della superba Arazzeria granducale, nota anche come Arazzeria Medicea, inaugurata nel lontano 1546 da Cosimo I e a cui la morte del granduca Gian Gastone dei Medici segnò la fine. Sulla produzione degli arazzi presso la Real Arazzeria napoletana si veda ASNa, Segreteria di Stato di Casa Reale 1734-1806, Complessi documentari, b. 1551 Arazzeria 1765-1842.[]
  18. Il ciclo dedicato agli Elementi (1739-1763), esposto nella Terza Anticamera (sala V) e nella Sala delle Guardie (XXIV); la serie con Allegorie delle Virtù (1763-1767); Storie di Amore e Psiche (1788-1789), capolavori impressionanti ammirabili tutt’oggi nel Salone d’Ercole (sala XXII), dove troviamo anche l’Apoteosi Regia (1794-1799), l’ultima serie dell’Arazzeria. Va ricordata, naturalmente, anche la nota serie di Don Chisciotte (1757-1779) – alcuni pezzi della quale oggi si trovano a Capodimonte e al Quirinale – per cui in qualità di direttore venne chiamato il romano Pietro Duranti. Fu realizzata su cartoni del pittore Giuseppe Bonito (1707-1789), il quale «plagiò letteralmente tanto i dipinti di Coypel [Charles-Antoine Coypel, 1694-1768] che il disegno degli alentours dei dodici pezzi della Storie di don Chisciotte (Gobelins) che gli aveva ceduto il principe di Campofiorito, ambasciatore spagnolo a Parigi, che li aveva ricevuti a sua volta da Luigi XV». Cfr. P-F. Bertrand, Le manifatture reali dei Gobelins e di Beauvais, in Gli Arazzi dei Farnese e dei Borbone. Le collezioni dei secoli XVI-XVIII, a cura di G. Bertini – N. Forti Grazzini, Milano 1998, p. 40.[]
  19. «Il valore di questi ultimi fu venticinque mila Luigi d’oro; onde il costo di tutti in generale essendo vent’uno pezzi […] è assolutamente esorbitante». Cfr. Appendice documentaria, doc. B.[]
  20. Ibidem. C’è da dire che, essendo partiti nei secoli XVIII-XIV da circa una ventina di colori base ed arricchendo sempre di più la scheda cromatica, si arrivò nel XVII secolo ai più di quattordicimila colori come, appunto, nel caso della Gobelins. Cfr. C. Molin Pradel, in Gli Arazzi dei Farnese e dei Borbone …, 1998, p. 15.[]
  21. Si veda Appendice documentaria, doc. B.[]
  22. Ibidem.[]
  23. Charles-Joseph Natoire, in carica del direttore dell’Accademia per poco più di trent’anni (1751-1775).[]
  24. Si vedano: F. Macé de Lépinay, Autour de “La Fête de la Fédération”, Charles Thévenin et la Révolution 1789-1799, in “Revue de l’Art”, vol. LXXXIII,‎ 1989, pp. 51-52; A. de Montaiglon – J. Guffrey, Correspondance des directeurs de l’Accadémie de France à Rome avec les surintendants des Bâtiments publiée d’après les manuscripts des Archives nationales, vol. XVII, Paris 1908, p 64.[]
  25. Cfr. Directorat de Charles Thévenin (1816-1823), in Archivio dell’Accademia di Francia a Roma (da qui in avanti AFR), fonds 20180401. A questo proposito disponiamo di una testimonianza diretta dello stesso Venuti: «Questo luogo Eccellenza è tanto abbandonato, che non può mai supporsi; e la prima sera dell’illuminazione per l’elezione del Papa, tutta Roma era in lumi fuorché questo edificio, attenete ora a S.M. Il Popolo a tale oggetto tumultuava all’eccesso; ed arrivò fin anche a minacciare. Io dunque fui avvisato a tempo, e feci sull’istante illuminare la facciata; senza passarne parola ad alcuno, ed evitai qualunque disordine. Nel Cortile del detto edificio vi sono dei stupendi rocchi di alabastro, che spedirò costì; che sono di molto valore, ed importanza. Questi saranno utilissimi per qualunque uso se ne voglia fare» (ASNa, Esteri, fasc. 4292, inc. 84, f.n.n, Lettera di Domenico Venuti a Giuseppe Zurlo, Roma, 6 maggio 1800 (duplicato dell’11 aprile 1800[]
  26. Il Libro, composto da dieci capitoli, racconta la storia avvenuta nel V sec. a. C. Ragazza orfana di origine giudaica e cugina di Mardocheo, Ester, una volta diventata moglie del re persiano Assuero, salvò il popolo ebraico dai complotti del malvagio consigliere reale Aman.[]
  27. Cfr. E. Gerspach, Répertoire détaillé des tapisseries des Gobelins exécutées de 1662 à 1892: histoire, commentaires, marques, Paris 1893, pp. 47-48.[]
  28. L’originale “brioso” bozzetto di de Troy consisteva in sette cartoni (in realtà grandi dipinti a olio su tela oggi conservati al Louvre) che furono commissionati all’artista dal soprintendente ai Bâtiments du Roi Louis Antoine de Pardaillan de Gondrin (1665-1736), marchese e poi duca d’Antin, e furono eseguiti tra il 1737-1740. La serie originale, priva di bordure, comprendeva sette “storie”: L’ Évanouissement d’Esther, Le Couronnement, La Toilette, Le Triomphe de Mardoché, La Prise d’Aman, Le Dèdain de Mardoché e Le Repas d’Esther. Cfr. E. Gerspach, Répertoire détaillé …, 1893, p. 133.[]
  29. Oltre alle figure indicate (figg. 1-2), vi furono: Il trionfo di Mardocheo (serie: Tenture de l’Histoire d’Esther III, arazzo in lana e seta (alto liccio), 4,18×7,35m, ottobre 1771-novembre 1775, presso: d’Audran, inv. IAT-71-000); il Disprezzo di Mardocheo (serie: Tenture de l’Histoire d’Esther, arazzo in lana e seta (alto liccio), 4,25×5,2m, aprile 1771-dicembre 1774, presso: Cozette, inv. IAT-74-000).[]
  30. A. de Montaiglon – J. Guiffrey Correspondance des directeurs de l’Académie de France à Rome, avec les surintendants des batiments, 1666-[1804], vol. XIII (1774-1779), Paris 1904, p. 257. Lettera n. 6806, D’Angiviller a Vien, du 26 octobre 1776.[]
  31. Cfr. G. Bertini, Storie di Ester, in Gli Arazzi dei Farnese e dei Borbone …, 1998, p. 159.[]
  32. P-F. Bertrand, Le manifatture reali …, in Gli Arazzi dei Farnese e dei Borbone …, 1998, p. 38.[]
  33. Più precisamente: Les Pêcheurs indiens, Le More à cheval ou le cheval pommelé, Le Cheval rayé, L’Éléphant, Le Combat d’animaux, Le Roi porté, Les Chasseurs, Les Deux Taureaux. Cfr. E. Gerspach, Répertoire détaillé…, 1893, p. 97.[]
  34. Cfr. C. Anderson, The Old Indies at the French Court: Johan Mauritius’s Gift to Louis XIV, in “Early Modern Low Countries”, vol. 3 No. 1 (2019), p. 36.[]
  35. Dopo alcuni ritocchi di Jean-Baptiste Monnoyer (1636-1699), Jean-Baptiste Belin de Fontenay (1653-1715), René-Antoine Houasse (1644/1645-1710), François Bonnemer (1637-1689), e delle aggiunte di Alexandre-François Desportes (1661 – 1743). Cfr. M. Fenaille, État géneral des Tapisseries de la Manufacture des Gobelins, vol. II, Paris, 1903, pp. 371-398.[]
  36. Cfr. C. Anderson, The Old Indies …, 2019, p. 33-34.[]
  37. Cfr. P. Arizzoli-Clémentel, Les envois de la couronne à l’Académie de France à Rome au XVIIIe siècle, in “Revue de l’Art”, 68, 1985, p. 74.[]
  38. A. de Montaiglon – J. Guffrey, Correspondance des directeurs …, 1887, Lettera n. 3021, d’Antin a Wleughels, De Petit-Bourg, le 19 Août 172, p. 282.[]
  39. «Le tenture des Animaux des Indes, de basse lisse, de trois aunes ed demie de haut, comme celle cy-dessur, faite de même aux Gobelins, est composée de huit pièces, sçavoir : Les Pêscheurs, le Cheval isabel, l’Indien à cheval, le Chasseur, le Cheval rayé, les Taureaux, le Roy porté par deux Maures, le Combat des animaux. Outre lesquelles pièces il y en a encore deux autres, répétéces de la même tenture, sçavoir : le Chasseur et les Pescheurs». Cfr. A. de Montaiglon – J. Guiffrey, Correspondance …, 1887, Lettera n. 3015, d’Antin a Wleughels, De Versailles, le 2 Août 1726, p. 278.[]
  40. A. de Montaiglon – J. Guiffrey, Correspondance des directeurs de l’Académie de France à Rome, avec les surintendants des batiments, 1666-[1804], vol. XVI, Paris 1907, pp. 446-447.[]
  41. L’isabella è un tipo di mantello equino di colore ocra con criniera, coda e gambi neri.[]
  42. Cfr. Appendice documentaria, doc. B.[]
  43. A. Lecoy de La Marche, L’Académie de France à Rome. Correspondance inédite de ses directeurs précédée d’une étude historique, Paris 1874, p. 84.[]
  44. Cfr. P-F. Bertrand, Le manifatture …, in Gli Arazzi dei Farnese e dei Borbone …, 1998, p. 37. I francesi non furono naturalmente i primi a riprendere fedelmente i soggetti dell’Urbinate per riportarli nelle tessiture. Basti ricordare il noto ciclo di dieci arazzi degli Atti degli Apostoli (1515-1519), commissionati Giovanni di Lorenzo de’ Medici, Leone X (1475-1521), al fiammingo Pieter van Aelst (1450-1533). Realizzati sui cartoni dipinti dallo stesso Raffaello, essi arrivarono in Vaticano tra il 1519 e il 1521. Cfr. G. Delmarcel, “Una vista da riempire gli occhi”: l’arte degli arazzi a Bruxelles e l’Italia nei secoli XVI e XVII, in Gli Arazzi dei Farnese e dei Borbone …, 1998, p. 24.[]
  45. Cfr. E. Gerspach, Répertoire détaillé …, 1893, p. 68. A base dei primi dieci cartoni inviati a Parigi furono eseguiti otto arazzi dai seguenti soggetti: la Battaglia di Costantino contro Massenzio, la Visione della croce, la Scuola di Atene, la Messa di Bolsena, l’Incontro di Leone Magno con Attila, il Parnaso, la Cacciata di Eliodoro dal tempio e l’Incendio di Borgo. A testimoniare il successo della serie sarebbero state le nove edizioni eseguite dal 1683 al 1794 (M. Fenaille, Etat général …, 1903, p. 200).[]
  46. A. Bertrand, L’art français à Rome. De Louis XIV a la Révolution, in “Revue des Deux Mondes”, Cinquième période, vol XIX, no. 2 (15 Janvier 1904), p. 361.[]
  47. M. Fenaille, État géneral…, 1903, p. 235.[]
  48. Precisamente: Bacchus (commissionato nel 1704 e finito nell’aprile 1707, 4,8×6,92m, presso: Le Blond, numero d’inventario nella Collection du Mobilier National: IAT-65-000); Vénus (1705 – ottobre 1709, presso: De la Fraye, 4,76×6,94m, inv. IAT-66-000); Apollon (luglio 1702 – gennaio 1705, presso: Souet, 4,95×4,7m, inv. IAT-67-000); Mars (1702-gennaio 1705, presso: De la Croix père, 4,5×4,98m, inv. IAT-68-000); la Religion (1704-ottobre 1710, presso: De la Croix fils, 4,62×4,25m, inv. IAT-69-000); la Philosophie (1703-aprile 1705, presso: Le Blond, 4,55×4,9m, inv. IAT-70-000); Minerve (1702 – ottobre 1708, presso: De la Croix fils, inv. ?); Hercule (1704 – ottobre 1711, presso: De la Croix fils, inv. ?).[]
  49. M. Fenaille, État géneral…, 1903, p. 228.[]
  50. Cfr. Appendice documentaria, doc. B.[]
  51. Cfr. A. de Montaiglon – J. Guffrey, Correspondance …, 1887, p. 278. Si veda anche M. Fenaille, État géneral…, 1903, p. 21.[]
  52. Che dal 1589 divenne parte integrante della monarchia francese con Enrico IV (1553-1610) come primo regnante dei Borbone nel Regno di Navarra.[]
  53. La locuzione latina Nec pluribus impar impressa sullo stemma del Re Sole, che viene spesso accompagnata dall’immagine del sole sfolgorante, è leggibile sul nastro in alto dell’arazzo della fig. 14.[]
  54. M. Fenaille, État géneral…, 1903, p. 14.[]
  55. M. Fenaille, État géneral…, 1903, p. 16.[]
  56. Si riferisce allo stemma dell’Ancien Régime dei Borbone di Francia raffigurante i tre gigli sullo scudo.[]
  57. Cfr. Appendice documentaria, doc. B.[]
  58. Quindi quasi quarant’anni prima dell’arrivo della serie delle Storie di Ester a Roma.[]
  59. Cfr. A. de Montaiglon – J. Guffrey, Correspondance …, 1887, Lettera n. 3057, Wleughels a d’Antin, le 20 février 1727, p. 322.[]
  60. ASNa, Esteri, fascio 4292, inc. 68, f. 6r.[]
  61. Cfr. Appendice documentaria, doc. C.[]
  62. Si doveva trattare di Cheval rayé e dei Pêscheurs.[]
  63. Cfr. Appendice documentaria, doc. C.[]
  64. ASNa, Esteri, fasc. 4292, inc. 87, f.n.n. Lettera del Cav. Venuti a Giuseppe Zurlo, Roma, 17 gennaio 1800.[]
  65. Ricoprì l’incarico due volte: dal 1800 al 1806 e dal 1814 al 1823.[]
  66. ASNa, Esteri, fasc. 4292, inc. 91, ff. 1-2v. Lettera del Card. Consalvi a Sig. Generale Acton, Roma, 28 ottobre 1800.[]
  67. ASNa, Esteri, fasc. 4292, inc. 101, c. 1r. Si veda in particolare l’articolo VIII de Traité de paix entre la République française et sa majesté le roi des Deux-Siciles, secondo il quale: «Sa majesté le roi des Deux-Siciles s’engage à faire restituer à la République française, les statues, tableaux et autres objets d’arts qui ont été enlevés à Rome par les troupes napolitaines». Il testo completo è consultabile al seguente link https://www.napoleon-histoire.com/traite-de-paix-entre-la-republique-francaise-et-sa-majeste-le-roi-des-deux-siciles/ ultimo accesso 19 dicembre 2021.[]
  68. ASNa, Esteri, fasc. 4292, inc. 96-97, 101.[]
  69. ASNa, Esteri, b. 1451, inc.n.n., ff.n.n. Lettera del Cav. Ramette a Giovanni Acton, Roma, 15 settembre 1801.[]
  70. Cfr. Appendice documentaria, doc. E.[]
  71. Si veda a tal proposito M.-L. Blumer, Catalogue des peintures transportées d’Italie en Francce de 1796 à 1814, in Bulletin de la Société de l’art français, 1936, fascicule 2, pp. 244-348.[]
  72. Sulle trattative della restituzione degli arazzi all’Accademia di Francia si veda in particolare: AFR, fond 20170113, carton 2, piéces 121-122, 128-141, 144, 146.[]
  73. Cfr. Appendice documentaria, doc. D.[]
  74. Ricordiamo la bellissima testimonianza dello stesso Venuti. Cfr. supra, p. 9.[]
  75. Cfr. D. Dunglas, «Cancel culture» à l’Académie de France Les tapisseries de la discorde à la Villa Médicis à Rome, in Le Monde, 03.01.2021; G. Simongini, Villa Medici, Grand Salon chiuso e arazzi censurati: Degradanti e razzisti”, in Il Tempo, 4 novembre 2021.[]
  76. Contre l’épuration, in “La Tribune de l’Art”, mercredi 17 novembre 2021.[]
  77. Cfr. Appendice documentaria, doc. B.[]