L’allestimento e gli arredi di Palazzo Barberini alle Quattro Fontane nel 1644
Sofia.Laurenti@outlook.it
DOI: 10.7431/RIV27032023
Nella primavera del 1644, a causa della malattia che avrebbe condotto alla morte papa Urbano VIII (1568-1644), il cardinal nipote Antonio Barberini 1 (1607-1671) fece redigere un inventario dei propri beni presenti nel Palazzo alle Quattro Fontane, che abitava da circa dieci anni 2. La catalogazione si costituisce di due documenti complementari, datati all’aprile 1644: il primo fu pubblicato da Marilyn Aronberg Lavin nel 1975 e descrive stanza per stanza la collezione di dipinti e sculture del cardinale 3. Il secondo è l’Inventario delle robbe dell’Eminentissimo Signor Cardinale Antonio 4, ancora inedito e di cui si propone qui l’analisi. Il testo, ricco di informazioni 5 e già consultato negli studi sulla famiglia Barberini 6, registra tutti i beni del cardinale e risulta diviso in due sezioni. La prima parte è costituita da un lungo elenco per categorie di oggetti di tutto ciò che nel Palazzo si custodiva, come ori e argenti, tessuti ed arazzi 7; la seconda è invece una descrizione topografica di tutti gli ambienti della residenza 8. L’identificazione delle stanze menzionate dall’inventario, proposta qui per intero per la prima volta, e l’associazione dei dati forniti dai due documenti danno la possibilità di ricostruire l’aspetto delle stanze ed il ruolo degli arredi 9 nell’allestimento, durante la residenza di Antonio Barberini, subito prima dell’esilio francese.
Il dato più rilevante che si trae dal documento è l’esistenza nel 1644 di un sistema espositivo che sembra esclusivamente dedicato alla tematica naturalistica, allestito negli ambienti dell’appartamento vecchio (C22-C29, Fig. 1); dell’argomento si occupò già Lucia Calzona, che ritiene regista e ideatore dell’allestimento del Palazzo Andrea Sacchi, “pittore di corte” per il cardinale Antonio 10. Altro elemento interessante è il valore fortemente caratterizzante di arredi e tessuti che, diversi per ognuno dei cinque appartamenti di cui il Palazzo si componeva, fungevano da strumento di distinzione tra le divere suite 11; il dato appare ancora più rilevante alla luce del fatto che ben tre degli appartamenti esponevano i dipinti esclusivamente sopra porte e finestre, lasciando, invece, ampio spazio ai parati 12.
Successivamente alla legazione ad Avignone, nel 1635 il cardinale Antonio Barberini affittò dal fratello Taddeo il Palazzo di famiglia alle Quattro Fontane e vi si trasferì; la residenza rimase comunque sede delle rappresentazioni teatrali sponsorizzate dai tre fratelli e Francesco Barberini vi lasciò la propria biblioteca 13. Antonio si stabilì nell’appartamento del piano terreno, situato nell’ala nord, appartenuto a Taddeo e definito nell’inventario del 1644 come «Appartamento da Basso di Sua Eminenza» (B19-B38, Fig. 2) 14; qui situò la propria biblioteca (B36) ed una camera da letto (B26) 15. Di fatto, però, il cardinale utilizzava quasi l’intero Palazzo: le stanze destinate inizialmente a Francesco Barberini erano abitate già da Antonio, che vi teneva udienza (C5) 16; l’appartamento che Anna Colonna occupava in inverno (C22-C29) fu utilizzato dal cardinale in estate, come dimostra la commissione di una serie di paramenti in seta 17, tessuto più specificamente estivo. Infine, le stanze «de damaschi cremesini» (C11-C15), se pur meno frequentate 18, erano parte integrante del sistema di allestimento della residenza.
L’Inventario delle robbe definisce l’appartamento del piano terreno (B19-B38) come «stanze de quadri e statue» 19, fornendo quindi una notizia molto rilevante: come sottolineato da Luigi Spezzaferro 20, l’utilizzo di una denominazione di questo tipo, che si ritrova simile in inventari coevi come quello Giustiniani 21, dimostra la destinazione degli ambienti a luogo deputato alla conservazione ed esposizione di opere d’arte. La questione è particolarmente centrale nell’allestimento del Palazzo alle Quattro Fontane, poiché nella suite da basso i dipinti non avevano, come altrove 22, la sola funzione di soprapporte ma si trovavano esposti sulle pareti; inoltre, questo appartamento era l’unico, ad eccezione della Sala Ovata del piano nobile, ad esporre anche le sculture, antiche e moderne. L’appartamento era quindi dedicato all’esposizione della collezione e per questo vi si trovavano i maggiori capolavori, come le tre tele del Merisi (B27) e la Fornarina di Raffaello (B25) 23. Tra i protagonisti di questi ambienti vi erano, però, certamente gli strumenti musicali, presenti in gran numero nelle tre stanze, qualificate come della musica 24. La Stanza del Parnaso (B27), decorata dal perduto affresco di Camassei e definita dall’inventario «stanza de cimbali», ne custodiva ben sette preziosissimi 25, tra cui un organo «alto, con sue canne di stagno finissimo con le tre di mezzo, che voltano parti dorati con ornamento intagliato parte dorato, e parte dipinto con suoi manichi con tre gelosie tutti dorati» 26. Dominante nell’arredo era il corame di colore rosso che si trovava su sedute e portiere, rappresentanti spessissimo le armi del cardinale; i tessuti presentavano decorazioni per la maggior parte di colore oro e frange in seta, quasi sempre rossa. In questa suite i mobili erano in noce, che il testo ricorda impiegato per buffetti, banchi e credenze; ricorre inoltre la menzione di tavolini in granatiglio 27 ed anche di tre tavole in «pietra di francia rossa 28» decorate con api, che erano presenti in tre differenti ambienti e che vengono definite «compagne» 29. Come già stabilito da Patricia Waddy 30, le voci inventariali suggeriscono che questi ambienti avessero un uso meno privato rispetto ad altre zone del Palazzo: erano probabilmente luogo di ricevimento, in cui accogliere gli ospiti e dimostrare il proprio prestigio. Porta a questa conclusione oltre che la presenza dei maggiori capolavori della collezione, dipinti e sculture, anche la massiccia presenza di sedute e degli emblemi del cardinale, meno frequenti altrove 31; inoltre, l’anticamera B29 era l’unica nel Palazzo a esporre una serie di ritratti dei membri della famiglia 32. Grazie all’Inventario delle robbe, si comprende, dunque, che nella suite la sintesi tra pittura, scultura e musica diveniva principio ordinatore dell’allestimento, nel quale fondamentale filo conduttore erano gli arredi, che risultano ripetersi identici in tutte le stanze del piano.
In ultimo, è interessante sottolineare che nell’anticamera principale della suite (B20) e nella Sala dei Palafrenieri (B19) erano presenti esclusivamente «scabelloni», sedie e portiere in corame rosso, azzurro o turchino; il dato è rilevante poiché i medesimi arredi sono registrati anche negli ambienti che fungevano da anticamere al piano superiore: il Salone (C1) con la Divina Provvidenza di Pietro da Cortona, la «sala dove si facevano le commedie» 33 (C2) e le due anticamere dell’ala nord (C19 e C20) 34. L’inventario sembra, dunque, segnalare la scelta di un mobilio molto simile e con le stesse tonalità per le stanze con funzione di anticamera in entrambi i piani.
Come è noto, il Salone decorato da Pietro da Cortona 35 fungeva da perno per i quattro appartamenti del piano, introducendo gli ospiti dell’uno e dell’altro. Tra essi, gli ambienti della suite dell’ala nord volgente ad est (C34-C44) vengono definiti, proprio come quelli dell’appartamento da basso, «stanze de quadri» 36, poiché gli unici ad esporre i dipinti anche sulle pareti 37. L’allestimento di questi ambienti e di quelli al piano terreno (B19-36) sembra quindi più vicino a quello coevo di collezioni come la Giustiniani, dove i dipinti vengono esposti sia sulle pareti che sopra porte e finestre 38. Questo dato rafforza quanto già affermato per l’appartamento da basso: si trattava di ambienti con una funzione prettamente espositiva, nei quali protagoniste erano le opere d’arte.
Le stanze erano caratterizzate dall’esposizione di dipinti di soggetto molto vario: in una sequenza di nove ambienti si trovavano ritratti, paesaggi, soggetti sacri e mitologici 39; si può, quindi, ipotizzare che unico criterio d’allestimento fosse quel «gusto per l’eterogeneità e la mescolanza dei generi tipica del Barocco», che Natalia Gozzano descrive per la quadreria di Lorenzo Onofrio Colonna 40. Torna, dunque, centrale il ruolo dell’arredo che, esattamente come nel primo degli appartamenti «de quadri», quello da basso, fa da elemento unificante ad un allestimento caratterizzato da forte varietà 41. Come per il piano inferiore, anche in questa suite si trovavano arredi coordinati in tutti gli ambienti. Nelle stanze torna il colore rosso, che si staglia, in questo caso, sul velluto e non più sul corame, di sedute e «scabelloni»; ad esso si accompagnano sedie in velluto verde e, specificamente nelle prime stanze (C34-39), in vacchetta «alla genovese». A differenza del piano terreno, l’inventario non registra portiere, che dovevano tuttavia essere presenti, poiché vengono invece menzionati i ferri ad esse necessari 42. Al noce che qualificava il piano terreno, si sostituisce qui l’ebano di tavolini e studioli; questi ultimi, completamente assenti nella suite da basso, erano spesso intarsiati in avorio ed alcuni risultano preziosissimi, come quello in madreperla ricordato nell’ambiente C39 43. Tutti i tavolini di cui l’appartamento era fornito presentavano un decoro a stella al centro del piano e si trovavano, con un’unica eccezione 44, esclusivamente negli ambienti in esame, caratterizzandone, dunque, l’arredo. Da questa rapida disamina, emerge chiaramente che la suite disponeva di arredi tra loro coerenti per tipologia, tessuti, colori e decorazioni, esattamente come nel piano inferiore. Tuttavia, come già sottolineato, va ricordato che le opere, disposte sulle pareti, erano qui protagoniste; ne consegue che il mobilio, pur ricco e fortemente caratterizzante, aveva in questi ambienti un ruolo forse secondario, facendo da “quinta scenica” all’esposizione della collezione artistica.
Diverso era invece l’allestimento dell’ala sud del piano nobile che si costituiva di due suites: l’appartamento destinato al cardinale Francesco Barberini (C5-C9) e quello che gli inventari definiscono «de damaschi cremesini» (C11-C15, Fig. 1). Gli appartamenti si trovavano ai due estremi dell’ala e condividevano la medesima anticamera (C3). Le due suites possono essere considerate come parte del medesimo sistema espositivo, poiché custodivano la stessa tipologia di dipinti; infatti, come già sottolineato da Calzona 45, si trovavano qui esclusivamente soprapporte 46 replicanti scene tratte dagli arazzi con Atti degli Apostoli e dagli affreschi delle stanze vaticane realizzati da Raffaello 47, e dipinte da artisti vicini ad Andrea Sacchi 48. Tuttavia, i due appartamenti presentavano arredi di tipo differente; se ne deduce che il compito di sottolineare la distinzione tra le suites fosse affidata agli arredi. Nell’appartamento destinato a Francesco Barberini (C5-C9) primeggiava ancora il colore rosso dei velluti delle sedute intagliate, a cui si affiancava quello delle portiere, in panno rosso e «fiocchi di capicciola 49 rossa, e gialla»; vi erano, infine, lussuosi studioli in ebano e sedute ricamate «di punto francese» 50.
Diversamente, nelle «stanze de damaschi cremesini» (C11-C15) i toni degli arredi erano quelli del verde e del turchino: l’appartamento era fornito di moltissime sedute in velluto verde, con frangia di seta verde e gialla, probabilmente molto preziose poiché completate da coperte in sangalla 51. Protagonisti della suite dovevano tuttavia essere i damaschi delle pareti, descritti ampiamente anche nell’inventario delle arti decorative riferite al cardinale Antonio, redatto nel 1636-1640 52; a suggerirlo è evidentemente la denominazione dell’appartamento, che inoltre chiarisce ancor di più la diversa concezione di quelle stanze che vengono invece definite «de quadri e statue» 53. A completare la suite era la Sala Ovata (C17) che esponeva esclusivamente sculture ed era decorata da portiere che l’inventario del 1636-1640 riferisce alla stessa serie di quelle in damasco destinate agli altri ambienti 54: la stanza era dunque, almeno concettualmente, parte dell’appartamento «de damaschi cremesini».
In ultimo, negli ambienti C7 e C8 dell’appartamento di Francesco Barberini, il documento registra due coppie di «cantonate di tela conforme al fregio del parato di diana vecchia» 55; queste voci, di cui si occupò già Pascal-Francois Bertrand 56, sono riferibili alla «stanza di diana vecchia» ricordata nella prima sezione del manoscritto, nella quale si trovavano sette soprafinestre in canovaccio di dimensioni leggermente differenti 57. Il «parato di diana» è identificabile con il gruppo di arazzi con Storie di Diana, menzionato nell’inventario del 1636-1640; si trattava di due diverse serie di otto arazzi, di manifattura belga risalenti al XVI secolo 58. L’inventario delle robbe permette, dunque, di ipotizzare che gli arazzi fossero destinati alle stanze C7 e C8 59: nei due ambienti della suite vi erano, almeno in circostanze speciali, oltre alle repliche dal Sanzio esposte sopra le porte, anche arazzi con Storie di Diana sulle pareti e cantonate e soprafinestre ad essi coordinate 60. Un allestimento simile doveva trovarsi anche nell’ambiente C6 ove l’inventario registra due «cantonati di seta conformi al fregio del parato di putti», voce che dovrebbe riferirsi alla celebre serie barberiniana di arazzi con Giochi di Putti, ricevuta in eredità dal cardinale dallo zio pontefice 61. La serie fu realizzata dalla manifattura Barberini nel 1637-1642 e commissionata da Urbano VIII a Giovan Francesco Romanelli; gli arazzi furono richiesti a «imitazione di quelli di Raffaello» cioè ispirati a quelli eseguiti su cartoni di Giovanni da Udine e Tommaso Vincidor, su commissione di Leone X tra il 1521 ed il 1524 62. La serie era improntata a quella volontà d’ispirazione all’arte del Sanzio protagonista della suite di Francesco Barberini; se, quindi, gli arazzi, eseguiti nello stesso giro di anni delle repliche da Raffaello, erano destinati ad una di queste stanze, e specificamente C6, la celebrazione del maestro urbinate non si limitava alle soprapporte, ma si estendeva anche ai tessuti.
La cronologia della progettazione e dell’allestimento dell’ala sud del piano nobile è, inoltre, particolarmente rilevante poiché coincide con quella del secondo grande sistema espositivo del Palazzo, l’appartamento vecchio (C22-C29), sul quale si vuole in questa sede porre l’accento. In questi ambienti si dispiegava l’allestimento più compiuto di tutta la residenza, al cui centro era la tematica naturalistica; essa risulta protagonista non solo dei dipinti, ma anche dei tessuti sulle pareti e perfino di alcuni arredi, mai analizzati prima d’ora. Nell’appartamento vecchio vi erano, infatti, esclusivamente trentatré soprapporte e soprafinestre che l’inventario del 1644 definisce «paesi con favole»: si trattava di dipinti ad ambientazione paesaggistica, con piccole scene mitologiche tratte prevalentemente dalle Metamorfosi di Ovidio 63. Ad osservare i quadri della serie ancora presenti presso Palazzo Barberini, appare chiaro che la rappresentazione mitologica fungeva da pretesto per quella paesistica. Non a caso, autore di ben venticinque delle soprapporte fu, secondo l’inventario, Monsù Romano, identificato in Herman van Swanevelt 64. Il pittore, attivo nel genere del paesaggio a Roma, era stato negli anni Trenta del Seicento artefice del fregio paesaggistico della Sala di San Giuseppe, presso Palazzo Pamphilj in Piazza Navona 65 66. All’artista Giovanni Passeri riserva una biografia, ricordando che «il suo genio maggiore era di fare paesi, e vi accompagnava le figure ma piccole», ed aggiungendo poi che «in molti Palazzi de’ Signori di Roma si vedono de’ suoi paesi nelli vani dei fregi delle sale, delle Camere e in diverse Gallerie» 67: Palazzo Barberini doveva essere uno di questi. Susan Russell, nella recente monografia dedicata all’artista, tratta ampiamente del lavoro di Swanavelt per Antonio Barberini e ritiene che l’artista ottenne la commissione nel 1634, non appena il cardinale si trasferì alle Quattro Fontane 68. In effetti, tra i documenti di pagamento ne figura uno destinato a Swanevelt per la realizzazione di due paesi, datato al 1641; allo stesso anno risalgono i pagamenti in favore di Pietro Ferreri, autore di tre delle soprapporte, e nel 1640 vengono forniti scudi a Sacchi per «pagarne quadri di paesi che fa fare per Sua Eminenza» 69. Russell evidenzia inoltre un dato rilevantissimo: i dipinti hanno dimensioni tra loro molto diverse, eppure nella commissione non c’è traccia di indicazioni in merito; la studiosa ritiene, quindi, che le misure dell’opera fossero stabilite di volta in volta in base allo spazio, sopra la porta o la finestra, che il quadro avrebbe dovuto occupare 70. Questa interessante notazione ci fa concludere che i paesi con favole furono precisamente pensati e progettati per l’allestimento della suite in esame, realizzati per inserirvisi perfettamente.
Nello stesso giro di anni in cui Swanevelt dipingeva le sue tele furono realizzati ex novo anche i tessuti delle pareti: Filippo Gagliardi e Pietro Ferreri furono, infatti, autori delle pitture a motivi floreali che decoravano i paramenti in seta azzurra 71. All’estate del 1639 risale un saldo a Ferreri «per la pittura di cinque stanze di ormesini celesti, e dodici portiere nell’appartamento vecchio con pergolate, frutti, fiori fontane uccelli, et animali diversi»; nello stesso anno Gagliardi viene retribuito «per la pittura sopra due stanze di ormesini celesti e sue portiere […] per compimento di 7 stanze fatte fare da Sua Eminenza» 72. Possiamo immaginare, dunque, che i tessuti svolgessero un ruolo centrale nell’allestimento della suite 73. Essi furono, inoltre, visti e descritti da Richards Symonds durante la sua visita a Palazzo Barberini del 1649/1650, dimostrando quindi che durante l’esilio francese del cardinale Antonio erano ancora presenti, di concerto ai paesi dello Swanevelt, pure da questo ricordati 74. Inoltre, Anne Brooks, riguardo la citazione dei tessuti da parte di Symonds, specifica che è inusuale che l’inglese si soffermi sulla descrizione di paramenti e ne deduce che si trattasse di opere eccezionali 75. Patricia Waddy riferisce che la commissione di questi tessuti fosse legata all’uso estivo che il cardinale faceva dell’appartamento 76; ma, se pur questo resta vero, scorrendo le pagine dell’Inventario delle robbe si scopre che in questi ambienti vi erano pezzi, e nello specifico soprattutto studioli, le cui decorazioni vedono ancora protagonista motivi floreali ed uccelli. Il dato risulta stimolante, se si considera che mobilio così decorato era presente esclusivamente nell’appartamento vecchio. Le sette stanze della suite erano fornite di arredi sui toni del rosso e del cremisi, presenti sulle sedute, per la maggior parte in velluto, sempre dotate di «coperti di sangalla», mentre i tavolini erano in ebano 77. Gli studioli erano in tartaruga e pietre fine commesse, e tutte le stanze private dell’appartamento (C23-C26) ne erano fornite. Nella stanza «dove dio parla ad abram» (C25), oltre alle sedute in velluto cremisi con armi del cardinale ed un tavolino in ebano, l’inventario registra «uno studiolo di pietra fine commesse, et osso di tartaruga, con diversi fiori, e uccelli, con dodici cassettini una porta grande in mezzo, con colonne di osso di tartaruga, e capitello di rame dorato con foglie d’argento» 78. L’ambiente successivo (C23) doveva apparire estremamente lussuoso per la presenza, oltre che di un cembalo, di ben due studioli: il primo in pietra fine e frontespizio in agata era adornato di colonne e «puttini in ottone dorati»; il secondo era in ebano con «pietre commesse di vary uccelli, con una porta grande in mezzo simile, con otto colonne di cristallo di montagna attorcigliati con capitello dorati, e fogliami d’argento» 79. La stanza accanto (C24) ospitava uno studiolo in pietre commesse con «doi vasi di fiori, et un uccello con un ramo di frutti guarnito di osso di tartaruga»; infine anche l’ultimo ambiente, la stanza da letto (C26), esponeva il proprio studiolo con «suoi fiori, et uccelli» 80. I motivi floreali e gli uccelli sembrano talmente protagonisti da apparire anche nel piccolo stanzino (C22) dove, oltre ad un cannocchiale riferito a Galileo Galilei, figurava una «canna tutta lavorata con paesi fatti a mano di penna» 81. La coerenza descritta per questi ambienti porta a supporre che i preziosi manufatti registrati nella prima sezione dell’inventario, come un «sopratavolino all’indiana […] con figure di animali e fiori» 82 fossero destinati a queste stanze, soprattutto se si considera che Gagliardi, autore delle pitture sull’ermisino, fu retribuito anche per otto sopratavolini 83. L’inventario registra in tutto il suo testo oggetti caratterizzati da motivi floreali che sarebbero riconducibili alla suite, come un certo numero di paramenti in velluto decorati a fogliami 84, e addirittura, una «coperta di velluto verde tutta ricamata a fogliami, e fiori d’oro, di rilievo, con un pelicano in mezzo» 85; d’altronde lo stesso Ferrari realizzò, di concerto alle pitture dei tessuti, una «zampaniera simile dipinta con festoni di fiori e sua coperta, e tornaletto» 86, dove «simile» si riferisce ai paramenti. Nei mandati di pagamento riferiti al cardinale Antonio 87, si trovano, inoltre, registrati diversi saldi all’ebanista Remigio Kikoltz 88 risalenti al medesimo periodo in cui si colloca la progettazione dell’allestimento; uno in particolare del 1643 ricorda il pagamento per alcuni pezzi in pietre fine commesse «per fornimento delli due studioli di pietre di Sua Eminenza» 89: come si ricorderà, gli studioli dell’appartamento erano proprio in pietre commesse e tartaruga. Per stabilire chi realizzò effettivamente gli studioli ed in che momento lo fece, occorrerà una disamina più approfondita di quanto registrato nei mandati di pagamento del cardinale, ma si può ipotizzare che arredi così ricchi e con una decorazione così rispondente a quella del resto della suite, fossero stati commissionati specificamente per essa. In questi ambienti andava, quindi, dispiegandosi un continuum figurativo e spaziale, unico nel Palazzo, che si completava e perfezionava nel mobilio ed i suoi studioli. L’arredo era dunque qui parte sostanziale dell’allestimento, frutto di un progetto unitario, per il quale ogni elemento fu pensato, commissionato, voluto e realizzato. A dimostrarlo è il dato cronologico: come già sottolineato, la serie di «paesi con favole» e la decorazione dell’ermisino furono compiuti nello stesso giro di anni, tra il 1639-1641; in questo stesso periodo si ipotizzano eseguiti gli studioli.
Va infine rammentato l’interesse della famiglia Barberini per la botanica ed i fiori, di cui illustre testimonianza è il De Florum Cultura di Giovan Battista Ferrari, pubblicato nel 1633 e dedicato al cardinale Francesco 90. Ancora più rilevante è, però, l’inventario del Giardino Secreto dell’Em.mo Sig.r Card.le Antonio, che descrive minuziosamente il giardino del cardinale e la sua collezione di fiori, elencati secondo la loro collocazione 91. McDougall ritiene che il giardino fosse stato costruito specificamente per il cardinale e che l’inventario fosse stato redatto di concerto a quelli appena analizzati, nel 1644 92. Come è noto, la conoscenza dei giardini privati è complessa per via della rarità delle loro descrizioni: risulta dunque molto interessante che una delle pochissime giunte a noi, riguardi proprio il giardino del cardinale Antonio, che, nel suo palazzo che «ha qualcosa delle caratteristiche di una villa» 93, aveva dedicato una delle sue suites al tema floreale.
Alla luce di quanto fin qui sottolineato, acquista nuovo e maggiore interesse la descrizione che Girolamo Tezi traccia nelle Aedes Barberinae della stanza d’udienza (C27) dell’appartamento vecchio, in cui «sembrava di passeggiare non in casa, ma in giardini veri e propri e in veri frutteti» 94.
Questo testo è frutto delle ricerche condotte per la Tesi di Laurea Magistrale in Storia dell’Arte Criteri di allestimento della collezione del Card. Antonio Barberini attraverso l’analisi degli inventari del 1644, realizzate sotto la supervisione del Prof. Stefano Pierguidi presso l’Università Sapienza di Roma; esse sono tutt’ora oggetto del progetto di Dottorato della scrivente, Gli arredi delle residenze nobiliari romane attraverso gli inventari, 1650-1750 circa: funzione, allestimento e dialogo con i dipinti, condotto presso l’Università degli studi di Roma Tor Vergata. Ringrazio Francesco Petrucci e Benedetta Montevecchi per i preziosi suggerimenti.
- Sulla figura del cardinal Antonio Barberini si rimanda ai contributi di K. Wolfe, tra cui Ten Days in the Life of a Cardinal Nephew at the Court of Pope Urban VIII, in I Barberini e la cultura europea del Seicento, a cura di , a cura di L. Mochi Onori-S. Shutze-F. Solinas, Roma 2007; Id., Protector and Protectorate Cardinal Antonio Barberini’s Art Diplomacy for the French Crown at the Papal Court, in Art and Identity in Early Modern Rome, a cura di B. Jill-B. Michael, 2008; Id., Cardinal Antonio Barberini (1608 – 1671) and the Politics of Art in Baroque Rome in The Possessions of a Cardinal, a cura di M. Hollingsworth-C. M. Richardson, Pennsylvania 2009. Per la collezione del cardinale vedi P. Nicita, Le muse e il palazzo: un’introduzione alla collezione Barberini, in L’immagine sovrana, Urbano VIII e i Barberini, catalogo della mostra a cura di M Ciccioni- F. Gennari Santori- S. Schutze (Roma, Palazzo Barberini, 18 marzo – 30 luglio 2023), Roma 2023, pp. 219-224.[↩]
- Per le vicende della famiglia Barberini resta fondamentale L. F. Von Pastor, Storia dei Papi, Vol. XIII, Libro Secondo, Roma, 1931.[↩]
- M. Aronberg Lavin, Seventeenth Century Barberini Documents and Inventories of Art, New York 1975, pp. 158-188.[↩]
- BAV, Arch. Barb, Comp. 268. Il manoscritto è stato interamente trascritto dalla scrivente e sarà riportato nella Tesi di Dottorato.[↩]
- Il documento è particolarmente attento non solo nella descrizione del mobilio, ma anche dei tessuti, caratteristica che non sembra frequente in inventari coevi; per l’argomento si rimanda a B. De Dominicis, Tessuti per arredo nel Seicento, in Vestire i Palazzi. Stoffe, tessuti e parati negli arredi e nell’arte del Barocco, a cura di A. Rodolfo- C. Volpi, Città del Vaticano 2014, pp. 307-324.[↩]
- Già Aronberg Lavin aveva dato notizia dell’esistenza del manoscritto senza però trascriverne nessuna parte, in M. Aronberg Lavin, Seventeenth…, 1975, p. 158; Bertrand pubblicò alcune voci inventariali relative ai soli arazzi in P. F. Bertrand, Les tapisseries des Barberini et la decoration d’intérieur dans la Rome baroque, Turnhout 2005, pp. 195-196; tra gli altri, il manoscritto è citato in P. Waddy, Seventeenth-Century Roman Palaces: Use and the Art of the Plan, New York 1990, pp. 173-251, nella ricostruzione della funzione dei diversi ambienti; Lucia Calzona si riferisce ampiamente al documento in L. Calzona, Andrea Sacchi regista del Barocco: l’armonia incompiuta dell’allestimento di Palazzo Barberini, in Lusingare la vista. Il colore e la magnificenza a Roma tra tardo Rinascimento e Barocco, a cura di A. Amendola, Città del Vaticano 2017, pp. 267-281.[↩]
- BAV, Arch. Barb, Comp. 268, ff. 1-95. Per una disamina specifica degli argenti della collezione Barberini si rimanda a F. Barberini-M. Dickmann, Disegni, argenti e argentari dall’Archivio Barberini, Città del Vaticano 2021.[↩]
- L’inventario è costituito da un totale di 144 fogli, numerati su entrambi i versi. La prima sezione elenca tutti gli oggetti presenti nella residenza (ff. 1-95), la seconda è una descrizione topografica degli ambienti (ff. 96-129); seguono le stanze destinate ad altre personalità (ff. 130-134), ed infine quelle ad uso del cardinale presso il Palazzo Vaticano (ff. 135-141).[↩]
- Per un’esaustiva bibliografia riguardo gli arredi del XVII secolo, si rimanda ai testi di Colle e Gonzàles-Palacios. In E. Colle vedi Il mobile barocco in Italia, arredi e decorazioni d’interni dal 1600 al 1730 circa, 2000 Milano; Id., Il mobile in Italia dal Cinquecento all’Ottocento, 2009 Milano, pp. 10-37. Per gli arredi Barberini vedi A. Gonzàles-Palacios Il Gusto dei Principi. Arte di corte del XVII e del XVIII secolo, vol. I, Milano 1993, pp. 400-408; Id., Arredi e Ornamenti alla corte di Roma 1560-1795, Milano 2004, per l’identificazione di tre tavoli Barberini pp. 58-59; Id., Il Mobile a Roma dal Rinascimento al Barocco, Roma 2022, pp. 195-237.[↩]
- L. Calzona, Andrea Sacchi…, 2017, pp. 267-281.[↩]
- L’importanza dei paramenti in stoffa nella Roma del Seicento, discussa dal Mancini e indagata nelle pagine di Vestire i Palazzi…, 2014, veniva già evidenziata in P. Waddy, Seventeenth…, 1990, p. 27.[↩]
- Si tratta dell’appartamento vecchio (C22-29), dell’appartamento di Francesco Barberini (C5-C9) e di quello definito «de damaschi cremesini» (C11-C15). Gli altri due appartamenti (B19-38 e C34-C44) sono invece definiti, rispettivamente in BAV, Arch. Barb, Comp. 268, f. 120 e in M. Aronberg Lavin, Seventeenth…, 1975, p. 165, come «de quadri».[↩]
- P. Waddy, Seventeenth…, 1990, pp. 201, 243-244; L. F. Von Pastor, Storia…, 1931, pp. 966-972; come è noto la residenza era stata ideata per ospitare i fratelli Taddeo, nell’ala nord, e Francesco, in quella sud.[↩]
- M. Aronberg Lavin, Seventeenth…, 1975, p. 165. Nel testo ci si riferirà all’appartamento nel piano terreno con la denominazione inventariale «da basso».[↩]
- P. Waddy, Seventeenth…, 1990, pp. 243-244.[↩]
- P. Waddy, Seventeenth…, 1990, pp. 243-244. [↩]
- P. Waddy, Architecture for Display, in Display of Art in the Roman Palace, a cura di G. Feigenbaum, Los Angeles 2014, p. 33; P. Waddy, Seventeenth…, 1990, p. 245.[↩]
- P. Waddy, Seventeenth…, 1990, pp. 245.[↩]
- BAV, Arch. Barb, Comp. 268, f. 120; differentemente, come già riferito, l’inventario della collezione artistica definisce la suite come «Appartamento da Basso di Sua Eminenza», vedi nota 16; per l’elenco delle opere esposte nell’appartamento, vedi M. Aronberg Lavin, Seventeenth…, 1975, pp. 165-176, nn. 196-520 e pp. 178-185, nn. 576-757.[↩]
- L. Spezzaferro, Problemi del collezionismo a Roma nel XVII secolo, in Geografia del collezionismo: Italia e Francia tra il XVI e il XVIII secolo, a cura di O. Bonfait-M. Hochmann, Roma 2001, p. 9. Sarà inoltre interessante sottolineare che l’inventario dei beni del cardinale Francesco Barbierini, redatto da Nicolò Menghini nel 1632-1640 e che registra anche opere riferite ad Antonio Barberini, sembra definire i medesimi ambienti «Galleria dell’Eminentissimo Signor cardinale Antonio», cfr. M. Aronberg Lavin, Seventeenth…, 1975, pp. 145-146.[↩]
- S. Danesi Squarzina, La collezione Giustiani, vol. I, Milano 2003, p. 388; un altro caso rilevante è quello dell’inventario della collezione Borghese del 1693 che descrive solo gli ambienti dedicati all’esposizione della collezione, escludendo invece quelli ad uso prettamente privato, cfr. S. Pierguidi, ‘In materia totale di pitture si rivolsero al singolar Museo Borghesiano’. La quadreria Borghese tra il palazzo di Ripetta e la villa Pinciana, in Journal of the History of Collections, febbrario 2014, pp. 5-6.[↩]
- Ci si riferisce all’ala sud del piano nobile e all’appartamento vecchio, trattati di seguito.[↩]
- Per l’elenco delle opere esposte nell’appartamento, vedi M. Aronberg Lavin, Seventeenth…, 1975, pp. 165-176, nn. 196-520 e pp. 178-185, nn. 576-757. Per quanto concerne le tre opere di Caravaggio si tratta della Santa Caterina, oggi presso il Museo Thyssen-Bornemisza di Madrid, dei Bari, oggi presso il Kimbell Art Museum a Forth Worth in Texas, e del Suonatore di liuto, probabilmente identificabile con quello in permanent loan presso il Metropolitan Museum di New York; le tre opere si trovavano esposte l’una di fianco all’altra nella Stanza del Parnaso (B27). La Fornarina di Raffaello si trova oggi presso la Galleria Nazionale d’Arte Antica di Palazzo Barberini di Roma; era esposta nel 1644 nell’ambiente B25. Per le vicende di acquisizione dei dipinti da parte di Antonio Barberini e la dispersione, vedi L. Calzona, La collezione occulta, in I Barberini…, 2007, pp. 76-77; L. M. Onori, Le vendite di Cornelia Costanza e le copie dei dipinti, in I Barberini…, 2007, pp. 633; per l’esposizione di alcuni dei capolavori in collezione vedi P. Nicita, Le muse…, 2023, pp. 219-224.[↩]
- Si tratta degli ambienti B23, B27, B28. Il cardinale commissionò inoltre la celebre Arpa Barberini, vedi C. Granata, «Un’arpa grande tutta intagliata e dorata». Nuovi documenti sull’arpa Barberini, in Recercare, XXVII, nn. 1-2, 2015; S. Suatoni, Arpa Barberini, in L’immagine…, 2023, pp. 234-235.[↩]
- Vi erano due graviorgani, una chitarra, due cembali, una spinetta e un organo, cfr. BAV, Arch. Barb, Comp. 268, f. 124.[↩]
- BAV, Arch. Barb, Comp. 268, f. 124. Per questo ed altri strumenti, nonché per alcuni arredi l’inventario ricorda «si comprò dall’eredità del savenier», personaggio identificabile forse con il Segretario e Protonotario Apostolico Jean Savenier, deceduto nel 1638; a confermare l’acquisizione, sono i mandati di pagamento che annotano nel 1641 un saldo in favore della famiglia Savenier, cfr. M. Aronberg Lavin, Seventeenth…, 1975, p. 53; tuttavia, l’inventario menziona anche arredi non riportati nel documento di pagamento. Il dato risulta interessante poiché la quasi totalità degli arredi riferiti a questa eredità si trovavano nell’appartamento in analisi. Per notizie relative a Jean Savenier vedi a J. Garms, Il ruolo dell’impero e degli stati tedeschi nella Roma barocca, in Studi Romani, nn. 1-4, 2014, pp. 237-238; A. Bertolotti, Artisti Olandesi a Roma nei secoli XVI e XVII, Firenze 1880, p. 354.[↩]
- Il «granatiglio» è un legno ricavato dalla Brya ebenus delle Indie Occidentali, di colore fulvo e molto duro, utilizzato per lavori di ebanisteria, cfr. GDLI.[↩]
- Si tratta del marmo rosso di Francia, noto come Rouge Royale o Rouge de Laguedoc.[↩]
- BAV, Arch. Barb, Comp. 268, ff. 123, 125, 128; gli ambienti in questione sono B25, B28, B34.[↩]
- P. Waddy, Seventeenth-Century Roman Palace…,1990, p. 191.[↩]
- Erano qui inoltre anche giochi da tavolo.[↩]
- Secondo i precetti del Mancini, era consigliabile esporre ritratti nelle sale da ricevimento, cfr. A. Marucchi, Giulio Mancini. Considerazioni sulla pittura, vol. I, Roma 1956, p. 143. Rafforza l’ipotesi il dato per cui la camera da letto di questo appartamento (B26) non era fornita del necessario per dormire; inoltre, gli inventari del 1644 segnalano altre due stanze da letto, come ricordato in P. Waddy, Seventeenth…, 1990, p. 245; cfr. BAV, Arch. Barb, Comp. 268, ff. 100 (C8), 118 (C26), 120-21 (B26).[↩]
- BAV, Arch. Barb, Comp. 268, ff. 96, 129.[↩]
- Inoltre, i corami del grande Salone (C1) e della Sala dei Palafrenieri del pian terreno (B19) mostravano «stampe» del Prefetto di Roma Taddeo Barberini, mentre gli altri due ambienti (C2 e B20) esponevano portiere con le armi del cardinale Antonio, cfr. BAV, Arch. Barb, Comp. 268, ff. 96, 129.[↩]
- Come è noto, nel Salone erano esposti i cartoni per i mosaici realizzati da diversi artisti nella cappella della Colonna in San Pietro, cfr. in M. Aronberg Lavin, Seventeenth…, 1975, p. 158, nn. 1-4.[↩]
- La denominazione si trova in M. Aronberg Lavin, Seventeenth…, 1975, p. 165.[↩]
- Come già ricordato gli altri tre appartamenti preferivano utilizzare i dipinti esclusivamente come sopra porte e finestre.[↩]
- S. Danesi Squarzina, La collezione…, 2003.[↩]
- Per l’elenco delle opere esposte in questi ambienti vedi M. Aronberg Lavin, Seventeenth…, 1975, p. 161-165, nn. 83-195.[↩]
- N. Gozzano, La Quadreria di Lorenzo Onofrio Colonna: prestigio nobiliare e collezionismo nella Roma Barocca, Roma 2004, p. 165.[↩]
- Per l’elenco degli arredi vedi BAV, Arch. Barb, Comp. 268, ff. 106-112.[↩]
- L’inventario registra in ogni stanza, e per tutto il suo testo, la presenza di utensili per le portiere; il fatto che ne menzioni anche dove non ricorda i tessuti, come in questa suite, fa ipotizzare che esse fossero comunque presenti. Questo dato evidenzia, inoltre, ancora una volta la precisione e la specificità dell’inventario in oggetto.[↩]
- BAV, Arch. Barb, Comp. 268, f. 107.[↩]
- Unica eccezione è il tavolino così decorato registrato nell’ambiente C26; tavolini di questo tipo erano anche nelle stanze del cardinale presso il Palazzo Vaticano, cfr. BAV, Arch. Barb, Comp. 268, ff. 118, 135.[↩]
- L. Calzona, Andrea Sacchi…, 2017, pp. 267-281. [↩]
- L’esposizione esclusiva di dipinti sopra porte e finestre caratterizzava in Palazzo Barberini sia l’allestimento dell’ala sud (C6-C9, C11-C15) che quello dell’appartamento vecchio (C22-C29), differenziandosi da quello delle suites già analizzate (B19-B38 e C34-C44), e da quello di collezioni contemporanee come la Giustiniani o la Ludovisi, cfr. da S. Danesi Squarzina, La collezione…, 2003; K. Garas, The Ludovisi Collection of Pictures in 1633, in The Burlington Magazine, gennaio 1967, pp. 339-349; C. H. Wood, The Ludovisi Collection of Paintings in 1623, in The Burlington Magazine, agosto 1992, pp. 515-523.[↩]
- M. Aronberg Lavin, Seventeenth…, 1975, pp. 158-159, nn. 16-34. Nell’appartamento di Francesco Barberini si trovavano copie dagli arazzi, alternando scene delle storie di San Pietro e di San Paolo (unica eccezione è l’ambiente C9 ove era una replica dell’affresco vaticano del Parnaso, attribuito da Calzona a Rinaldo Cottoni di Bretagna, cfr. L. Calzona, Andrea Sacchi…, 2017, pp. 267-281). Nelle «stanze de damaschi cremesini» alle repliche dagli arazzi si aggiungevano quelle tratte dagli affreschi vaticani. Unica eccezione si trovava nella camera da letto del secondo appartamento (C12), ove era un Battesimo di Cristo attribuito ad Andrea Sacchi; inoltre, nell’anticamera C5, oltre alle repliche dal Sanzio, vi era un arazzo rappresentante il ritratto del pontefice. La presenza di un dipinto a tema devozionale in una stanza da letto e di un ritratto del pontefice nella sala dell’udienza è dovuta all’uso degli ambienti, come raccomandato nei precetti del Mancini, cfr. A. Marucchi, Considerazioni…, vol. I, 1956, p. 143.[↩]
- Per una disamina della cerchia di artisti vicini a Sacchi, si rimanda a A. S. Harris, Andrea Sacchi: Complete Edition of the Paintings with a Critical Catalogue, Oxford 1977. Per il ruolo di Sacchi come “regista” dell’allestimento vedi L. Calzona, Andrea Sacchi… 2017, pp. 267-281. A tal proposito sono rilevanti le informazioni fornite dai mandati di pagamento in M. Aronberg Lavin, Seventeenth…, 1975, pp. 23-24; da essi emerge che tutti i dipinti vengono realizzati e pagati tra il 1639 ed il 1641 (ad eccezione del dipinto realizzato dal Naldini che fu saldato nel 1642) e, come già sottolineato da Calzona, l’effettiva centralità di Sacchi al quale venivano forniti gli scudi per saldare gli artefici.[↩]
- Il termine «capicciola» si riferisce ad un filato, prodotto dalla lavorazione degli scarti della seta, con il quale si realizzavano, tra gli altri, cordoni, trine e frange, cfr. S. Moscatelli, Glossario, in Vestire i Palazzi…, 2014, p. 437.[↩]
- BAV, Arch. Barb, Comp. 268, ff. 97-101. Il punto francese è un ricamo a punto lanciato, caratterizzato da filati policromi in lana o seta, realizzato in diversi motivi e utilizzato sopratutto come rivestimento di sedie e sgabelli, cfr. S. Moscatelli, Glossario, in Vestire i Palazzi…, 2014, p. 441.[↩]
- BAV, Arch. Barb, Comp. 268, ff. 102-104. Le tonalità del verde erano quindi riproposte per ogni componente dell’arredo: un esempio è la copertura in panno verde destinata al gioco da trucco in C11; in questo ambiente era anche un ricchissimo baldacchino di «damasco cremesino di venetia» guarnito d’oro, cfr. M. Aronberg Lavin, Seventeenth…, 1975, p. 154. Il termine «sangalla», ricorrente nell’inventario, si riferisce ad una qualità di tela unita in filato di fibra vegetale, impiegata come fodera di manufatti d’arredo e che prende il nome dalla località svizzera di San Gallo dove fu inizialmente prodotta, cfr. S. Moscatelli, Glossario, in Vestire i Palazzi…, 2014, p. 442.[↩]
- M. Aronberg Lavin, Seventeenth…, 1975, pp. 153-154.[↩]
- Ci si riferisce ancora una volta all’appartamento da basso (B19-B38) e alle «stanze de quadri» del piano nobile (C34-44).[↩]
- M. Aronberg Lavin, Seventeenth…, 1975, pp. 153-154. [↩]
- P. F. Bertrand, Les tapisseries…2005, p. 65, nota 24; l’inventario registra anche due fregi «di chiaro scuro, con fiori et ape», uno dei quali è detto in seta, mentre il secondo in tela, cfr. BAV, Arch. Barb, Comp. 268, ff. 99-100.[↩]
- Ibidem.[↩]
- P. F. Bertrand, Les tapisseries…2005, p. 196.[↩]
- P. F. Bertrand, Les tapisseries…2005, pp. 65, 138; M. Aronberg Lavin, Seventeenth…, 1975, p. 154. Per gli arazzi presenti nella collezione di Antonio Barberini si rimanda al testo di Bertrand.[↩]
- Il documento registra tutti gli arazzi presenti nella residenza all’interno della Guardarobba, poiché esposti negli ambienti del Palazzo solo in occasioni particolari; tuttavia, la presenza in due ambienti della suite di «cantonate di tela conforme al fregio del parato di diana vecchia» permette di ipotizzarne la collocazione in C7 e C8. Già Bertrand ricostruì la collocazione degli arazzi, ritenendo che si trovassero in C8 e C9, cfr. P. F. Bertrand, Les tapisseries…2005, p. 65.[↩]
- Per la pratica di rivestire interamente le pareti, utilizzando a complemento degli arazzi anche opere di materiale, e talvolta di soggetto differente, vedi J. G. Harper, The Barberini Tapestries. Woven Monuments of Baroque Rome, Milano 2017, pp. 145-146.[↩]
- P. F. Bertrand, Les tapisseries…2005, p. 65, 196; Bertrand riteneva che la serie fosse esposta in C7. L’inventario manoscritto del 1644, come riportato da Bertrand, ricorda anche una «stanza di armida», denominazione che dovrebbe riferirsi alla serie con «l’Istoria di Rinaldo et Armida», che Bertrand riteneva esposta in C5; la serie di Armida è menzionata in M. Aronberg Lavin, Seventeenth…, 1975, p. 154.[↩]
- G. Harper, The Barberini…, 2017, pp. 27-28.[↩]
- Per l’elenco dei dipinti M. Aronberg Lavin, Seventeenth…, 1975, pp. 159-161, nn. 35-70.[↩]
- A. C. Steland, Herman van Swanevelt (um 1603-1655): Gemalde und Zeichnungen, Petersberg 2010, pp. 30-33.[↩]
- S. Russell, Frescoes by Herman van Swanevelt in Palazzo Pamphilj in Piazza Navona, in The Burlington Magazine, marzo 1997, pp. 171-173.[↩]
- S. Russell, Frescoes by Herman van Swanevelt in Palazzo Pamphilj in Piazza Navona, in The Burlington Magazine, marzo 1997, pp. 171-173. [↩]
- G. B. Passeri, Vite de pittori, scultori ed architetti, che hanno lavorato in Roma, morti dal 1641 fino al 1673, 1641-1673, pp. 170-171.[↩]
- S. Russell, “His Great Genius Was to Make Landscapes”. The Roman Years of Herman van Swanevelt (c. 1603-1655), Roma 2019, pp. 101-105.[↩]
- M. Aronberg Lavin, Seventeenth…, 1975, pp. 24, 15, 38.[↩]
- S. Russell, “His Great Genius…”, 2019, p. 108; per una disamina approfondita dello stile dei dipinti dello Swanevelt vedi pp. 101-124; in questa sede sarà solo interessante sottolineare che la studiosa ritiene che la serie barberiniana sia tra i lavori più importanti dell’intera carriera dell’artista, ritracciandovi, una serie di rimandi simbolici sia agli affreschi che decoravano le volte dell’appartamento, che alla famiglia pontificia.[↩]
- Per Filippo Gagliardi vedi i contributi di M. Marzinotto e specificamente Filippo Gagliardi disegnatore, pittore, architetto e prospettico nella Roma del XVII secolo: un artista poco noto della corte dei Barberini, in Bollettino della Unione Storia ed Arte, 2004, pp. 30-49.[↩]
- L. Calzona, Andrea Sacchi… 2017, p. 279, nota 51.[↩]
- Gli ermisini azzurri dipinti erano peraltro già citati nell’inventario delle arti decorative del cardinale del 1636-1640, che dedica una specifica sezione ai «paramenti di ormesino», registrandone la presenza in sette stanze e specificando che si trattava di tessuti dipinti, cfr. M. Aronberg Lavin, Seventeenth…, 1975, p. 156; si trattava di una tipologia di parato di fattura molto particolare e che necessita di ulteriore indagine.[↩]
- A. Brooks, Richard Symonds’s Account of His Visit to Rome in 1649-1651, Londra 2007, p. 159: «Taffeta painted w’h Cornucopias & Pots of Flowrs. Other Roomes having ye same Taffeta & fountaynes painted on y»; identificazione delle stanze in nota 10. Symonds di riferisce a Swanevelt come Monsù Armanno, cfr. p. 159, nota 4.[↩]
- A. Brooks, Richard…, 2007, p. 70, nota 361.[↩]
- P. Waddy, Seventeenth…,1990, p. 191.[↩]
- BAV, Arch. Barb, Comp. 268, ff. 112-119.[↩]
- BAV, Arch. Barb, Comp. 268, f. 115.[↩]
- Ibidem. [↩]
- BAV, Arch. Barb, Comp. 268, ff. 117-118.[↩]
- Ibidem. [↩]
- BAV, Arch. Barb, Comp. 268, f. 32.[↩]
- L. Calzona, Andrea Sacchi… 2017, p. 279, nota 51. [↩]
- BAV, Arch. Barb, Comp. 268, ff. 23-24.[↩]
- BAV, Arch. Barb, Comp. 268, f. 30.[↩]
- L. Calzona, Andrea Sacchi… 2017, p. 279, nota 51. La «zampaniera» o «zampanaro» era un cortinaggio leggero del letto, realizzato spesso in velo di seta, utilizzato come zanzariera, cfr. S. Moscatelli, Glossario, in Vestire i Palazzi…, 2014, p. 445.[↩]
- BAV, Arch. Barb. Comp. 224, Giornale C.[↩]
- Per Remigio Kikoltz vedi A. Gonzàlez-Palacios, Il Mobile a Roma…, 2022, pp. 195-196, 249-257; Id., Il gusto…, 1993, I, pp. 376, nota 53, 387.[↩]
- L. Calzona, Andrea Sacchi… 2017, p. 280, nota 57; tra i pagamenti riportati in nota da Calzona ed in generale tra quelli riferiti al Kikoltz personalmente consultati in Arch. Barb. Comp. 224, Giornale C, il pagamento indicato nel testo risulta interessante poiché l’unico che riguarda pietre commesse.[↩]
- Il testo, che omaggia continuamente il card. Francesco e fu realizzato con l’importante collaborazione di Cassiano dal Pozzo, dedica il capito XXI alle piante indiane presenti nel giardino della famiglia; infine, l’edizione in lingua italiana di Faciotti del 1638 fu dedicata ad Anna Colonna Barberini; per l’argomento vedi Fiori. Cinque secoli di pittura floreale, catalogo della mostra a cura di F. Solinas (Biella, Museo del Territorio 21 marzo- 27 giugno 2004).[↩]
- E. B. MacDougall, Fountains, Statues, and Flowers Studies in Italian Gardens of the Sixteenth and Seventeenth Centuries, Washington 1994, pp. 250-259. L’inventario è fornito anche di una pianta che permette, tramite la numerazione dei fiori elencati, di individuarne la collocazione precisa nel giardino. MacDougall riferisce all’inventario altri due manoscritti, un trattato di orticultura (MS. Barb. Lat. 4278) e un album di fiori (MS. Barb. Lat. 4326), che ritiene possibile furono redatti per favorire la conoscenza ed il mantenimento dei fiori presenti nel giardino del card. Antonio, cfr. pp. 226-249.[↩]
- Ibidem. [↩]
- A. Blunt, Guide to Baroque Rome, Londra 1982, p. 163. Per il rapporto tra palazzo e villa nell’architettura della residenza alle Quattro Fontane, vedi P. Waddy, Seventeenth…,1990, pp. 223-224.[↩]
- L. Faedo-T. Frangenberg, Girolamo Tezi, Aedes Barberinae ad Quirinalem descriptae, Pisa 2005, p. 191, identificazione dell’ambiente in p. 191, nota 53. Tezi descrive l’ambiente addobbato con un apparato che comprendeva arbusti, pertiche e giochi d’acqua.[↩]