L’eredità di Ercole Branciforti al figlio Girolamo e il database degli inventari in OADI
luisa.chifari@regione.sicilia.it
DOI: 10.7431/RIV25032022
Nel sito online dell’Osservatorio per le Arti Decorative in Italia (OADI) 1 è stato pubblicato nel 2019 il database sui Branciforti, curato dalla scrivente e dall’architetto Ciro D’Arpa, grazie ad una convenzione tra il Centro Regionale per la Progettazione e il Restauro della Regione Siciliana ed il Dipartimento Culture e Società dell’Università degli Studi di Palermo. In tale database, che consta attualmente di circa diecimila record, sono stati inseriti i beni riscontrati negli inventari testamentari ed ereditari della famiglia, preziosi documenti d’archivio, dallo studio dei quali è possibile ricostruire non soltanto le tappe più curiose ed importanti della vita nobiliare siciliana nei secoli, ma anche individuare le caratteristiche di vari oggetti di cui i nobiluomini e le nobildonne specialmente, si sono circondati. Negli inventari, infatti, viene solitamente riportata la descrizione, in molti casi minuziosa, e spesso quantificato il valore. Trascrivendo integralmente il dato storico, è possibile dedurne la materia e la tecnica, a volte la provenienza, più spesso la forma, le dimensioni, ecc., tutti elementi utili agli studiosi ed in particolare a coloro che si occupano dell’arte prettamente siciliana. Il database è concepito come una banca dati implementabile nel tempo, in modo da poter inserire, via via, sia ulteriori inventari di cui si viene a conoscenza attraverso la ricerca che continua 2, sia quegli elenchi che pur non essendo del tutto inediti, risultano comunque utili nell’archivio elettronico per la gestione-consultazione-fruizione dei dati. Per questo motivo ultimamente sono stati riversati nel database altri tre inventari 3, uno dei quali viene qui preso particolarmente in esame, e cioè l’«Inventario di tutte le robbe che sono in casa dello Eccellentissimo Duca di San Giovanni fino al presente giorno 27 settembre 1593» 4, confrontandolo con gli altri (soprattutto con quello del nipote di Ercole Branciforti, Francesco, fin ora nuovo al database); si tratta dell’arredo e del corredo della ricchissima dimora nobiliare dei Branciforti, presso Cammarata, citati in un dettagliato ed affascinante elenco che comprende circa settecento voci, offrendo uno spaccato rappresentativo della vita, raffinata e comoda, condotta da un nobile siciliano della fine del XVI secolo. Il documento relativo al duca di San Giovanni, Ercole Branciforti, pur essendo già noto agli studi specialistici 5, era stato trascritto in passato solo parzialmente. E’ risultato utile trascriverlo integralmente sia perchè i beni sono numerosi e svariate sono anche le diverse tipologie presenti, ma soprattutto perchè alcune voci, inedite, tra le quali spiccano ad esempio preziosi argenti, quadri, strumenti musicali e tessili pregiati, danno contezza di quale fossero a quei tempi la concezione ed il costume appartenenti alla mentalità dei nobili dell’epoca; a tal proposito, è singolare la curiosità secondo la quale venivano considerati beni trasmissibili anche gli schiavi che costituivano la servitù: “bianchi”, “negri” e “femine”; uomini e donne di cui sono riportati i nomi, l’età e la provenienza e, di alcuni, anche l’adesione o la conversione alla fede cattolica.
Ercole Branciforti 6, duca di San Giovanni, fondatore nel 1587 del nuovo centro di San Giovanni in uno dei feudi costituenti l’antica signoria della famiglia Abatellis, staccandolo da Cammarata, fu una figura aristocratica rilevante politicamente nell’ambito della Sicilia spagnola di fine Cinquecento ed inizi del secolo successivo, fino a tutto il primo ventennio (morì nel 1620).
Amava l’arte e la musica. Aveva sposato Isabella Aragona-Tagliavia e Ventimiglia, figlia di Carlo, il potente marchese di Terranova che si era guadagnato l’appellativo di Magnus siculus con i suoi servigi prestati prima all’imperatore Carlo V e poi a suo figlio Filippo II. Come riferisce la Di Natale, Carlo d’Aragona svolgeva numerosi e prestigiosi incarichi per conto della Corona, «marchese di Avola e poi presidente del Regno di Sicilia, viceré di Catalogna e governatore dello Stato di Milano» 7, per cui aveva viaggiato molto per l’Europa, e, come nota Vincenzo Abbate, per la sua «alta carica di ambasciatore, personalmente affidatagli da Filippo II, rinvia finanche a Praga alla corte di Rodolfo II, dove ha come famulo e compagno di viaggio il giovane genero Ercole Branciforti […]» 8, particolarmente brillante e abile. Sin da giovane Ercole era, quindi, venuto in contatto con importanti esponenti della cultura europea e, non a caso, tra i beni personali del duca di San Giovanni si riscontrano arredi e oggetti provenienti da Alemagna, dalle Fiandre e da Milano, beni che oltretutto confermano che si tratta degli apici dell’aristocrazia siciliana di fine Cinquecento – primi del Seicento, e che con i Branciforti di San Giovanni e Cammarata, e di Scordia 9 (Antonio Branciforti figlio di Ercole di secondo letto fu il primo principe di Scordia, titolo conferitogli nel 1626), nei secc. XVI e XVII, anche attraverso un’attenta strategia matrimoniale che imparentava tra loro le più grandi famiglie nobili, consentivano alla Sicilia di essere proiettata nella complessa economia, nella politica e nel contesto culturale dell’Europa 10.
Dal suo matrimonio con Isabella, Ercole ebbe il suo primogenito Girolamo, conte di Cammarata, e proprio nella residenza di quest’ultimo, venivano spesso invitati artisti, letterati, scienziati, perchè lo stesso organizzava, essendo musicista, ricevimenti e concerti. Nell’inventario del 1652 di Francesco Branciforti, figlio di Girolamo, Conte di Cammarata e Duca di San Giovanni, i cui beni costituiranno oggetto di confronto più volte di seguito, tra gli innumerevoli libri che vi sono elencati, sono presenti, infatti, n. (?) libri di musica, probabili spartiti del XVII secolo.
La vita di corte del conte Girolamo si svolgeva quindi nel castello di Cammarata, un’antica costruzione risalente al XIII secolo, come è già noto, pervenuta ai Branciforti da Margherita Abatellis, la quale aveva sposato Blasco, nonno di Ercole 11.
Girolamo ebbe per moglie Caterina Gioieni. Nella prima pagina dell’inventario del 28 settembre 1593 viene conteggiata la somma che Ercole doveva al figlio per la sua dote pattuita nei capitoli matrimoniali sottoscritti con i marchesi di Giuliana, Tommaso e Susanna Gioeni e Cardona, genitori della sposa: egli doveva la somma di onze 19.400 di cui, con atto del 2 aprile 1590, dava inizialmente solo onze 6.438, rimanendo da scomputare onze 12.962, somma residua che venne compensata dal valore dei molti beni, sia immobili che mobili, che Ercole gli assegnava. E’ pertanto di facile intuizione come al momento del matrimonio con la sua seconda moglie Agata Lanza, Ercole non godesse di una grande liquidità monetaria, perchè oltretutto al figlio aveva già dato in vita il feudo di Cammarata, il relativo titolo di Conte e la dote della prima moglie, per non parlare poi dell’impegno pecuniario per apportare miglioramenti e «[…] benefatti utili et necessarii allo castello di Cammarata […]» 12 e per tenere alto il tenore del figlio «[…] spendendoci grosse somme di denari mantenendolo conforme alla sua condittione…» 13.
Molto probabilmente non è un caso che nell’inventario in esame non siano presenti gioielli ed opere di oreficeria, nonostante i preziosi monili con cui si ornavano i nobili dell’illustre casato fossero delle più svariate tipologie, santici, catene, golere, anelli, orecchini, ecc. 14
Ercole con sua moglie Isabella dimorava parte dell’anno nella magnifica villa con giardino denominata di San Michele – costruita nel contado della ducea di San Giovanni presumibilmente nell’ultimo ventennio del ‘500 15 – e dagli inizi del Seicento, i coniugi si trasferivano spesso nel palazzo di Palermo, acquistato nel 1589 da Giuseppe de Gregorio 16.
Le stanze di rappresentanza e di abitazione padronale di queste dimore, specialmente nei piani nobili, dovettero essere certamente ricche di preziosità ma gli oggetti elencati nel documento del 1593 erano per lo più quelli presenti nella casa dei Signori di Cammarata, Girolamo e Caterina, la loro servitù e la numerosa corte composta da creati e gentilomini per i quali si trovano citati anche arredi e corredi di loro esclusivo uso; mentre le poche voci di beni presenti a quella data nella villa di San Michele fanno pensare ad una dimora più spoglia perchè abitata solo saltuariamente.
L’elenco di Ercole del 1593 inizia con un viridarium con diversis arboribus, diversi alberi e stanze con annesso un grande terreno libero posto nella contrada di Fiumegrande, presso il fiume e l’acquedotto dei mulini; ed una vigna con stanze posta nella contrada di lo chiano di la curti presso la pubblica via e un fondaco sito nella piazza pubblica.
Immediatamente dopo seguono diversi animali: Octanta giumenti di razza di diversi pili et merchi (con il manto di vari colori e diverse dimensioni-peso?) e con pollitri masculi et femmini (puledri ) e quattro mulacchiuni (muli).
Diciotto cavalli di diversi pili di varie razze con le loro dotazioni di selle e guarnimenti. Gli undici muli (6 femmine e 5 maschi) sono anch’essi di diversi pili et merchi; mentre le cincocento vachi, nonchè 500 vacche di diversi pili et merchi, hanno i loro vitelli con tutti li cani et stigli di mandra; infine, ritroviamo ottanta giovenche ed ottanta vitellazi.
Dopodichè inizia l’elencazione dei beni da Ercole posseduti, passati poi al figlio Girolamo nel 1593, censiti per categorie: in primo luogo gli Argenti; poi i Paramenti, a loro volta suddivisi in Tapezzerie, Coirami, Paramenti di seta et oro, Cortinaggi, Tappeti, Portali con i relativi Ferri di Portali, Tosselli, Coscini, Paviglioni, Panni di tavola e Coltri. Nell’apposito capitolo riguardante le Diverse Robbi sono presenti vari tipi di tessuti pregiati e guarnimenti utili per le confezioni che si realizzavano in casa, come oggetti di corredo. I corredi contemplavano inoltre Matarazi 17; Lenzoli, Frazzati e la Biancaria di credenza. Non mancano poi i vestimenti, ma solo quelli relativi alla servitù, ovvero le livree al completo per paggi e staffieri. Nel guarda robba erano custodite le armature del conte 18 (para di arme da cavallo, arme di giostra, con scudo, banderole di taffita per lancie, spade in argentateo per stafferi), che disponeva pure di sua carrozza 19 e di varie Robbe di Stalla (selle e guarnimenti, sproni, staffe, cinghie, freni, ecc). Tra la mobilia invece sono comprese seggie e seggette, banchi, lettère, boffette; mentre la Robba di Cocina riguarda tutta l’attrezzatura allora in uso per cucinare e, più in generale, da cucina; ed ancora si rilevano gli Incerati, ovvero le impannate, probabili portelli da porre a schermo (per la guarda robba, della camera, delle finestre o di finestrone).
Questi i capitoli riguardanti le varie tipologie di beni di proprietà del duca di San Giovanni, per la maggior parte oggetti preziosi e con notevole valore (nel caso degli argenti viene specificato il peso).
Da una prima osservazione e dal confronto con altri inventari del database, emerge che per quanto riguarda l’arredamento di casa, la mobilia elencata nel 1593 consta prevalentemente di pochi ed essenziali prototipi, così com’era a quel tempo, e cioè di tavoli (boffette), lettére, banchi, e sedie. Non c’è ad esempio lo stipo che inizialmente dovette essere un piccolo contenitore a forma di parallelepipedo che si appoggiava sulla boffetta 20; nel successivo elenco di Francesco del 1652 lo stipo aveva evidentemente una duplice funzione sia di scrittoio che di contenitore (come lo stipo di scrittorio o i sei stipi per riposto di scritture di tavole tinte con loro chiudendi, o ancora i due per riposto di libri senza pedi (quindi appoggiato?) in uno de quali ci sono alcuni mazzi di lettere e registri della secrezaria); ancora, nell’inventario di Antonio del 1658 uno stipo ha i manici cesellati; invece si troverà come modello più elaborato, spesso decorato con pietre dure, marmi policromi, madreperla, avorio, tartaruga, argento, come status simbol di un certo sfarzo, in un ammobiliamento più tardo, in particolare dalla seconda metà del Seicento in poi, conseguenzialmente ad una rielaborazione della forma del mobile che si evolve non soltanto in virtù della sua funzione, ma anche a causa del perfezionamento della destinazione d’uso dello spazio e degli ambienti che nel tempo cambiano. Così una tavola che si apparecchiava nel vano della credenza, in salone o in giardino, si ritrova poi in ambienti destinati esclusivamente a stanza da pranzo 21.
Ma procedendo secondo l’ordine del documento in esame relativo ad Ercole, la prima voce dell’inventario in esame riguarda gli “Argenti”. Tra questi si trovano al completo tutte le diverse preziose suppellettili da tavola: le cucchiarelle dorate e le forcette lisce o con il manico lavorato, i vasi d’acqua tra cui il più prezioso sembrerebbe essere stato quello lavorato a punta di domanti dorato con suo coverchio; i vasi d’argento denominati di Alemagna sono: il vaso dorato et smaltato con una figura nel coverchio, il vaso dorato con uno puttino al pede et un ramo sopra la cui qualificazione è a gotto 22, quello fatto a pero dorato col coverchio sopra un ramo et nel piede un homo smaltato ed infine quello dorato et sopra il coverchio con un fiore di piantagine. Mentre, il vaso d’argento d’acquamano grande intagliato et indorato e i quattro vasetti d’argento dorati sigillati et intagliati, sempre del 1593, sono tutti denominati “alla romana“, dicitura che si riscontra in altri elenchi, come quello di Ottavio Branciforti, figlio di Ercole, risalente al 1646, in cui tra le suppellettili da tavola in argento vi è il bucale d’argento dorato gisillato alla romana.
Tornando all’elenco di Ercole, tra i numerosi vasi ancora possiamo evidenziare quello dorato a pigna e quello dorato con collo di pesce, quello tondo e a mandola e tra gli argenti vengono annoverati pure una carraffina di odori dorata, piatti, sottocoppe ingaglionate a raggi, dorate, col piede basso o d’argento liscio, scodelle, salere, tazze, candelieri. Tra questi ultimi ce n’è un paro alla spagnola con li colli longhi ed un altro paro con il collo più basso, vi sono poi i candileri quatrangoli e quelli triangoli. Ed ancora vi sono due cannistri (canestri), doi quartari (due quartare) grandi di argento lavorato et ingaglionato, una fonte a’ doi piatti fatta in Alemagna dorata et smaltata con diversi animali. Inoltre dodeci piatti reali di credenza, una confittera quatra dorata et intagliata con arpie et mascaroni, tutte opere riscontrabili, come si è detto, nel database degli inventari Branciforti sul sito dell’OADI.
Dopo gli argenti, a seguire nello stesso inventario, vengono enumerati i Paramenti – Tapezzerie, nonchè più in generale i parati; a quel tempo l’arredo comprendeva, oltre ai mobili, i parati; i mobili in uso erano veramente pochi e c’erano solamente quelli strettamente funzionali come i letti, i tavoli e le cassapanche che si utilizzavano sia come contenitori che come sedute.
I parati nell’elenco in esame sono divisi in due categorie: i veri e propri paramenti composti da farde di tessuto accostate, cioè lunghi teli 23 che rivestivano per intero le pareti, e i paramenti di razza, ovvero gli arazzi figurati. I primi erano damaschi, velluti, cataluffi, rasilli e dobletti di seta, tele d’oro e terzanelli dai diversi colori, verde, bianco, rosso, turchino e giallo, guarniti di frangie di seta, ricami e guarnizioni in seta e filo d’oro. Mentre, i diversi arazzi riscontrati sono prevalentemente di lana e seta; alcuni composti da otto fino a dodici pezzi, altri che formano serie tematiche come quello di lana con scene di boscaglia et animali in pezzi cinque.
Un altro paramento di razza di lana con boscaglie et le forze di Ercole è costituito da pezzi numero 8; altri invece raffigurano verdure e boscaglie et figurine, tanto piccole che grandi, di cui un paramento di razza costituito da sette pezze acquistato da don Carlo di Avola, probabile dono del suocero di Ercole, Carlo Aragona-Tagliavia duca d’Avola. A proposito della provenienza di tali paramenti, ce n’è uno comprato da Mazinghi in sei pezzi, quello venuto da Roma con la Storia di Ciro, un altro di Barzellona, ed un altro ancora comprato in Palermo. Non è facile stabilire se il paramento di razza con la Storia di Ciro sia assimilabile in qualche modo al panno d’arazzo in quattro pezzi di lana raffigurante l’Istoria di Giuditta (le due storie avrebbero in comune le “decollatrici”: l’imperatore persiano Ciro il Grande venne ucciso dalla regina Tamiri che lo decapitò e Giuditta è ben nota come soggetto di numerosi dipinti per aver tagliato la testa con la sua spada al generale babilonese Oloferne), di cui vengono riportate le dimensioni (uno largo canni dui e palmi uno e l’altro canna una e palmi setti e dui terzi e l’altro canna una e palmi 5 e l’altro canna una e palmi dui alti palmi sedici), oppure con il panno d’arazzo di lana con altra storia, in tre pezzi più curti delli suddetti. Questi ultimi due arazzi menzionati sono tratti dall’elenco di Francesco del XVII secolo, ma oltre agli arazzi con lo stesso soggetto di Giuditta, nella stessa enumerazione, si riscontra anche un quadro collocato nella sala di susu; un dipinto con Giuditta è presente pure nell’elenco del 1817 e nell’elenco dell’asta del 1964 vi è un dipinto con Giuditta e Oloferne, copia di Guido Reni, collocato nella camera della libreria di Palazzo Lanza Mazzarino già di Scordia. Tornando agli arazzi, negli inventari dei Branciforti se ne ritrovano molti con le raffigurazioni di temi che riguardavano storie di guerre, battaglie, scene sacre o storie di nobili, come ad esempio gli arazzi di Ottavio (1646) che ne possedeva grandi e piccoli con le Historie di Ercole (forse quello suddetto tramandato), e Antonio (1658) nel cui elenco ce ne sono quarantadue tra cui la serie con la Istoria di Cleopatra. Nel 1687 il secondo principe di Scordia, Ercole, ne possedeva sette con figure e personaggi. Più tardi, nell’elencazione del 1817, è presente solo quello con la Storia di Giacobbe, forse perchè l’arazzo non è più un elemento d’arredo essenziale, piuttosto si mantiene la sua funzione emblematica della ricchezza del casato per cui viene conservato e tramandato, e nell’asta del 1964 ce n’è uno fiammingo con scene bibliche datato a fine XVI secolo e nello stesso catalogo è presente una Battaglia di Lepanto e un arazzo Aubusson con la scena di Cesare.
Presso il Palazzo reale detto dei Normanni di Palermo, è attualmente conservato un parato del XVII secolo, denominato in uno studio recentemente pubblicato 24 arazzo d’oro dei Branciforti, in ottimo stato di conservazione, che potrebbe essere facente parte dell’intera tappezzeria preziosa, verosimilmente smembrata, che rivestiva le pareti della sala degli arazzi di palazzo Mazzarino, insieme ad altri quattro pannelli 25, dello stesso periodo, tutti ricamati in seta e in oro, a tutt’oggi ivi situati: tutti presentano la stessa tipologia di decorazione, a leoni e mascheroni allegorici, che oltrettutto, a rafforzare tale supposizione, interessa l’intera superficie dei parati 26; inoltre una fascia ricamata con elefanti, non più presente nel palazzo, che risulta facente parte della stessa tappezzeria, è identificabile con il parato venduto all’asta del 1964 27.
Tornando all’inventario del 1593, i più preziosi paramenti sono lavorati di argento et oro, oppure vi è quello di vellutello torchino con fondo bianco et damaschi torchine […] et frinze di seta; ed ancora uno paramento di tela di oro et tela leonata con domasco giallo frinze di seta leonata et oro con guardie di tela torchina […] con farde di domasco n° 23 et tela di oro leonata 23 in pezzi otto. Paramenti così composti si possono considerare altamente preziosi.
Vi è un apposito capitolo nell’inventario in esame, Paramenti di seta et oro, in cui ve ne sono numerosissimi, così come i cortinaggi, i portali, i paviglioni ed i toselli nei paragrafi successivi.
A proposito di cortinaggi, si riscontra ad esempio uno cortinaggio di domasco cremesino con le banderole grandi guarnite di frinza cremesina et oro con lo cielo guarnito di racamo d’oro et argento con cordone di seta verde con frinza larga di seta cremesina et oro con la coperta guarnita del stesso racamo et anche il tornialetto. Una composizione di questo genere dà la misura del valore di tali tessuti, riccamente impreziositi da decorazioni ed applicazioni pregevoli. Oltrettutto vi è abbinato un sopratavola del stesso guarnito del stesso racamo (recamo d’oro et argento) et frinza. Nella maggior parte dei casi di assemblamenti di tessuti così importanti, venivano abbinati ai paramenti anche i panni da tavola, i copriletti, le tende, le tovaglie ed i rivestimenti delle sedute. Ad esempio uno paramento di cataluffo ha abbinato il suo sopratavola di detto cataluffo ed uno cortinaggio di detto cataluffo per letto da camino (da cammino) 28 con sua coverta. I dodici paviglioni di Milano hanno i soi cappelli et tornaletti mentre il paviglione di velo rigato di giallo verde incarnato et bianco con sua frinza attorno et il cappello et tornaletto, è senza coverta.
Anche il tosello di tela di oro in farde numero sette con sue arme di tabbì di oro et argento di alteza di palmi 25 e 1/2 et frinze di intorno di oro et seta carmesina foderato di tela gialla et soi cordoni carmesini, sarà stato sicuramente una particolarità unica.
Per non parlare della preziosità di alcuni cuscini come i tre coscini di broccato riccio d’oro et argento et fiocchi et passamano intorno d’oro et di argento, oppure il coscino di velluto carmesino et passamani di oro per la S.ra Contissa.
Tanti anche i tappeti di cui uno di notevoli dimensioni, palmi 24, di lana o di lana e seta, a’ fogliazi grandi, oppure quello di colore negro, rosso e giallo.
Nelle Diverse Robbi vengono annoverati nell’inventario in esame diversi tessuti pregiati come la teliglia di Napoli di seta et capicciola leonata di una tovaglia da tavola, il velluto, il damasco o il taffità, la seta di diversi pezzi di stoffe che potevano essere utilizzate in casa insieme a frange e passamanerie.
Anche le tovaglie da tavola comprese nella biancaria di credenza non sono certo tessuti ordinari, ma quasi tutte di Fiandra, di domasco o domaschino. Mentre, più dozzinali forse saranno stati i cento stijabuchi ordinari di Fiandra (in altri inventari contenuti nel nostro database denominati stuiabucchi o stuiabocca, nonchè tovaglioli), o le otto tovaglie di tinello.
Si osserva che, per quanto riguarda le lenzuola, nell’elencazione del 1593 viene specificato a chi ne era destinato l’uso: Para dodeci et mezo di lenzola di tela per li gentilomini di casa, trenta altri para di lenzola per li creati (fanciulli), para ventitre et mezo di linzola grossi per famiglia.
Lo stesso si può dire relativamente alla cosiddetta biancaria di credenza perchè anche in questo caso si riscontrano nell’elenco tovaglie e tovaglioli per li signori o per gentilomini; oppure per i guanciali e per le frazzate, coperte di lana che si realizzavano al telaio: vi erano quelle per li creati e quelli per gentilomini.
Vi sono poi le coltri di seta di differenti colori, giallo, rosso, torchino, morato (bruno, violaceo), arancina (arancione) e quelle a tinta unica bianca come le coltri di tela bianca comprati a Messina.
Capitolo a parte riguarda il vestiario maschile 29, in particolare le livree, come quella di velluto carmesino di teliglia di oro et argento et seta, evidentemente così composta: il giuppone listato di oro argento e seta carmesina, otto casacche di velluto negro lavorato, le calze di seta carmesina e gli accessori come le berrette di velluto negro et penne rosse et bianche, otto boemi di rascia con le mostre di velluto lavorato, otto pendenti et centorini (cinturini) di coiro (cuoio) et ferri dorati, ed otto spade dorate, il tutto con la specifica per i pagi. Ed ancora, leonati per il Conte, vi sono sei para di calzoni di tirzanello leonati fod(e)rati di platina et passamani di argento, sei giupponi rigati di seta leonata, sei coiri bianchi a’ taglio guarnuti di passaman(erie) di argento, sette calzette di seta gialla, sei cappelli di tirzanello leonato con sue fasce et pinne leonate et bianchi, ed infine sei cappotti di rascia leonata con le mostre di tirzanello leonato et platina et suo passamano d’argento.
Per gli stafferi (staffieri) sono elencati sei calzoni di rascia et teliglia di argento et passamano di argento, otto giupponi di tela lissata di leonato, sei coijri bianchi guarnuti di pass(ama)no di seta leonata et bianca, quattro para di calzette di saya di majorca, sei ferrioli di panno leonato et suo passamano bianco et leonato, sei cappelli di feltro leonato et sue toiche et penne leonate et bianchi, undici para di calzone di panno mirco (?) guarniti di treze verde et bardiglie, altri undici ferrioli, undici cappelli negri con cinti di velluto negro, undici colletti bianchi guarniti di passamano.
Da ciò è possibile notare come queste confezioni si componevano per costituire un completo, formato di calzone, che probabilmente essendo corto lasciava vedere le calze, la casacca con i colletti, i ferrioli (mantelli), giuppone e cappotto e tra gli accessori anche il cappello.
Per quanto riguarda invece l’arredamento di casa del 1593, le boffette 30 (in altri inventari boffetti, boffettoni, boffettine, boffe, boffettinelle) sono con o senza cascioni (cassetti), grandi o piccole (pichioli), si riscontrano perlopiù in legno di noce o di abete (dabbeti); vi sono cinque boffetti di faggio piccoli, due boffetti di abete bianche, oppure sono lavorati o dipinti (pinti).
Negli inventari del Seicento in generale la boffetta può essere circolare o semicircolare (mezza boffetta) o di forma quadrangolare oppure sperlongata, come quella ottangulare sperlongata, che dovette essere una preziosità anche perchè coperta di landa d’argento gisellata et historiata con l’intrata d’un imperatore et di longhezza palmi tre et un quarto, et di larghezza palmi doi et un quarto con lo pedi della boffetta d’argento consistenti in tre pezzi gesillati, arredo appartenente alla lista di Ottavio Branciforti (1646). La boffetta è inoltre adibita a vari usi, per giocare, per credenza, come piano da lavoro tipo scrittoio; in seguito divenne anche un mobile contenitore con cassetti e scomparti in altezza, e già a fine Seicento, con l’inserimento di un piano inclinato divenne una ribalta. Meno diffusa nel database degli inventari invece è la boffetta per gli ammalati del ricchissimo e vastissimo elenco di Francesco. Nel Settecento la boffetta finirà per diventare anche tavolo da centro o da muro, ovvero la moderna consolle, spesso con il piano in marmo, riccamente intagliata, dorata, o associata ad una grande specchiera. Il suo uso diversificato nel tempo porterà all’evoluzione della sua forma fino ad arrivare ad una nuova tipologia di mobile, la boffetta cosiddetta a canterana, nonchè contenitore che anticiperà il cassettone 31.
Vi è poi nell’inventario di Ercole un paragrafo dedicato esclusivamente al tavolame (Taulami), nel quale vengono elencate le varie tavole con la relativa particolareggiata descrizione. Ad esempio si riscontrano tavole con piede o senza, ma vi sono anche tre tavole di bottiglieria a libro con pede, evidentemente interessante appoggio – contenitore per collocarvi delle bottiglie come le due boffette in noce grandi con tre ferri e palagusti, pure per bottiglieria e credenza dell’inventario di Francesco (è probabile che si tratti delle stesse tramandate); vi è la tavola di credenza oppure di tinello, tre tavole longhe per muro di credenza, nonchè a parete; una tavola di camera del duca della quale si deduce la collocazione come per la tavola per cocina (cucina), ma nel caso della tavola di credenza per gentilomini si deduce invece a chi ne era destinato l’uso.
Tra le lettère (letti) ve ne sono di importanti, come quella grande di noce dorata e carmexina fornita di paviglione, o quella tutta inargentata, oppure quella di noce et dorata, o con li pomi grandi dorati.
In questo documento storico del 1593 viene menzionata solamente la lettèra e mai la trabacca o il letto, arredi fissi questi ultimi e non più smontabili di un periodo posteriore. Dal confronto dei vari inventari si evince che dalla semplice struttura della lettèra costituita da tavole prima (come quella di Francesco a tre tavole con soi trispiti), e da una rete intrecciata poi, si elaborò un modello di letto interamente in legno con barre, spalliera e relative colonne e parti lavorate, come il letto sempre del figlio Francesco, con colonne di noce toccate d’oro con […] poma indorati, fino ad arrivare alla trabacca con baldacchino con i suoi elementi complementari d’ornamento, cortinaggi e paramenti dai tessuti pregiati.
Si rilevano, infine, seggie e seggette, di velluto, di broccato, di tabbì, tutte tappezzate con tessuti pregiati, come la tela di oro con frinza di oro et seta carmesina, oppure la segia di broccato et frinza d’oro et argento et sita gialla. E’ probabile che la segia di tabbì di argento et torchino vecchia, risalga ai primi decenni del Cinquecento. Non mancano le sedie più ordinarie, ve ne sono tre basse vecchie di velluto morato, altre segie vecchie in San Micheli, evidentemente provenienti dalla dimora di San Michele, così come gli otto banchi longhetti pintati verde in San Micheli e i dodici scobelli (sgabelli) pintati verdi in San Micheli, e le più comuni in coiro negro (cuoio scuro). Vi sono poi le sei segge di velluto morato per la sig(no)ra duchessa e le sei segie di velluto torchino per la s(ignor)a contessa. La specifica della destinazione di queste sedute alle nobildonne rimanda probabilmente alla loro relativa forma, tale da consentire forse con una maggiore larghezza l’adagiarsi degli ampi abiti femminili e sottogonne dell’epoca. In altri inventari coevi a quello preso in esame qui (1593), ed in altri di epoche successive, si trovano infatti delle sedute di dama che nel tempo presentavano i braccioli man mano sempre più arretrati rispetto alla seduta. La segetta di lanetta che però presenta la dicitura di Milano, dove probabilmente venne acquistata, forse andava abbinata ai banchi di noce di Milano intagliati; in tal caso anche la sedia sarà stata di legno, magari non imbottita ma rigida, come d’altra parte furono le prime sedie, le più antiche: ad esempio le seggittelle vecchie di noce nera dell’inventario del 1652.
Successivamente, nel Settecento, oltre alla struttura rigida, con o senza spalliera, di legno, in cuoio o in pelle come le otto sedie con montone rosso del XVIII secolo appartenenti all’inventario di Giuseppe I Branciforti del 1720, oppure di varia foggia, compaiono altre tipologie di sedie, caratterizzate dalle imbottiture, tipiche della moda francese, e da pregiati tessuti spesso coordinati nel colore alle tappezzerie dell’arredo di uno stesso ambiente.
Tornando all’elenco di Ercole (1593), vi sono poi, nel capitolo intitolato Quatri diversi, dipinti di soggetto religioso come quello della Annuntiata con suo telaro o quello grande per la Cappella detto Spasimo et telaio et cornicioni dorati tutti, e dipinti di vari soggetti come i 110 di diversi sorti, il quatro della historia di Achille, il ritratto della Signora contessa di Carpegna, o i dodeci quatri di paesaggi intelarati. Interessanti saranno stati gli otto quatri grandi ad oglio di retratti delli p(rincip)i di Casa di Austria et altri, dodeci quatri di Imperatori grandi ad oglio et telari e doi cento altri quatri di diversi ritratti in San Michele; ed ancora i quattro quatri di Giunone, della fortuna, Venere et Pallade. Inoltre, nello stesso inventario, vi sono anche il ritratto del duca di Terranova ed il ritratto del Signore (Ercole Branciforti) che potrebbe essere quello di autore ignoto, in olio su tela, appartenente oggi ad una collezione privata 32.
Confrontando questi dipinti con quelli dell’inventario del nipote di Ercole, Francesco, del 1653, sperando di trovarli tramandati, piuttosto vi sono in quest’ultimo elenco una notevole quantità di quadri dai tanti soggetti religiosi, come ad esempio il quadro di Santa Rosalia con la SS.ma Trinità, quello raffigurante l’Ecce Homo, l’altro con San Giovanni evangelista, la Madonna delli penseri, il Vulto di Christo, Nostro Signore quando comparse alli Apostoli che stavano mangiando, la Maddalena pentita, San Francesco, una Santa inmenzo d’angeli che ‘sta spirando, san Pietro, Lazaro, e tanti altri soggetti dal tema religioso ma anche diversi frutti o paesaggi maretimi.
Quando venne stilato l’inventario testamentario di Agata Lanza Branciforti alla sua morte (1616), che consisterà in «un elenco di beni vari (parati, argenti, arredi e quadri) che la nobildonna nel 1611 ricevette dal marito Ercole, in risarcimento di un debito di onze quattrocento contratto nel 1604 dal defunto figliatro Girolamo» 33, per tale regolamento di conti, Agata recuperava alcuni di quei preziosi beni del marito che nel 1593 aveva dato al figlio. D’altronde l’intraprendente nobildonna aveva già trasferito in città beni come le statue di abbellimento del parco dell’altra sua casa, denominata nel Settecento villa Scordia nonchè l’attuale villa Tasca, a Mezzomonreale, provenienti dal giardino di San Michele 34.
Inoltre la duchessa di San Giovanni aveva voluto fortemente l’ampliamento e la trasformazione della casa di via Maqueda in Palermo, che apportò impegando le sue personali e cospicue risorse economiche provenienti sia dalla dote che aveva ricevuto dal padre, sia dai proventi del patrimonio del suo primo marito, Giuseppe Branciforti e Lanza, conte di Raccuja 35, per cui ella ebbe un ruolo fondamentale nella gestione dei beni immobili e mobili della famiglia, avendo avuto oltretutto nove figli da Ercole che non volle lasciare semplicemente cadetti rispetto al figliastro Girolamo.
- L’Osservatorio per le Arti Decorative in Italia dedicato a Maria Accascina è diretto dalla Professoressa Maria Concetta di Natale che ringrazio. L’OADI è uno strumento imprescindibile per gli studi di arti decorative, sede di informazione che promuove la ricerca fornendo continui nuovi elementi di consultazione attraverso il sito online.[↩]
- La ricerca continua ed il database realizzato da C. D’Arpa e L. Chifari viene ampliato a cura degli stessi studiosi.[↩]
- Gli inventari “post mortem” compresi nel database sono: quello relativo ad Agata Lanza del 1611 (ASPa, archivio Trabia, serie A, vol. 613, cc. 136r-140); Ottavio Branciforti del 1646 (ASPa, archivio Trabia, serie I, vol. 84); Antonio Branciforti del 1658 (ASPa, archivio Trabia, serie I, vol.122, cc. 191r e sgg.); Ercole I Branciforti 1687 (ASPa, notaio Sardo Fontana Onofrio I, vol. 2049, cc. 462r-509r); Giuseppe I Branciforti 1720 (ASPa, notaio Sardo Fontana Francesco, vol. 2165, cc. 1933r-1967v); Ercole II Branciforte 1780 (ASPa, notaio Bascone Nicolò, vol. 6034, cc. 735r-809r); Nicolò Placido Branciforti 1808 (ASPa, archivio Trabia, serie I, vol.25); Lanza-Branciforti (Scordia) 1817/1822 “Inventario del mobile esistente nell’appartamento grande del palazzo di S.E. Sig.r Principe di Trabia in via Maqueda” (Aspa, archivio Trabia, serie A, vol. 986); Catalogo dell’Asta Palermo Palazzo Mazzarino, 1964. Il database è strettamente connesso al volume Vivere e abitare da nobili a Palermo tra Seicento e Ottocento – Gli inventari ereditari dei Branciforti principi di Scordia, degli stessi autori, con saggi di Maria Concetta Di Natale e Gioacchino Lanza Tomasi, pubblicato da Palermo University Press nella collana Artes. Gli ultimi tre inventari aggiunti sono: Matteo Barresi 1532, segnalato da Salvatore La Monica che si ringrazia (ASPa, archivio Trabia, serie I, vol. 245, cc. 139r-154v); Ercole Branciforti 1593 (ASPa, archivio Trabia, serie I, vol. 298, cc.9r-30r), Francesco Branciforti 1652 (ASPa, archivio Moncada di Paternò vol. 50, cc. 211r-383r).[↩]
- ASPa, archivio Trabia, serie I, vol. 298, cc. 9r-30r (Cfr. Nota 3).[↩]
- Sugli inventari dei Branciforti e di altre famiglie nobili di Sicilia cfr. R. F. Margiotta, Dizionario per il collezionismo in Sicilia, in Artificia Siciliae. Arti decorative siciliane nel collezionismo europeo, a cura di M.C. Di Natale, Milano 2016, pp. 305-340. Cfr. anche R.F. Margiotta, Beni Mobili. Patrimonio artistico e committenti in Sicilia dalle fonti d’archivio tra XVI e XIX secolo, Palermo 2020, p.41, 114; Si veda anche V. Abbate, Wunderkammer siciliana. Alle origini del museo perduto, catalogo della mostra (Palermo, Palazzo Abatellis, 4 novembre 2001 – 31 marzo 2002) a cura di V. Abbate, Appendice II, Napoli 2001, p. 296.[↩]
- Relativamente ad Ercole Branciforti cfr. L. Chifari, C. D’Arpa, Vivere e abitare …, 2019.[↩]
- M.C. Di Natale, Orafi, argentieri e corallari tra committenti e collezionisti nella Sicilia degli Asburgo, in Artificia Siciliae…, 2016, p. 17. Cfr. pure Scalisi L., Da Palermo a Colonia. Carlo Aragona Tagliavia e la questione delle Fiandre (1577-1580), Roma 2019.[↩]
- V. Abbate, Wunderkammer e meraviglie di Sicilia in V. Abbate, Wunderkammer siciliana…, 2001, p. 28. Cfr. V. Abbate, La grande stagione del collezionismo. Mecenati, accademie e mercato dell’arte in Sicilia tra Cinque e Seicento, Palermo 2011. I Branciforti ed in particolare Ercole, Duca di San Giovanni, furono molto vicini all’arte ed al collezionismo di opere di oreficeria, di mobili, di pregiate suppellettili e pittura. Rodolfo II d’Asburgo aveva fatto del castello reale di Praga la sua sede di uomo studioso e collezionista di una importante wunderkammer raccogliendo in eredità quella di Ambras, ad Innsbruck: cfr. S. Intorre, Coralli trapanesi nella Wunderkammer del castello di Ambras in Artificia Siciliae…, 2016, pp. 103 – 123.[↩]
- Relativamente agli Scordia v. V. Valenti, La narrazione dei Principi di Scordia. Branciforti e Lanza-Branciforti, in Platea Magna. Studi sulla storia di Scordia. Omaggio a Mauro De Mauro nel bicentenario della nascita (1820-2020), a cura di C.F. Parisi, A. Cucuzza, C. Gambera, Catania 2021, pp. 99-166.[↩]
- Si veda S. La Monica, La plurisecolare egemonia politica e feudale dei Branciforti in Sicilia tra il ‘300 e ‘800 in Sicilia millenaria. Dalla microstoria alla dimensione mediterranea, Atti del II Convegno Internationale (Castello di S. Lucia del Mela (Me) 2016), a cura di F. Imbesi, L. Santagati, pp. 287-306.[↩]
- Del castello resta solo la torre cilindrica annessa a corpi di fabbrica di epoche successive.[↩]
- ASPa, Archivio Moncada di Paternò, vol. 84, cc. 57v – 58r. v. L. Chifari, C. D’Arpa, Vivere e abitare… 2019, p. 38.[↩]
- ASPa, Archivio Trabia, Serie I, vol. 298, cc. 551v, in data 10 giugno 1633.[↩]
- Si veda M.C. Di Natale, I giogali di diamanti ed oro dei Branciforti in L. Chifari, C. D’Arpa, Vivere e abitare …, 2019, pp. 159-166.[↩]
- Ercole nel 1588 era stato insignito da Filippo II del titolo ducale di San Giovanni (ASPa, Archivio Moncada di Paternò, vol. 143, ff. 395r-403v) che detenne finchè visse (1620), trasferendolo con testamento direttamente al nipote Francesco Branciforti e Gioeni-Cardona, figlio di Girolamo, già conte di Cammarata, che premorì al padre nel 1605. Cfr. Ivi, p. 37.[↩]
- In merito alla storia del palazzo di via Maqueda si rimanda a L. Chifari, C. D’Arpa, Vivere e abitare …, 2019, pp.35-64. Alla morte di Isabella Aragona nel 1598, Ercole nel 1599 contrasse per la seconda volta matrimonio con Agata Lanza che gli diede altri nove figli. La coppia possedeva oltre al palazzo oggi Mazzarino, anche un’altra villa ubicata alle porte della città di Palermo, sulla strada di Mezzomonreale, oggi villa Tasca.[↩]
- Nel citato documento di Francesco Branciforti si evince che i materassi venivano lavorati anche in casa per la presenza di un tilaro (telaio) d’empire matarazzi.[↩]
- Una ricerca ha dimostrato con documenti certi che alcuni pezzi della collezione di armi esposta nelle sale dell’armeria di Capodimonte non provengono dalla collezione di pertinenza Farnese ma da un’antica raccolta siciliana e «ne riporta la collocazione originaria nella ricca armeria conservata nel Castello di Canicattì per poi essere donati a Ferdinando di Borbone nel 1800 da Giuseppe Bonanno Branciforte, principe della Cattolica, che li considerava, erroneamente, appartenuti a Ruggero I. Armi che oltre all’intrinseco valore artistico documentano l’interesse per lo spirito della cavalleria rivissuto nella Sicilia del secondo Cinquecento […]»: L. Mochi Onori, Introduzione, in U. Bile, Le armi del cavaliere giostrante, Napoli 2011, p. 7.[↩]
- Sulle carrozze in uso in Sicilia si veda Carrozze d’epoca, a cura di M.E. Volpes, Palermo 2005.[↩]
- Si veda L. Chifari, C. D’Arpa, Vivere e abitare…, 2019, p.106. Cfr. anche Di Castro D., Arredi siciliani: note documentarie in V. Abbate, Wunderkammer siciliana…, 2001, pp. 89-98.[↩]
- Per un approfondimento sulla mobilia si veda: M. Giarrizzo, A. Rotolo, Mobili e mobilieri nella Sicilia del Settecento, Palermo 1992; M. Giarrizzo, A. Rotolo, Il mobile siciliano, Palermo 2004; E. Colle, Il mobile barocco in Italia. Arredi e decorazioni d’interni dal 1600 al 1738, Milano 2000; P. Palazzotto, Arredi artistici e mobilieri. Una rassegna come contributo allo studio dell’abitare a Palermo tra fine del XVIII e la prima metà del XIX secolo, in Abitare l’arte in Sicilia. Esperienza in Età Moderna e Contemporanea, a cura di M.C. Di Natale, P. Palazzotto, Palermo 2012, pp. 61-82.[↩]
- Un vaso a gotta o a gottargo probabilmente si può riferire a quanto riscontrato che di seguito si riporta: «[…] gli antichi coloni del lago di Varese fabbricavano le loro stoviglie pestando e riducendo in sabbia grossolana i ciottoli dioritici, provenienti dalle regioni del San Gottargo […], facendone coll’argilla un impasto, ne foggiavano vasi di diverse forme, cuocendoli al sole od alla fiamma.». V. A. Stoppani, Abitazioni lacustri della Lombardia in Atti della Società Italiana di Scienze Naturali, Vol. V, Milano 1863, pp. 154-163 ed in particolare p. 156. Trattandosi però nel nostro inventario di vasi in argento, è molto più probabile che nel tempo il gotto sia diventato un tipo di vaso e cioè che la dicitura indichi una forma, come si può pensare con altri due gotti di Alemagna con piede basso, oppure denoti soltanto la provenienza.[↩]
- Le loro lunghezze variano da 14 a 16 palmi (3,5-4 m.).[↩]
- P.M. Carbone, L’arazzo d’oro dei Branciforti. Una storia da attraversare, un’arte da raccontare, una simbologia da interpretare, Palermo 2022.[↩]
- L. Chifari, C. D’Arpa, Vivere e abitare…. 2019, p. 83, 85 fig. 55.[↩]
- L’ipotesi probabilmente verrà confermata o meno dall’analisi storica e stilistica di questi beni tessili, recentemente oggetto di studio da parte del Professore Maurizio Vitella dell’Università degli Studi di Palermo.[↩]
- L. Chifari, C. D’Arpa, Vivere e abitare…. 2019, p. 85 fig. 56, 94 (Nota 14).[↩]
- Per quanto riguarda la definizione di letto cosiddetto da camino, ovvero da cammino, quindi da viaggio (il termine “camino” in spagnolo significa strada), Ivi, p. 111.[↩]
- Per quanto riguarda la moda siciliana del XVI secolo, cfr. M. La Barbera, Il costume in Sicilia nella seconda metà del Cinquecento in „OADI Rivista dell’Osservatorio per le Arti Decorative in Italia“, Anno I, n. 1, giugno 2010, pp. 152-179.[↩]
- L’etimologia del termine boffetta proviene dal francese bouffet che indica il tavolo.[↩]
- Per ciò che concerne boffette e tavoli, V. L. Chifari, C. D’Arpa, Vivere e abitare…, 2019, p. 102.[↩]
- Per il ritratto citato di Ercole Branciforti si vedano M.C. Di Natale, Gioielli di Sicilia, Palermo 2000, II ed. 2008, pp. 23-24, 160 e L. Chifari, C. D’Arpa, Vivere e abitare…, 2019, p. 37, fig. 11. Per altri ritratti della nobile famiglia V. Abbate, Il tesoro perduto: una traccia per la committenza laica nel Seicento, in Ori e Argenti di Sicilia dal Quattrocento al Settecento, catalogo della Mostra a cura di M.C. Di Natale, Milano 1989, p. 48.[↩]
- L. Chifari, C. D’Arpa, Vivere e abitare…, 2019, p. 27.[↩]
- L. Chifari, C. D’Arpa, Vivere e abitare…, 2019, p. 40.[↩]
- Cfr. S. Montana, Una committenza siciliana tra Cinque e Seicento. Le architetture dei Branciforte di Raccuja (1551-1661), tesi di Dottorato in Storia dell’Architettura e Conservazione dei Beni Culturali, XXIV ciclo, A.A. 2013/2014.[↩]