Angelo Maria Spinazzi argentiere nella Roma del Settecento: la committenza portoghese
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DOI: 10.7431/RIV26072022
1. Angelo Maria Spinazzi, argentiere a Roma nel Settecento 1
Benché fosse di origine piacentina, Angelo Maria Spinazzi svolse la sua attività di argentiere a Roma, dove risiedeva dal 1721: il 26 gennaio di quell’anno, infatti, aveva ottenuto la patente che gli avrebbe consentito di eseguire lavori marchiandoli con il proprio bollo.
La sua formazione ebbe inizio nella città natale, nella bottega del padre, di nome Angelo come lui, esperienza che lo rese fiducioso di riuscire nell’ambiente romano poiché, ancor prima di ottenere la patente, aveva già preso in affitto, il 1° gennaio 1721, un laboratorio in via del Corso, nelle immediate vicinanze della casa degli «Illustrissimi signori Verospi» e davanti al palazzo degli altrettanto «Illustrissimi signori Dall’Aste, per uso di argentiere» 2. Nello stesso anno, Spinazzi lavorava già per Giovanni V, re del Portogallo, su commissione dell’ambasciatore André de Melo e Castro, Conte das Galveias (1668-1753), come vedremo più avanti.
Al decennio successivo corrisponde un’attività legata soprattutto al Vaticano e alla famiglia di papa Clemente XII. Per loro Spinazzi eseguì diverse opere di argenteria di destinazione laica e altre di carattere liturgico destinate alla cappella della famiglia Corsini nella Basilica di San Giovanni in Laterano 3.
Nel 1740 fu eletto secondo console della corporazione degli argentieri romani ricoprendo quindi, tra il 1746 e il 1748, la carica di Camerlengo 4. Circa quattro anni dopo, il 10 maggio 1744, prese in affitto un appartamento nella prima scala del palazzo Massimo di Pirro 5.
Negli anni Quaranta, come si è detto, lo ritroviamo coinvolto nella realizzazione dell’argenteria destinata alla cappella di San Giovanni Battista di Lisbona, di cui ci occuperemo oltre.
Nel 1750 abitava nell’isolato accanto alla chiesa di S. Pantaleo (Parrocchia di Sant’Eustachio) al civico 12. La bottega si trovava in casa 9, situata a destra del portone di palazzo Massimo alle Colonne, esattamente sullo stesso fronte urbano dove aveva avuto la residenza dal 1744. La famiglia era allora composta dalla moglie, la cinquantenne Laura Boardi (figlia di un orafo, Goffredo Boarda, di Liegi), e da sette figli, tra cui Innocenzo (scultore), allora ventiquattrenne, e Gregorio, di undici anni, futuro argentiere 6.
All’inizio degli anni Cinquanta, Spinazzi era impegnato nella realizzazione del paliotto raffigurante la Natività di Maria, con i Santi Marziano e Lucia 7, per il Duomo di Siracusa (1752), e anche in altre opere destinate alla Cattedrale di Catania.
Costretto a trasferirsi a Bologna per volere di papa Benedetto XIV, il 27 maggio 1755 rinunciò al camerlengato 8, non senza prima fare vedere in una stanza del palazzo del Quirinale, come racconta il sempre aggiornato Chracas: «un nuovo nobilissimo gradino da Altare, che la Santità di Nostro Signore ha fatto fare per trasmettere in dono alla Chiesa Metropolitana di Bologna; del medesimo è stato l’inventore, ed esecutore il virtuoso Professore di lavori d’argento Signor Angelo Spinazzi Piacentino, che già più volte ha avuto l’onore di servire la Santità Sua in consimili lavori da mandarsi a Bologna […].» 9. Ancora attivo a Bologna, nel 1756 consegnò una muta di sei candelieri con croce d’altare per la Cattedrale di San Pietro 10, realizzata con la collaborazione dell’argentiere romano Filippo Tofani (1694-1767).
Concluso il lavoro a Bologna, rientrò a Roma tra il 1758 e il 1761, dove ricoprì nuovamente la carica di Camerlengo 11. Dal 1767 risulta assente dalla sua residenza e bottega 12. Sebbene gli ultimi manufatti a lui riferiti sembra siano due lampade in argento dorato (appartenenti alla Diocesi di Piacenza-Bobbio), con un’iscrizione indicata al 1768, secondo Bulgari in realtà nel 1785 Angelo Spinazzi era ancora vivo 13, segnalandosi il suo decesso soltanto nel 1789 14.
2. La committenza portoghese: i lavori per l’ambasciata del Conte das Galveias
Come abbiamo avuto occasione di notare, si individuano lavori eseguiti da Angelo Spinazzi per l’ambasciata portoghese nell’Urbe sin dall’inizio degli anni Venti.
Infatti, tra il 1721 e il 1724, egli eseguì diversi pezzi, con regolari pagamenti registrati, come risulta dai conti dell’ambasciata conservati tra i fondi documentari della Biblioteca da Ajuda di Lisbona 15.
L’ambasciatore André de Melo e Castro, Conte das Galveias, fu sicuramente uno dei primi clienti dell’argentiere fresco di patente. Gli oggetti realizzati da Spinazzi in quell’occasione ebbero una destinazione esclusivamente laica. Tra il 1721 e il 1723, l’argentiere piacentino fu pagato 5.111:90 scudi per un insieme di pezzi descritto come un «sortù» (surtout de table), composto dalla «Pianta intera […] con piastra», tutta in argento (con legno e ferro): il «Trionfo di mezzo» con la sua piastra; quattro basi di porta olio; quattro copertine delle caraffe; due zuccheriere e due saliere; otto «cornacopij»; sei sottocope grandi; otto sottocoppe piccole; quattro scalda vivande; due candelieri con «cornacopij»; dodici candelieri semplici; una caffettiera; trenta posate «intiere da tauola»; due secchi; settantadue tondini 16. Sappiamo anche che «Angelo Spinazzi approuo il Detto Conto» 17.
Il 24 maggio 1721 risulta anche un pagamento (fuori dall’insieme di pezzi di «argenti di credenza» già menzionati) di 97:14 scudi per altre dodici posate in argento specificamente commissionate da «Sua Eccellenza», «per uso della Tauola in detta Congiuntura» 18. La «congiuntura» era un pranzo cui si contava avrebbero partecipato l’ambasciatore e i due cardinali portoghesi appena arrivati a Livorno (il 18 maggio) per presenziare al conclave riunito in seguito alla morte di Clemente XI. In effetti, D. Nuno da Cunha de Ataíde (1664-1750) e D. José Pereira de Lacerda (1661-1738), partiti da Lisbona il 9 maggio, sarebbero arrivati a Roma il 29, ovviamente in ritardo per il conclave destinato a scegliere il successore di papa Albani: Michelangelo Conti (già nunzio a Lisbona), infatti, fu eletto l’8 maggio e incoronato il 18, come Innocenzo XIII. Il cardinale da Cunha rimase nella città pontificia fino al mese di maggio del 1722, e fino al mese di aprile di 1728 il cardinale Pereira, partito soltanto in seguito all’interruzione dei rapporti diplomatici tra il Portogallo e la Santa Sede 19.
Sia nel 1723 che nel 1724 i pagamenti a Angelo Spinazzi proseguono: essi non consentono però di comprendere a quale tipo di oggetto corrispondessero esattamente; in effetti, si nominano genericamente «argenti fatti per il servizio di Sua Eccellenza» 20. Il conto del 1723, «conto de lauori fatti per proprio servizio di Sua Eccelenza il Signor Ambasciatore», fornisce tuttavia alcune informazioni più concrete. Spinazzi aveva eseguito diversi oggetti legati al consumo del tè: tazze, cucchiai, una teiera, una zuccheriera e aveva anche fatto delle guarnizioni in argento per tazzine e piattini 21.
Un pagamento, datato 16 ottobre 1724, comporta però un elemento diverso e importante: i 66 scudi allora ricevuti da Spinazzi riguardavano «Argenti da lui fatti, e fattura, si di Sua Maestà, come di Sua Eccellenza, sino al presente giorno» 22, ossia, per la prima volta si menziona esplicitamente che i lavori di argento eseguiti da Angelo Maria Spinazzi si destinavano non solo al servizio all’interno dell’ambasciata portoghese a Roma ma anche a quello del sovrano stesso, in Lisbona. Il dato è confermato dal pagamento successivo, del 21 ottobre, riguardante un boccale: «per saldo di Vn Bocale di Argento fatto da lui per Sua Maestà» 23. La ricevuta di Spinazzi è altrettanto chiara: «per un Bocale di Argento da me fatto per Sua Maestà» 24.
Curiosamante, circa trent’anni più tardi, nel testamento del Conte das Galveias (steso a Lisbona, il 28 Gennaio 1753) 25, si rifferiscono diversi oggetti in argento che forse potrebbero rimandarci a qualche uno tra quelli realizzati da Spinazzi negli ormai distanti anni venti. Però, sia il modo generico come i pezzi vengono menzionati, che la loro presenza ricorrente nel contesto domestico del Settecento (candelieri, una teiera, tazzine da tè, ecc.), non ci consentono di intraprendere una diretta corrispondenza.
Dopo questi pagamenti, risalenti alla prima metà degli anni Venti, non abbiamo riscontrato, nell’ambito della ricerca archivistica da noi condotta, ulteriori elementi riguardanti Angelo Spinazzi tra i pagamenti relativi ad artisti. Nemmeno per quanto riguarda il decennio successivo, in cui si individuano diversi altri argentieri romani (tra cui gli Arrighi, Giovanni Paolo Zappati, Giacomo Pozzi, ecc.), al servizio sia dell’ambasciata che dell’Accademia di Portogallo in Roma 26 e della Corona stessa, in particolare nell’ambito della realizzazione del corredo liturgico destinato alla reale Basilica della Madonna e di Sant’Antonio di Mafra 27.
Non sono stati reperiti, infine, pagamenti a Spinazzi neppure tra le carte dell’Archivio dell’Istituto Portoghese di S. Antonio di Roma: ciò potrebbe indicare che nemmeno i Governatori della chiesa nazionale avrebbero richiesto i servizi dell’argentiere. Ma la spiegazione potrebbe essere ben altra, e cioè che Angelo Maria Spinazzi potrebbe non essere stato disponibile perché troppo preso dai lavori sia per il Palazzo Apostolico, che per la cappella Corsini in San Giovanni in Laterano. Quegli anni, infatti, come si è accennato, corrispondono al periodo dell’attività legata soprattutto al Vaticano e alla famiglia di papa Clemente XII in cui Spinazzi eseguì diverse opere di argenteria destinata ad uso laico per il Palazzo Apostolico e altre di carattere religioso destinate alla cappella famigliare dei Corsini.
3. Spinazzi e la collezione di argenti della cappella di San Giovanni Battista: la muta nobile e la questione dell’eventuale paternità del progetto dei torcieri monumentali
Nell’ambito del cospicuo nucleo di opere di argenteria romana della prima metà del Settecento che costituisce la collezione della cappella di San Giovanni Battista, eretta dal re Giovanni V nella chiesa di San Rocco di Lisbona, interamente realizzata a Roma con progetto degli architetti Luigi Vanvitelli (1700-1773) e Nicola Salvi (1697-1751) 28, Spinazzi fu responsabile del disegno della cosiddetta “muta nobile”, cioè l’insieme di sei candelieri e croce d’altare per le celebrazioni solenni 29, nonché della realizzazione di una delle coppie di candelieri (Fig. 1) 30.
Infatti, ritroviamo riferimenti all’argentiere piacentino nei libri dei conti dell’ambasciata portoghese a Roma vent’anni dopo gli ultimi pagamenti del 1724: data al 19 agosto 1744 un primo compenso riguardante la muta di candelieri e croce d’altare destinata alla cappella regia della chiesa di San Rocco, la cui commissione risaliva a due anni prima, mentre l’ordine specifico del corredo liturgico era stato dato il 9 marzo di quello stesso 1744. Nella dettagliata lettera inviata da Lisbona (Fig. 2) all’allora ambasciatore, Manuel Pereira de Sampaio (1691-1750), si coglie la citazione della muta di candelieri e croce (Fig. 3), chiedendo che le tre coppie di candelieri fossero di dimensioni diverse (grande, medio e piccolo) e realizzate con la massima perfezione possibile: «Una muta di sei candelieri di altare con la loro Croce di argento dorato in proporzione con la grandezza dell’altare della Cappella; i tre candelieri su ciascun lato diminuiranno dal più grande al più piccolo alla nona parte del più grande […], essendo tutti fatti di ecceellente idea e il migliore che possibile sia.» 31.
Il progetto dell’insieme sarebbe dovuto a Spinazzi, come lasciano intendere sia i pagamenti che il disegno pervenuto nel codice intitolato Libro degli Abbozzi de Disegni delle Commissioni che si fanno in Roma per Ordine della Corte, più conosciuto come Weale Album, appartenente alla Bibliothèque de l’École Nationale Supérieure de Beaux-arts di Parigi 32 (Figg. 4a – 4b).
L’elevato livello del progetto è evidente nell’elaborata composizione e, soprattutto, nella complessità decorativa che i pezzi esibiscono. Come già notato dalla Montagu 33, nelle basi dei candelieri si osservano figurazioni di Virtù, la cui fonte iconografica è una serie di incisioni realizzate da Giovanni Lanfranco (1582-1647), sulla base di sculture di Gianlorenzo Bernini, pubblicate da Lelio Guidiccioni nel 1623, nell’opera intitolata Breve Racconto della Trasportazione del Corpo di Papa Paolo V. dalla Basílica di S. Pietro à quella di S. Maria Maggiore… 34.
Il modello del Cristo della croce d’altare (Fig. 5), che nella citata lettera del 9 marzo 1774 si desiderava fosse realizzato «dal più insigne scultore che ci fosse» 35, fu infatti eseguito da Giovanni Battista Maini (1690-1752) 36, scultore che conobbe il favore del re Giovanni V, comparendo sempre come la prima scelta nelle commissioni riguardanti opere di scultura 37.
Benché la muta sia dovuta a un disegno dello Spinazzi, la croce fu eseguita da Giovanni Felice Sanini (1727-1787) 38 e da Tommaso Politi (1717-1796), mentre i candelieri furono realizzati dallo stesso Politi e da Francesco Antonio Salci (1715-1766), come dimostrano ancora una volta i libri dei conti dall’ambasciata portoghese in Roma 39.
Pur seguendo uno stesso disegno, la qualità tecnica dei candelieri eseguiti da Spinazzi si fa sentire, non soltanto da un attento osservatore ma fu anche riconosciuta dai suoi pari. In effetti, nel significativo volume di documenti redatti nell’ambito del processo giudiziario mosso dagli eredi (la vedova, Costanza Fattori, e i figli) di Giuseppe Gagliardi (1697-1749) in seguito al decesso dell’ambasciatore Manuel Pereira de Sampaio, avvenuto il 13 febbraio 1750 40, di cui diremo oltre, gli argentieri «professori», come sono chiamati, Filippo Tofani (1694-1767), Antonio Vendetti (1699-1796) e Bartolomeo Boroni (1703-1787), tutti coinvolti nella committenza portoghese del regno di Giovanni V, non hanno esitato a stimare i due candelieri di Spinazzi 20 scudi per libbra, mentre quelli eseguiti da Politi e Salvi erano valutati soltanto 17 scudi per libbra 41.
I pagamenti ad Angelo Maria Spinazzi per il suo lavoro nella cosiddetta «muta nobile» proseguono fino al 1751 42, in un momento successivo alla morte del re Magnanimo, avvenuta nel luglio 1750.
Alle collezioni di argenti romani della cappella di Lisbona appartengono anche il paio di torcieri monumentali 43 – realizzati da Giuseppe Gagliardi e da suo figlio Leandro Gagliardi (1729-1804) – a cui fu associato Spinazzi (Fig. 6).
Nell’ambito del processo giudiziario sopra menzionato, avvenuto in seguito al decesso dell’ambasciatore Pereira de Sampaio, Angelo Spinazzi, il 23 luglio 1756, attesta sotto giuramento di aver realizzato, nell’anno 1744, un disegno che fu allora approvato dal diplomatico portoghese. Così, nel luglio 1756, egli cercò di dimostrare come i Gagliardi avessero utilizzato il suo disegno, fatto a nostro parere non del tutto provato. Il testo delle dichiarazioni di Spinazzi è estremamente curioso e giustifica la citazione: «Attesto io sottoscrito, e faccio fede mediante (?) ancora il mio giuramento, che nel anno 1744 mi fù ordinato dalla ch. memoria il Signore Commendatore Zampaja [sic] di ffare il disegno, e modello del Candeliere Nobile per la Regia Venerabile Cappella della felice memoria di Sua Maestà il Rè di Portogallo defonto, quale da me eseguito, fu successivamente d’ordine del medesimo Signore Commendatore mandato a prendere dal Signor Gagliardi il modello sudetto acciò esso Signore Gagliardi potesse sul modello sudetto lavorare i torcieri a lui commessi; ma non volendo io sotto scrito consegnare il modello sul giusto motivo, che non era peranche terminato, ed uscito della luce il lavoro dè Candelieri; fu perciò richiesto di farne prendere il disegno; ed in fatti il detto Signore Gagliardi mandò un Giovane forestiere, o sia Intagliatore da me non cognito, il quale fecce il disegno del sudetto candeliere dal modello nel mio negozio, e tutto ciò posso per verità deporre per essere mio fatto proprio, averne piena memoria; ed in causa di scienza. In fede questo di 23 Luglio 1756. Io Angelo Spinazzi Professore Argentiere affermo (?) questa sopra mano propria.» 44.
Facendo fede a quanto afferma l’argentiere, si dovrebbe anche a lui l’idea dei torcieri monumentali che tuttora si custodiscono nel Museu de São Roque. L’assenza di ulteriori conferme non consente di procedere con affermazioni definitive per quanto riguarda questo soggetto, molto più complesso, con tanti e diversi interventi, e già affrontato da Jennifer Montagu nel 1996, e soprattutto nel testo del 2004, sopra ricordati.
Non può tuttavia essere ignorata la già notata somiglianza della struttura, e in particolare della parte inferiore di questi torcieri monumentali con quella dei candelieri e croce d’altare destinati all’uso solenne nella cappella di Lisbona 45, il cui disegno apparterrebbe a Spinazzi, come abbiamo visto (Figg. 7a – 7b). Questa stessa somiglianza risulta evidente anche dal confronto dei corrispondenti disegni che fanno parte del Libro degli Abbozzi… (Figg. 8a – 8b). Discutendo le quattro possibilità riguardanti la paternità del disegno dei torcieri la Montagu, nel 1996, considerava l’ipotesi di eliminare Spinazzi dalla discussione, visto che nella documentazione pervenuta non c’era evidenza che lui potesse essere associato a questo lavoro. Nel suo successivo articolo la studiosa affermerà che i documenti della Biblioteca da Ajuda, gettano altra luce sul tema: «The visual evidence is all in favour of Spinazzi: it is just not possible that the two works were made entirely independently one of the other, and the heirs of Gagliardi provided no explanation for their similarities […].» 46. Tenendo conto di tutto questo bisognerebbe per lo meno considerare il rientro di Spinazzi nell’ambito della discussione riguardante la paternità del disegno dei torcieri monumentali della cappella di San Giovanni Battista; in effetti, leggendo tutte le carte finora scoperte in rapporto con il processo giudiziario (bisogna ricordare che sono tre i gruppi di documenti: nei fondi dell’Archivio Vaticano, in quelli dell’Archivio dell’Istituto Portoghese di S. Antonio in Roma e della Biblioteca da Ajuda di Lisbona) e mettendo a confronto le affermazioni in esse contenute, si può accettare la possibilità che il disegno base dei due torcieri monumentali realizzati dai Gagliardi appartenga ad Angelo Spinazzi 47.
Tenendo conto che i candelieri e croce d’altare sono i primissimi pezzi elencati nell’ordine emanato da Lisbona il 9 marzo 1744 e che il primo pagamento (300 scudi) effettuato a Spinazzi risale al 19 agosto successivo 48, si può considerare che l’argentiere si sia messo subito al lavoro, e per farlo dovrebbe avere presentato un disegno degli oggetti da eseguire. Per quanto riguarda i torcieri, essi sono i secondi pezzi menzionati nel già citato ordine del 9 marzo del 1744, e il primo pagamento a Giuseppe Gagliardi è datato 14 novembre 49. Ciò che immaginiamo possa essere successo è che si sia deciso (con grande probabilità per volere dell’ambasciatore Manuel Pereira de Sampaio) che i torcieri dovessero seguire la struttura dei candelieri della cosiddetta “muta nobile”, il cui disegno sarebbe sicuramente piaciuto. L’ipotesi spiegherebbe l’affermazione di Spinazzi che si legge nel manoscritto della Biblioteca da Ajuda, del 23 luglio 1756: “fu successivamente d’ordine del medesimo Signore Commendatore mandato a prendere dal Signor Gagliardi il modello sudetto acciò esso Signore Gagliardi potesse sul modello sudetto lavorare i torcieri a lui commessi” 50. L’altro documento, datato poco dopo, il 7 ottobre successivo, appartenente all’Archivio dell’Istituto Portoghese di S. Antonio di Roma e già pubblicato dalla Montagu 51, chiarisce anche (dal punto di vista dello Spinazzi, s’intende) le circostanze: «Si fa sapere da me sottoscrito mediante ancora il mio giuramento, che siccome nel’anno 1744. me fu ordinato della chiara memoria del Commendatore Sampajo incaricato in Roma degli affari, e Commissioni di S. M. Fedelissima il Re di Portogallo, che facessi un Disegno, e Modello da servire per una Muta di Candelieri Nobili per la Cappella dello Spirito Santo 52 nella Chiesa di San Rocco di Lisbona, mostrai a detto Signor Commenadore un Disegno, che avevo presso di me, qual’essendo al medesimo piaciuto […] m’incaricò subito che ne facessi il Modello &c., e mentre questo si stava lavorando &c. Si portò da me un Giovane forastiero da me non cognito, che poi mi fu detto essere un Intagilatore di legno, il quale mi fecce istanza per avere il sudetto Modello, che siccome non era ancora terminato, ed uscito alla luce il lavoro delli detti Candelieri, gli permisi semplicemente che ne copiasse il Disegno, quale poi sepi che il Signor Carlo Pacilli Intagliatore di legno l’eseguiva facendone un Modello in grande per appropriarlo a due Torcieri d’argento dorato, che doveva fare, come fece Giuseppe Gagliardi […].» 53.
Dobbiamo però tener conto che i torcieri successivamente subirono delle modifiche, cui Spinazzi sarebbe completamente estraneo; perciò non avrebbe senso parlare di un’eventuale paternità dell’argentiere per quanto riguarda i torcieri monumentali della cappella di San Giovanni Battista. A lui apparterrebbe quindi soltanto il disegno base (realizzato per i candelieri e croce destinati all’uso solenne) su cui hanno poi lavorato i Gagliardi, con contributi anche di Giovanni Battista Maini, responsabile dei modelli delle figure (dottori della chiesa, angeli, atlanti, ecc.).
Il disegno di un torciere, già pubblicato da Alvar González-Palacios (1995) e da Jennifer Montagu (1996) 54, non contribuisce a un chiarimento del soggetto, visto che non rivela delle differenze importanti riguardanti il disegno del Libro degli Abbozzi…. (Figg. 9a – 9b), poiché il più significativo cambiamento è lo spostamento delle armi reali portoghesi dal piede alla parte superiore del primo registro.
4. Spinazzi e Lisbona: gli ultimi lavori
Angelo Maria Spinazzi è tra i pochi argentieri che continuarono a lavorare per l’ambasciata portoghese a Roma dopo il completamento degli ordini di Giovanni V e dopo la morte del sovrano stesso, avvenuta nel luglio 1750, come si è detto. In effetti, dal 8 marzo 1753 si individuano pagamenti relativi a oggetti di uso laico: vasi, piatti, un “sortù”, tondini, ecc., che ci fanno ripensare alle commissioni dagli anni Venti. Si tratta principalmente di oggetti destinati al servizio della tavola e i pagamenti effettuati sono di modesta entità 55. I pagamenti si succedono fino al 1756, ma non è chiaro se i pezzi fossero destinati all’uso dell’ambasciata o se invece dovessero essere inviati a Lisbona.
In un certo senso è come se si chiudesse un cerchio: gli ultimi lavori eseguiti dallo Spinazzi nell’ambito della committenza portoghese ci rimandano a quelli commissionati dall’ambasciatore André de Melo e Castro, Conte das Galveias, trent’anni prima. Però i tempi erano ben altri, sia a Roma che a Lisbona. Quest’ultima, come è noto, fu colpita, il primo dicembre 1755, dall’immensa distruzione causata dal terremoto, che portò con sé, oltre alla vita delle persone, un’enorme quantità di opere d’arte di immenso valore, fra cui molti degli splendidi argenti romani commissionati da Giovanni V.
- Gli elementi biografici che qui si presentano sono una sintesi realizzata nell’ambito di una ricerca, di più ampio respiro, sui Spinazzi che è in corso; sono stati selezionati quelli riguardanti i momenti cronologici che più interessano tenendo conto del tema in esame: la committenza portoghese.[↩]
- Cfr. C. Bulgari, Argentieri, Gemmari e Orafi d’Italia, vol. II, Roma 1958-1959, p. 433; Archivio Storico di S. Eligio, Roma, UOA-12-157 (antica collocazione: 382).[↩]
- Cfr. C. Bulgari, Argentieri, Gemmari e Orafi …, 1959, vol. II, p. 433; F. Caraffa, La Cappella Corsini nella Basilica Lateranense (1731-1799), in “Carmelus”, vol. 21, fasc. 2, 1974, pp. 281-338; si veda anche C. Napoleone-A. Marchionne Gunter, La Cappella Corsini nella Basilica di San Giovanni in Laterano, Milano 2001; A. González-Palacios, “Angelo Spinazzi (1700-1767); Agostino Cornacchini (1685-1740ca.). Coppia di Angeli”, in Giovanni V di Portogallo e la Cultura Romana del suo Tempo, a cura di S. Vasco Rocca-G. Borghini, Roma 1995, p. 459, cat. nº 92 e A. González-Palacios, “Open Queries: Short Notes About the Decorative Arts in Rome”, in Art in Rome in the Eighteenth Century, a cura di E. P. Bowron-J. J. Rishel, Philadelphia 2000, pp. 161 e 183.[↩]
- Cfr. C. Bulgari, Argentieri, Gemmari e Orafi…, 1959, vol. II, p. 433.[↩]
- Consistente in cinque stanze, cucina, altre stanze e una bottega ad uso d’argentiere per l’affitto annuo di ottantacinque scudi – cfr. C. Bulgari, Argentieri, Gemmari e Orafi …, 1959, vol. II, p. 433.[↩]
- Oltre a Innocenzo (1726-1798) e Gregorio (1736-1806), gli altri figli erano: Maria Teresa, di 26 anni, Girolamo, di 22, Francesca, di 15, Giovanni Domenico, di 13, e Maria Rosa, di 5 anni. Ci viveva anche un servitore, di nome Giuseppe Curti, originario della diocesi di Como – si veda Studi sul Settecento Romano. Artisti e Artigiani a Roma I, Degli Stati delle Anime del 1700, 1725, 1750, 1775, collana di studi diretta da E. Debenedetti, vol. 20, Roma 2004, p. 196.[↩]
- Il cui aveva di peso totale 101 libre, 2 oncie e 6 denari e che costò 1914 scudi e 95 baiocchi – cfr. C. Bulgari, Argentieri, Gemmari e Orafi …, 1959, vol. II, p. 433.[↩]
- Cfr. C. Bulgari, Argentieri, Gemmari e Orafi …, 1959, vol. II, p. 433.[↩]
- Chracas, Diario Ordinario, Nº 5970, 24 maggio 1755, pp. 15-16; l’opera si può ammirare tuttora nel Tesoro della Cattedrale di Bologna.[↩]
- Si veda Il Tesoro di San Pietro in Bologna e Papa Lambertini, a cura di F. Varignana, Bologna 1997, pp. 192-193 e I. J. Garcia Zapata, El Arte de la Platería em Bolonia durante los Siglos XVI-XVIII, tesi di Dottorato in Arti Visive, Performative e Mediali, Alma Mater Studiorum-Università di Bologna, 2018, pp. 140-141 (http://amsdottorato.unibo.it/8484/ ), parzialmente pubblicata come I.J. Garcia Zapata, Gremio y ajuares de platería en Bolonia durante la Edad Moderna, Murcia 2019.[↩]
- Archivio Storico di S. Eligio, Roma, UOA-12-166-002 (antica collocazione 391).[↩]
- Cfr. C. Bulgari, Argentieri, Gemmari e Orafi Orafi …, 1959, vol. II, p. 433.[↩]
- Cfr. Ibidem.[↩]
- Ibidem.[↩]
- Si veda T.L.M. Vale, Ourivesaria Barroca Italiana em Portugal: presença e influência, Lisbona 2016, pp. 584-586 (tabella 37).[↩]
- Biblioteca da Ajuda, Lisbona (d’ora in poi BA), Ms. 49-VI-15, ff. 359-368 («Conto dell’argenti fatti d’Angelo Spinazzi Argentiere d’Ordine di Sua Eccellenza il Signor Ambasciatore di Portogallo»); i conti rimasero completamente regolati nel Settembre 1723 (cfr. BA, Ms. 51-XIII-48, f. 4).[↩]
- BA, Ms. 49-VI-15, f. 361v.[↩]
- BA, Ms. 49-IX-21, f. 111 (e anche BA, Ms. 51-XIII-48, f. 24).[↩]
- Su questo tema si veda T.L.M. Vale, L’interruzione dei rapporti diplomatici tra il Portogallo e la Santa Sede nel 1728: l’impatto sugli artisti e sulle opere in corso, in Arts and artists in the pontifical diplomacy network between Pius II and Pius XI, atti delle giornate di studio, in corso di stampa; sul soggiorno romano e la committenza dei due cardinali si veda Eadem, Da Igreja e do Palácio. Estratégias e práticas de mecenato artístico dos cardeais joaninos entre Portugal, Itália e França, Lisbona 2019, in part. pp. 41-103.[↩]
- BA, Ms. 49-IX-21, f. 197, Ms. 49-VIII-8, f. 83 (lo stesso pagamento compare in Ms. 46-XIII-33, f. 30 e Ms. 49-VII-1, f. 68).[↩]
- BA, Ms. 49-VI-18, ff. 1-8, in particolare f. 3 (i conti rimasero saldati il 16 ottobre 1724).[↩]
- BA, Ms. 49-VIII-8, f. 83 e Ms. 46-XIII-33, f. 30.[↩]
- BA, Ms. 49-VII-8, f. 83, in questo pagamento si specifica che del totale di 94:29 scudi, 64:29 corrispondevano all’argento usato e 30 alla fattura.[↩]
- BA, Ms. 49-IX-21, f. 202; si veda anche Ms. 49-VII-1, f. 146 (n. 60).[↩]
- Arquivo Nacional da Torre do Tombo, Lisbona, Registo Geral de Testamentos, L. 254, fls. 157-163v. (RGT 1748 / 1753 – disponibile in https://digitarq.arquivos.pt/viewer?id=4221945).[↩]
- Si veda T.L.M. Vale, A Academia de Portugal em Roma ao Tempo de D. João V, Lisbona 2021 (e la bibliografia che lì indica).[↩]
- Si veda T.L.M. Vale, Ourivesaria Barroca Italiana em Portugal…, 2016, pp. 72-99.[↩]
- Sulla cappella e sue collezioni si veda A Capela de São João Baptista da Igreja de São Roque. A encomenda, a obra, as coleções, a cura di T.L.M. Vale, Lisbona 2015 (versioni più brevi in inglese e italiano: The Chapel of St John the Baptist in the Church of São Roque. The commission, the building, the collections / La Cappella di S. Giovanni Battista nella Chiesa di San Rocco a Lisbona. Committenza, costruzione, collezioni, Londra 2017).[↩]
- Museu de São Roque, Lisbona, inv. MPr3, MPr4 e MPr5, MPr6 e MPr7, MPr8 e MPr9.[↩]
- Sebbene la muta sia dovuta ad un disegno dello Spinazzi, la croce fu eseguita da Giovanni Felice Sanini (1727-1787) e Tommaso Politi (1717-1796), mentre i candelieri furono realizzati da Tommaso Politi e Francesco Antonio Salci (1715-1766). Il modello del Crocifisso è stato affidato allo scultore Giovanni Battista Maini (1690-1752) – cfr. J. Montagu, Gold Silver and Bronze. Metal Sculpture of the Roman Baroque, New Haven – Londra 1996, pp. 176-182, T.L.M. Vale, Eighteenth-century Roman Silver for the chapel of St. John the Baptist of the church of S. Roque, Lisbon, in “The Burlington Magazine”, vol. CLII, n. 1.289, agosto 2010, pp. 528-535.[↩]
- «Huma muta de seis castiçaes de altar com sua Cruz de prata dourada em tamanho proporcionado com a grandeza do altar da Capella; deminuirão os trez castiçaes de cada lado do maior para o infimo a nona parte do mayor, (…), sendo todos de excelente idéa e o mais bem feitos, que seja possivel (…).»BA, Ms. 49-VII-27, Doc. 8, pubbl. da T.L.M. Vale, Ourivesaria Barroca Italiana em Portugal…, 2016, pp. 481-483(documento 28) e già riferito da Eadem, Eighteenth-century Roman Silver for the chapel of St John the Baptist …, 2010, pp. 528-535.[↩]
- Integralmente pubblicato come From Rome to Lisbon. An album for the Magnanimous King, a cura di T.L.M. Vale, Lisbona 2015.[↩]
- Cf. J. Montagu, João V e la Scultura Italiana, in Giovanni V di Portogallo e la Cultura Romana del suo Tempo, Roma 1995, p. 395 e J. Montagu, Gold, Silver and Bronze …, 1996, pp. 179-182.[↩]
- L. Guidiccioni, Breve Racconto della Trasportazione del Corpo di Papa Paolo V. dalla Basílica di S. Pietro à quella di S. Maria Maggiore con Loratione Recitata nelle Sue Esequie, et Alcuni Versi Fatti nell’Apparato, Roma 1623.[↩]
- «a Imagem da Cruz, que reprezentará o Senhor Morto e será por modello do mais Insigne escultor que se reconheça», BA, Ms. 49-VII-27, Doc. 8.[↩]
- BA, Ms. 49-VIII-20, f. 352v. (importo inserito nel conto dell’argentiere Giovanni Felice Sanini, che a eseguito la croce).[↩]
- In questo caso specifico non và dimenticato che tra i vari discepoli di Maini si conta anche Innocenzo Spinazzi, il figlio di Angelo Maria, nato nel 1726.[↩]
- I pagamenti a Giovanni Felice Sanini relativi alla croce d’altare non sono del tutto dissociabili da quelli relativi ad altre opere che lo stesso argentiere fece nell’ambito del corredo liturgico della cappella di S. Giovanni Battista (vale a dire il candelieri e un modello per i trenta candelieri destinate all’esposizione del Santissimo Sacramento), quindi i riferimenti archivistici di seguito elencati si riferiscono a tutti i pagamenti effettuati a Sanini: BA, Ms. 49-VIII-14 (1745), Ms. 49-VIII-15 (1746), Ms. 49-VIII-16 (1747), Ms. 49-VIII-17 (1748), Ms. 49-VIII-18 (1749 – in p. 296 di questo volume si individua un pagamento specificamente riguardante alla croce d’altare), Ms. 49-VIII-20 (1750); si veda anche Ms. 49-IX-22 e Ms. 49-IX-31, in cui sono ricapitolati diversi di questi pagamenti.[↩]
- I pagamenti fatti a Tommaso Politi sono riscontrabili in BA, Ms. 46-XIII-9 (1745-1746), Ms. 49-VIII-14 (1745), Ms. 49-VIII-15 (1746), Ms. 49-VIII-16 (1747), Ms. 49-VIII-17 (1748), Ms. 49-VIII-18 (1749), Ms. 49-VIII-20 (1750), Ms. 49-VIII-21 (1751); si veda anche Ms. 49-IX-22 e Ms. 49-IX-31, in cui sono ricapitolati diversi di questi pagamenti; i pagamenti a Antonio Salci, sono in: BA, Ms. 49-VIII-18 (1749), Ms. 49-VIII-20 (1750), Ms. 49-VIII-21 (1751); si veda anche i volumi Ms. 49-IX-24 e Ms. 49-IX-31, in cui sono ricapitolati diversi di questi pagamenti. Si precisa che tali pagamenti riguardano tutti i lavori eseguiti da Politi nell’ambito dell’ordine degli argenti destinati alla cappella (incluso l’ostensorio d’oro, ormai scomparso).[↩]
- Sul processo si veda C. Bulgari, Argentieri, Gemmari e Orafi …, 1958, vol. I, p. 480, J. Montagu, Gold, Silver and Bronze…, 1996, pp. 172-182 e sopratutto Eadem, Gagliardi versus Sampajo, the Case for the Defence, in “Antologia di Belle arti. Studi Romani. I”, n.s., n. 67-70, 2004, pp. 75-96, in part. p. 75, note 1, 3 e 4 in cui si rifferiscono tutti i manoscritti.[↩]
- Archivio Segreto Vaticano, S. R. Rota, Giuria Diversa 493, citato da J. Montagu, Gagliardi versus Sampajo…, 2004, p. 88.[↩]
- BA, Ms. 46-XIII-9 (1744-1747), Ms. 49-VIII-13 (1744), Ms. 49-VIII-14 (1745), Ms. 49-VIII-15 (1746), Ms. 49-VIII-16 (1747), Ms. 49-VIII-17 (1748), Ms. 49-VIII-20 (1750), Ms. 49-VIII-21 (1751); si veda anche Ms. 49-VIII-24, Ms. 49-VIII-25, Ms. 49-IX-22 e Ms. 49-IX-31, volumi in cui sono ricapitolati diversi di questi pagamenti.[↩]
- Museu de São Roque, Lisbona, inv. MPr 1 e MPr 2, dimensioni: 285cm (alt.), 105cm (larg.), 10cm (prof.), peso: 380kg (MPr1) e 347kg (MPr2).[↩]
- BA, Ms. 49-VIII-22, f. 500.[↩]
- Già notata da J. Montagu, Gold, Silver and Bronze…, 1996, p. 179 e Eadem, Gagliardi versus Sampajo…, 2004, p. 86.[↩]
- J. Montagu, Gagliardi versus Sampajo…, 2004, p. 86.[↩]
- Cfr. J. Montagu, Gagliardi versus Sampajo …, 2004, p. 89.[↩]
- BA, Ms. 46-XIII-9, f. 196, Ms. 49-VIII-13, f. 272, Nº 181 e Ms. 49-IX-22, f. 178.[↩]
- BA, Ms. 49-VIII-13, f. 369, Nº 259, Ms. 49-VIII-22, f. 572, Ms. 49-IX-22, f. 188.[↩]
- BA, Ms.49-VIII-22, f. 500.[↩]
- J. Montagu, Gagliardi versus Sampajo…, 2004, pp. 90-91 (Appendix II).[↩]
- La cappella di San Giovanni Battista era dedicata allo Spirito Santo in un momento precedente all’intervento del sovrano, passando dopo ad essere intitolata allo Spirito Santo, al Battista e alla Madonna.[↩]
- Archivio dell’Istituto Portoghese di S. Antonio di Roma, E.I. Papéis Legais, Int. 14, «SUMMARIUM / Spoglio delle Partite di Danaro mandato a Roma alla ch. Mem. Del Commendator Sampajo dalla Corte di Lisbona per l’esecuzione delle Reggie Commissioni esattamente estrate dal Giornale della Regia Computistaria (…).», Doc. Nº 4.[↩]
- A. González-Palacios, “91. Disegno preparatorio per torciere”, in Giovanni V di Portogallo e la Cultura Romana del suo Tempo, 1995, p. 458: il disegno vienne riferito come penna su carta, 1750 x 400 mm, Roma, Gabinetto Nazionale Disegni e Stampe; J. Montagu, Gold, Silver and Bronze…, 1996, p. 177, fig. 255, che indica Istituto Nazionale per la Grafica, FN 6599 (22070).[↩]
- Si veda BA, Ms. 49-VIII-23, ff. 38, 149, 178, 322, 335, 504.[↩]