L’arte del legno a Cagliari e nella Sardegna meridionale: l’apporto siciliano
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DOI: 10.7431/RIV28052023
Per comprendere quanto fossero apprezzate le produzioni degli artisti siciliani, basti ricordare l’importazione da Palermo del monumentale tabernacolo architettonico in argento del duomo cagliaritano, a foggia di tempietto rinascimentale a tre ordini, completato il 23 gennaio 1610, come anche il trasferimento dalla Sicilia di tanti orefici che aprirono bottega nelle città sarde di Alghero, Sassari e Cagliari 1. Tuttavia, l’interscambio artistico verificatosi in età moderna fra le due isole maggiori del Mediterraneo non è stato a mio giudizio ancora adeguatamente messo a fuoco.
Se risulta infatti ben analizzata l’importanza della scultura campana in Sardegna 2, non è stata altrettanto indagata l’importazione di statue siciliane in alabastro, marmo e legno 3; fanno eccezione la diffusione di copie della Vergine di Trapani e l’estesa devozione per l’Odighitria e Santa Rosalia di Palermo 4. Per fare qualche esempio, tra la statuaria lignea policroma, riecheggia i modi di Giovan Pietro Ragona (1632-1697) l’inedita statua di S. Angelo martire carmelitano, patrono della parrocchiale di Osidda (SS) 5, mentre tra le statuette di Vergini o Santi in marmo alabastrino di produzione trapanese presenti nelle chiese sarde, potrebbe essere opera di Alberto Tipa (1732-1783) l’Assunta tra angeli (Cagliari, S. Mauro), che nella base raffigura a traforo il Transito di Maria 6.
Val la pena ricordare che secondo fonti letterarie secentesche proprio dalla Sicilia provenissero i marmorari attivi nel Santuario dei Martiri, fatto realizzare all’interno del duomo di Cagliari dall’arcivescovo Francisco Desquivel (1605-1624†) per accogliere le reliquie rinvenute in apposite campagne di scavo 7: «Su Señoria Illustrissima…hizo venir de Sicilia muchos maestros, con mucho gasto para labrar los marmoles» 8. Secondo il registro di pagamento dei lavori, coordinò la decorazione marmorea Antonio Zelpi (Gelpi, Serpi), originario di Casasco d’Intelvi (CO), con altri collaboratori di cui purtroppo non si riportano le generalità 9.
Già residente a Cagliari, nel 1618, Zelpi riconosce il debito di 12 onze verso il marmorer siciliano Vincenzo de Arculio, che questi gli prestò a Palermo l’anno prima 10. Questa notizia sostanzia l’ipotesi che il lombardo abbia lavorato in Sicilia fino al 1617, nella decorazione di qualche chiesa o convento 11; si trasferì poi in Sardegna forse su richiesta dello stesso arcivescovo Desquivel, che a lui si rivolse per il suo monumento funebre, realizzato in marmi mischi su progetto del pittore romano Francesco Aurelio (1618-1621) 12. Il sarcofago Desquivel presenta qualche analogia con il monumento funebre di Francesco Gagliardo (1617) nella Badia Nuova di Polizzi Generosa (Palermo) e con quello di Pietro Eban Cardona (1619) della Chiesa Madre dello stesso centro 13, con la differenza di recare sul coperchio la figura giacente del defunto rappresentato come se dormisse e di essere incassato entro un arco su un fondale dipinto. In modo analogo, la variegata decorazione con motivi geometrici ad intarsio delle pareti del Santuario cagliaritano trova qualche assonanza con i succitati monumenti siciliani.
L’intaglio ligneo nella Sardegna spagnola
A giudicare dagli antichi inventari redatti nelle chiese sarde tra la fine del XVI e i primi del XVII secolo in occasione delle visite pastorali, ogni parrocchia possedeva almeno un retablo dipinto dedicato alla Vergine o al santo patrono, dotato di paliotto d’altare e di due candelieri o angeli porta-cero scolpiti, cui si aggiungeva un Crocefisso, una Veronica e un certo numero di statue devozionali di varia intitolazione 14. In ottemperanza alle nuove norme liturgiche emanate dal concilio tridentino, confermate in loco da disposizioni sinodali, nel corso del Seicento altari, tabernacoli, pulpiti e cantorie, cori e mobili da sacrestia furono interessati da un processo di rinnovamento delle fogge e dell’apparato decorativo. L’arte dell’intaglio riguardava infatti la gran parte degli arredi liturgici, dato che era sporadico e raro l’utilizzo del marmo, materiale costoso e non reperibile in loco, riservato alle realizzazioni di maggior rilievo e alla committenza più altolocata.
Per giungere ad individuare gli artefici e le loro provenienze sono uno strumento indispensabile le carte d’archivio, in quanto nella realizzazione delle opere intervengono spesso vari specialisti, che si consorziano fondando società temporanee. In taluni casi emerge la figura di un progettista/appaltatore, che dirige i lavori affidando gli incarichi a operatori diversi secondo le loro competenze.
Sulla base dei dati documentali ricavati dai registri della maestranza o confraternita (confraria), da atti notarili e dagli archivi ecclesiastici, è emerso che a Cagliari furono attive nel corso del Seicento un centinaio di botteghe del legno, tra falegnami (fusters), stipettai (caxers), intagliatori (entalladors), scultori (escultors), mastri d’ascia (mestre de axa), di chitarra (guitarrer), di carri, di ruote, di mulino, di barca o di schioppo (mestre de carros, coche o rodas de coches, roda de galesa, molins o moliner, barquer, caxas de escopeta) 15.
Dapprima unita a quella dei muratori, poi autonoma dalla fine del ‘400, la confraternita, intitolata a San Giuseppe e San Luca, aveva sede nell’oratorio di San Giuseppe all’interno del convento di San Domenico. Gli statuti (Capitoli) ci sono pervenuti nella redazione del 27 ottobre 1675, in sostituzione di quelli del 1516 ritenuti inadeguati; essi stabilivano le rigide norme dell’apprendistato, che durava dai cinque anni ai nove anni, sancito da un contratto stipulato presso un notaio (carta), le modalità di ingresso al mestiere e gli ambiti di competenza delle diverse specializzazioni 16.
Si sono rivelati preziosi i dati reperiti nel Llibre en hont restan continuats los examens de la mestranca de fusters, torners, guitarrers, caxers, moliners, barquers, entalladors, mestres de axa y carros, de fer rodas de coche y demes que exercesen la art de fusta de esta ciutat de Caller, baix lo patrocini dels gloriosos Sant Joseph y Sant Lucas, erecta en la Capella 17. Secondo l’inventario del 1743, all’interno della Cappella non vi erano dei retabli ma solo degli altari con vari simulacri dei santi patroni, tra cui tre statue di San Giuseppe (uno en la capilla de la iglesia con la cortina de hierro y dos en lo Oratorio, uno con vidriera y otro con cortina y hierro) ed un simulacro di San Luca (el vulto de San Lucas con su vidriera). L’Oratorio possedeva inoltre dodici quadri, tra cui l’antico stendardo processionale (doze quadros, comprendido el de la bandera vieja) ed il necessario corredo di tovaglie per gli altari, oltre ai banchi lignei per i confratelli.
Pur nella frammentarietà e lacunosità della documentazione conservata, tra i nomi finora emersi è stato possibile accertare che ad una netta maggioranza di operatori locali 18 si aggiungeva una certa varietà di provenienze d’Oltremare, tra cui catalani, maiorchini, francesi, liguri, lombardi e campani 19. Anche a Sassari figurano molti operatori naturalizzati per via di matrimonio (corsi, provenzali, liguri, emiliani), ma non sono attestati dei siciliani, tranne forse Bastiano e Januario De Cillara (1596) 20.
I forestieri erano ammessi ad esercitare il mestiere se residenti e solo dopo aver superato l’esame dell’arte, che a seconda delle specializzazioni consisteva in una prova pratica o in un disegno. Gli esami si sostenevano alla presenza dei maggiorali e dei tre examinadors incaricati 21; un notaio redigeva il verbale. Gli aspiranti fusters venivano presentati da un padrino, individuato tre mesi prima, che li aveva seguiti nella preparazione alla prova. I disegni progettuali (trassas o designes) andavano illustrati alla commissione rispondendo alle domande (preguntas) in modo chiaro e soddisfacente, secondo i modi stabiliti dalla tradizione del mestiere (seguns sol y costuma). Superata la prova d’esame, i nuovi maestri giuravano sui Capitoli dell’arte e sull’effigie del Santo Cristo; una volta pagata la tassa prevista, erano autorizzati ad esercitare il mestiere.
In un quadro riepilogativo dell’attività dei maestri legnaioli, si rileva che sono relativamente pochi gli scultori veri e propri, dediti all’intaglio di statue a tutto tondo (imagiens o bultos), come i sardi Monserrato Carena (1612-1624); Agusti Carta escultor y pintor (1632-1678); Juan Angel Puxeddu (1616-1662); Sadorro Lochi scultore e indoratore (1656-1704); Lucifero Medda scultore e pittore (1696-1697); Juan Maria Melis (1675-1680). A questi si aggiungono i campani Giulio Adato (1598-1629†); Giovanni Antonio Amatuccio (1633-1647); Giuseppe (1694-1704) e Nicola Caso (1708-1715); Giovanni Onofrio Cuomo scultore e indoratore (1632-1649); Alfonso (1627-1660†) e Giuseppe Del Vecchio (1617-1666); Francesco e Tommaso Forlino (1631-1653); Giuseppe Gallone (1624-1650); Francesco Marsiello (1629-1649†); Onofrio e Michele Falconi escultors, entalladors, fusters (1682-1698); Paolo Spinale che fu anche entallador e fuster (1686-1704); Bartolomeo (1688-1689) e Giuseppe Volpe (1695-1734) 22. Ricordiamo infine il maiorchino Jayme Magis escultor, entallador e fuster (1703-1709).
In questa sede interessa sottolineare come tra gli artigiani immigrati e naturalizzati figuri una cospicua rappresentanza di Siciliani, provenienti in prevalenza da Palermo e Trapani, città collegate con Cagliari da floridi traffici mercantili di grano, corallo, tessuti etc. 23, ma anche da altre località minori come Castelluccio, Milazzo e Sciacca. In una veloce rassegna, tra la fine del XVI secolo e la prima metà del XVII sono attestati i siciliani Nicola Darvena (Daverna, Taverna) caxer e fuster (1594-1650), che realizzò una cassa intagliata in noce (1616) e un reliquiario a 24 nicchiette per i Cappuccini (1620) 24; Leonardo Greco fuster palermitano (1616-1690), che rinnovò sei statue di angeli a Quartucciu (CA) 25; Paolo de Guiragi pintor palermitano, che nel 1645 operò con il socio napoletano Nunzio Rosso 26; Federico Giovanni Lombardo fuster palermitano, che per il pittore Francesco Pinna intagliò due retabli di 14 palmi per la chiesa del Carmine a Cagliari (1595) 27; Giacomo Lombardo fuster (1609-1616) 28; Giacomo Montalto fuster e caxer (1615-1618), che dipinse un quadro della Vergine d’Itria per l’omonima confraternita 29; Giovanni Orfano fuster e torner (1609-1616) 30; Vincenzo Sasso mestre daxia e fuster palermitano (1624-1645), che in società con altri operatori sardi e campani fu attivissimo nella realizzazione di retabli e tabernacoli architettonici per Cagliari, Iglesias, Settimo San Pietro e altre località 31.
Nel capoluogo sardo, la Nazione siciliana aveva la sua sede nella chiesa di Santa Rosalia, concessa nel 1693 dai Consiglieri civici. L’edificio si trova ai margini del quartiere di Lapola o Marina, dove la gran parte degli artigiani siciliani aveva abitazione e bottega, sede di una vivace attività commerciale e non distante dalla darsena del porto. I riti religiosi, seguiti dai Minori Osservanti, si svolgevano all’interno di una cappella dedicata alla Vergine di Trapani, ben adorna e munita di tutti i necessari arredi grazie alla generosità dei suoi aderenti e di altolocati benefattori 32.
A causa delle drammatiche conseguenze della peste (1652-1656), si richiese al viceré Conte di Lemos (1653-1656) che venisse abolito l’obbligo dell’esame per poter esercitare il mestiere sulla piazza 33. Ciò favorì una nuova ondata migratoria di operatori alla ricerca di nuovi mercati, come il pittore messinese Giovanni Fulco, attivo in Sardegna negli anni 1649-1659 34, e il naturalizzato Giuseppe Deris (De Eris), che si trasferì a Cagliari, dove operò dal 1659 fino alla morte nel 1695 35. Tra i legnaioli iscritti alla maestranza cagliaritana, provenivano certamente dalla Sicilia Giuseppe Bennat (Beninato, Boninato), scultore e indoratore (1655-1696), che nel 1690 rifinì il retablo di S. Antonio nella chiesa di S. Francesco a Iglesias 36; Gerolamo Borleo natural di Trapani, dichiarato “maestro di grazia” dalla maestranza il 7 novembre 1700; Onofrio De Amato, stuccatore, marmoraro e indoratore di Castelluccio di Sicilia (1677-1695) 37, che realizzò retabli per Guspini (1677), Cagliari, Iglesias 38, Gonnoscodina (1683), Nurri e Decimoputzu (1690); l’indoratore Vito de Gandio (1678†) 39; Antonino e Baldassarre de la Rosa torner (31 agosto 1698) 40; Domenico de Milacho caxer della città di Trapani (23 agosto 1676) 41 e suo figlio Gabriel; Vincenzo de Xaca (Sciacca), che superò l’esame da fuster nel 1696 (registrato il 16 giugno 1697, designat sobre la rajola seguns se sol y costuma) e da caxer (2 ottobre 1701) 42; Onofrio Fracuni entallador, che nel 1682 realizzò due grandi candelabri di 7-8 palmi, su modello di quelli che l’arcivescovo Diego de Angulo (1676-1683) fece arrivare da Palermo per farne dono al Santuario di N.S. di Bonaria 43; Francesco (1665-1699†) e Giuseppe Gandorfo o Garofalo (1666-1699), padre e figlio, caxer l’uno il 22 novembre 1665 e l’altro il 17 gennaio 1666 44; Nicola Gandorfo fuster (1665) e caxer (1666); Giuseppe Lombardo fuster (1676); Vincenzo Maronjo mastro d’ascia e d’intaglio (1671); Michele Putzo (1655-1688) fuster dal 3 ottobre 1655, che eseguì il retablo del Rosario per Serramanna ed un altro per Sestu con l’indoratore Agostino Capitularis 45; Giovanni Raggiro scultor di Palermo (1662) 46; Battista Sida fuster di Trapani (22 maggio 1701); Giuseppe Stilla (1671-1691) entallador (25 settembre 1672), che nel 1676 istituì una società con l’indoratore Giuseppe Beninato per lavorare insieme dividendosi a metà gli introiti 47. Resta dubbia la provenienza di Ambros Zagarra fuster (31 ottobre 1666), che il 20 marzo 1682 fu espulso dalla maestranza per non aver accettato la carica di obrer.
La famiglia Recupo
Sono dunque una trentina i nomi di legnaioli siciliani finora emersi dalle carte d’archivio. Tra questi spicca una famiglia di origine trapanese, i Recupo, che si inserirono a pieno titolo nel contesto sociale ed economico della città di Cagliari, acquisendo un ruolo di rilievo all’interno della maestranza. Il capostipite è Tommaso Recupo (1674-1716†), nato a Trapani da Biagio e Itria Recupo, che almeno dal 1674 risulta domiciliato nel quartiere di Lapola a Cagliari. Qui, il 23 ottobre 1678 sposò Agata, figlia di mastro Giuseppe Stilla e di Vincenza, da cui ebbe tre figli: Antonia Rosalia, Antonino Giovanni e Antonia Itria 48.
Allo stesso anno 1678 risale il retablo della Vergine di Trapani nella chiesa di S. Bartolomeo a Cagliari (Fig. 1), commissionato con l’omonima cappella per la bella cifra di 400 scudi dal mercante-imprenditore siciliano Antonio Genovés per adempiere alle volontà testamentarie della compagna, donna Rosalia 49. Colonne tortili binate, riccamente ornate, incorniciano la nicchia cassettonata che accoglie la statua lignea della Madonna di Trapani, copia secentesca del venerato simulacro marmoreo attribuito a Nino Pisano (1360-1370), conservato nella basilica della SS. Annunziata 50. Nell’attico si staglia la figura dell’Eterno Padre a bassorilievo, tra stipiti antropomorfi desinenti in drappi panneggiati, elemento che sarà una cifra tipica di Recupo. Pur in mancanza di prove documentali, viene spontaneo pensare che egli abbia partecipato alla realizzazione di quest’opera 51.
Il 13 agosto 1679 Tommaso sostenne l’esame da entallador e gli fece da padrino il conterraneo Giuseppe Gandorfo. In tale occasione dichiarò di aver lavorato in autonomia, senza dipendere da altro capo-bottega. Pur non avendone un riscontro certo, appare prossimo alla sua produzione il Retablo di Nostra Signora d’Itria nella chiesa dell’Assunta di Sardara (Fig. 2), realizzato nel 1680 a spese del rettore Michele Massa, secondo l’iscrizione: «Expensis reverendi Michaelis Massa rectoris ecclesiarum de Sardara et Ҫercela anno 1680» 52. A unico ordine, è composto da un’ampia nicchia cassettonata tra colonne tortili e procaci arpie-sirene, su predella pittorica, ed è concluso da un ornato architrave e da un fastigio a volute. In società con l’indoratore maiorchino Joan Galceran Sequer, nel 1683 si impegnò a realizzare per Mandas (CA) nove paliotti d’altare, una croce e sei candelabri in legno intagliato e dorato, per il compenso di 292 lire sarde 53.
Forse per poter ampliare la sua sfera di attività, il 4 gennaio 1688 fu presentato all’esame da fuster dal conterraneo Michele Putzo: «Die quarta januari 1688 en dit Oratori certifique y fas fe de veritat yo notari infrascrit de com mestre Thomas Recupo se es examinat del offissi de fuster essent majorals los susdits, examinadors axibe los susdits, essent padri mestre Miguel Putzo; ha iurat los capitols y ha promes observar aqueles en fe, de lo qual fas la» 54.
Da questo momento in poi, Tommaso Recupo si specializzò nella produzione di altari prevalentemente di piccole e medie dimensioni: in legno intagliato, decorati in foglia d’oro o in argento meccato, avevano i campi di norma dipinti nei colori azzurro o verde, talvolta maculati o screziati. Per quanto attiene la loro foggia architettonica, potevano essere strutturati ad unico ordine, tripartito da colonne tortili ai lati di una nicchia centrale, su predella e attico, oppure a doppio ordine con vani o nicchie per ospitare simulacri o tele dipinte. Elementi caratteristici della produzione della bottega del maestro trapanese sono le nicchie centinate dalle volte strombate e cassettonate, spesso contornate ai lati da cortine, calate decorative o drappi pendenti, la frequente presenza di erme femminili, cariatidi, sirene o arpie ai lati del tabernacolo o sui fianchi laterali dell’altare, insieme ad altri elementi ornamentali, quali volute barocche e vasi a fiamma.
Colpisce il tema mitologico-letterario delle arpie-sirene, apparentemente incongruo con il contesto eucaristico, forse allusivo alle forze del male sconfitte da Cristo; il filosofo neoplatonico Porfirio (III secolo d.C.) vede nelle sirene la personificazione delle bramosie che attirano nel peccato, che conduce alla rovina. Per quanto riguarda il motivo del panno drappeggiato, che cade a ritmiche balze ed è concluso da una nappa, prediletto da Recupo, compare già nel barocco pulpito marmoreo del duomo di Cagliari, realizzato a Genova da Giulio Aprile per l’arcivescovo Pietro de Vico (1657-1674†). Lo ritroviamo altresì nelle decorazioni in stucco policromo nel presbiterio dello stesso duomo, intorno alla secentesca edicola della Vergine di Montserrat, la cui bella immagine marmorea richiama alla mente sculture napoletane e siciliane del tardo ‘500.
Un’intensa attività connota gli ultimi decenni del secolo: nel 1688 Tommaso pagò i diritti alla maestranza per un retablo destinato a Gonnostramatza. Nel 1690 intervenne nella chiesa di S. Eulalia a Cagliari, per lavori non specificati, e realizzò un’edicola d’altare per la chiesa del Rosario di Terralba (OR) 55. Nel 1694 gli venne commissionato un retablo per la cappella su cui aveva patronato Apollinare Faedda, all’interno della chiesa gesuitica di S. Teresa a Cagliari 56, attuale Auditorium. Nel 1695 realizzò un repositorio per il Giovedì Santo e sei candelieri in legno rifiniti in argento meccato per la parrocchiale di Furtei 57.
Tra il 1696 e il 1699 intagliò tabernacolo architettonico e paliotto d’altare per la capilla mayor della parrocchiale di Sanluri, che andarono a sostituire un antico retablo, trasferito nel coro dopo essere stato restaurato. Le successive trasformazioni del presbiterio e il rifacimento in marmi dell’altare causarono lo spostamento dell’opera di Recupo nella chiesa di S. Lorenzo dello stesso centro, rendendo necessario un rimaneggiamento del retablo per adattarlo alla nuova sistemazione 58. L’assetto attuale (Fig. 3) presenta una connotazione classicistica a serliana: un ornato architrave, retto da colonne dorate, sormonta tre nicchie a conchiglia, che accolgono altrettante statue. Il bel simulacro di San Lorenzo è inserito entro una elaborata edicola dorata, incastonata al centro: interamente dorata, presenta ai lati erme femminili terminanti in panneggi e lunghe foglie di palma (Fig. 4).
Per la chiesa dei Siciliani a Cagliari, all’interno della cappella della Vergine di Trapani, edificata dal picapedrer Giuseppe Boy, Recupo realizzò nel 1698 il retablo di Santa Rosalia, che fu rifinito dall’indoratore napoletano Bernardo Infante (1678-1713). Dell’opera, pagata ben 250 scudi dal canonico Francisco Genovés che godeva del giuspatronato sulla Cappella 59, resta solo la statua di Santa Rosalia, dal sensibile modellato, fine prodotto d’importazione (1697) 60. Nello stesso anno pagò i diritti alla maestranza per un non specificato «retaulo de Oristan», forse identificabile in quello ancora oggi nella locale chiesa di S. Domenico, che presenta caratteristiche compatibili con la sua produzione: le colonne tortili, la tipologia delle nicchie con le calate ai lati di quella centrale, il tabernacolo decorato da arpie, le terminazioni a voluta e i decorativi vasi a fiamma. Tra 1699-1700 realizzò invece un paliotto d’altare intagliato e dorato insieme ad altri arredi sacri per la confraternita del Rosario di Villasor (CA), e dorò quattro angeli 61.
Per organizzare meglio il lavoro e far fronte a più commesse, Tommaso entrò in società temporanea con l’indoratore napoletano Vito de Liso 62. Questi dorò il retablo già intagliato da Recupo per l’Arciconfraternita del Rosario di Laconi nel 1700, che doveva essere «bo, nou, y conforme lo designe», con i campi screziati in verde rifiniti in argento meccato. Alto fino alla volta, quattro colonne tortili erano disposte ai lati di una nicchia per la statua della Vergine, che era contornata dai Misteri del Rosario; era completato da due arpie e due angeli, paliotto d’altare, i gradini per i candelieri e due porte. Il compenso fu stabilito in 60 scudi (40 d’acconto, il resto a saldo), mentre la doratura costò 80 scudi 63.
La proficua collaborazione tra Recupo e De Liso proseguì nel tempo e nel 1703 si allargò a coinvolgere lo scultore-indoratore Sisinnio Lay 64, con cui avevano già avuto modo di lavorare a Sanluri per un tabernacolo e le nicchie per i SS. Cosma e Damiano (1701), a Decimoputzu (CA) nel retablo, poi dipinto da Giuseppe Peddis 65 e a San Vero Milis (OR) nel retablo del Rosario (1704).
Ha una struttura molto diversa dalle precedenti opere il retablo che Recupo realizzò nel 1703 per la parrocchiale di Donigala (CA), per il compenso di 350 scudi 66: a foggia di tempietto architettonico a triplo ordine, con nicchiette che accolgono statue di santi, tra colonnine tortili, rifinito ai lati dalle consuete arpie tra volute, era completato da ali simmetriche a gradini, con angeli e candelieri (Fig. 5). Il piccolo tabernacolo, decorato ai lati da classicistiche erme e dai drappi decorativi, leit motiv del maestro trapanese, ricorda analoghe realizzazioni delle Madonie 67. L’incarico era stato preceduto da una ‘supplica’ all’arcivescovo di Cagliari, affinché per incrementare la devozione verso la Vergine di Montserrat 68 autorizzasse la realizzazione di una prospetica. Tale termine indica i diversi piani di profondità e il senso prospettico che caratterizzano tabernacoli eucaristici e altari piramidali anche in Sicilia, come in Piemonte e nelle aree alpine 69.
Nel 1704, Tommaso Recupo realizzava un altro retablo per la chiesa di S. Anna a Cagliari, scandito da quattro colonne e altrettante nicchie per accogliere le statue di S. Anna tra quelle di S. Giuseppe e S. Gioacchino e, in alto, quella di Gesù Bambino. Nel disegno progettuale, era previsto un piccolo ciborio (simboret) sopra la nicchia centrale 70. Nel 1705, gli fu richiesto di decorare il tabernacolo della parrocchiale di Samatzai con due arpie 71.
Nella chiesa del Santo Monte a Cagliari realizzò il perduto retablo di Nostra Signora della Pietà (1707) 72, per Villagreca l’edicola d’altare (1709) e altri lavori ancora negli anni successivi 73.
È opera sua il bel retablo del Crocifisso (1710-1711) della parrocchiale di Sanluri (CA), strutturato a doppio ordine di nicchie tra colonne tortili (Fig. 6) 74, che al centro si apre ad accogliere un drammatico Santo Cristo, di tipologia dolorosa, che segue il venerato modello del Cristo di Nicodemo (Oristano, chiesa di S. Francesco) 75. L’attico reca il dipinto dell’Eterno Padre e la colomba dello Spirito Santo, che sovrastano il simulacro ligneo a ricomporre idealmente la tradizionale iconografia trinitaria.
Ancora della società Recupo-Lay è il piccolo retablo di Nostra Signora d’Itria nella chiesa di S. Lorenzo a Sanluri (Fig. 7) 76. A corpo unico su predella e gradini dei candelieri, la nicchia centrale protetta da vetri piombati ospita la statuetta vestita della Vergine, circondata da aura miracolosa; affiancata da vistosi drappi dorati e da colonne tortili lisce, l’edicola è conclusa da ricchi encarpi e volute. La confraternita della Vergine SS. d’Itria fu fondata nel 1697 da fra’ Agostino Saba, custode generale della provincia eremitana sarda, e aggregata all’Ordine agostiniano nel terzo ramo dei Cinturati 77.
Nel 1713 Recupo realizzò l’altare dell’Oratorio delle Anime a Cagliari, poi sostituito in marmi e disperso, ed il retablo di S. Antonio di Padova nella distrutta chiesa di S. Maria di Jesus a Cagliari. Ancora, tra il 1712 e il 1713 scolpì il retablo di S. Giacomo a Mandas (CA): a due ordini su predella, riccamente ornato, che accoglie entro nicchie sei statue lignee.
Presenta caratteristiche vicine alla sua produzione il grandioso retablo di Sant’Antioco nel duomo di Iglesias (Fig. 8), dorato nel 1714 dal suo collaboratore Sisinnio Lay, in particolare i drappi che incorniciano l’attico e il vano superiore, le sirene-arpie sui fianchi, i vasi fiammati nelle terminazioni. A doppio ordine, il primo livello è scandito verticalmente da colonne tortili e accoglie più antiche statue di S. Antioco tra S. Benedetto e S. Chiara, titolare del duomo; il secondo, suddiviso da begli stipiti antropomorfi, è ornato da tele firmate P. Scaletta e datate 1718, che furono realizzate a spese dei canonici Francesco Cara e Francesco Santus Massa 78. Potrebbe dunque essere opera di una società temporanea di artisti, che si erano consorziati per l’importante occasione.
Nel 1715, un anno prima della sua morte, Tommaso era ancora in attività sul retablo di S. Luigi Gonzaga a Mandas, che riprende l’impostazione del precedente retablo di S. Giacomo tranne per l’elaborato fastigio a giorno 79.
Potrebbe essere opera della sua bottega anche il retablo del Carmine nell’omonima chiesa di Suelli (CA) (Fig. 9), che sia nella foggia che nell’intaglio richiama quei modi operativi e presenta alcuni elementi decorativi caratteristici, quali i drappi pendenti e le voltine cassettonate delle nicchie, le colonne tortili e le volute nello pseudo-timpano 80. Le consuete nicchie per statue sono sostituite da altrettante tele, che raffigurano nel fastigio l’Eterno Padre, in alto, Il battesimo di Gesù e L’incontro con la Samaritana, in basso S. Giuseppe con Gesù dormiente e S. Andrea apostolo. L’ignoto pittore trae spunto da un ampio repertorio di stampe del XVI-XVII secolo dei fratelli Wierix, dei Carracci ed altri artisti. Pur non avendo reperito la necessaria conferma documentaria, palesano modi propri di Recupo -sia nella foggia architettonica che nel repertorio ornamentale (cassettonato, drappi e arpie compresi)- il retablo di S. Giovanni Battista di Villamar (CA) e il retablo dell’Immacolata del duomo di Oristano: ad unico ordine, si aprono al centro ad accogliere due belle statue napoletane, rispettivamente firmate da Ursino Mori il Battista e da Domenico di Venuta l’Immacolata (1734) 81.
Proseguì l’attività paterna il figlio Antonino Giovanni Recupo (1682-1730†), nato a Cagliari nel 1682 dalle nozze con Agata Stilla, al battesimo gli fece da padrino l’intagliatore maiorchino Joan Galceran Sequer. Giovanni, nome con cui è per lo più conosciuto, si formò nella bottega paterna dove lavorava almeno dal 1699 82. Superò l’esame da fuster il 6 giugno 1706, realizzando come tradizione un disegno su rejola negra.
Dopo la morte di Tommaso (1716), ne eredità la conduzione della bottega. Nel 1717 predispose tabernacolo, nicchie ed altri arredi per la parrocchiale di Senorbì (CA), dorati l’anno dopo da Michele Lonis 83. Assieme a Sisinnio Lay, Giovanni Recupo realizzò nel 1718 il retablo di Sant’Elena nella basilica di Quartu Sant’Elena, poi rimaneggiato e oggi dedicato al Sacro Cuore 84. Nel 1724 lo stesso indoratore Lay rifiniva un retablo della parrocchiale di Muravera (CA), che come un altare gemello presenta unico ordine, fiancheggiato da colonne tortili binate ai lati di una nicchia centrale, che accoglie statue di santi; i fianchi sono profilati da panciute figure di arpie. Entrambi gli altari vanno assegnati alla bottega Recupo 85.
Negli anni 1722-1724, Giovanni Recupo intagliava il retablo del Rosario per la parrocchiale di Mogoro (OR) (Fig. 10), poi dorato da Antonio Colli, sassarese di origine napoletana (1735) 86. A doppio ordine, presenta un’ampia nicchia cassettonata ornata dai consueti drappi pendenti retti da angeli in volo, tra coppie di colonne tortili decorate da pampini; è concluso ai lati da opulente figure di arpie tra volute. La statua della Vergine è protetta da un baldacchino ligneo aggettante, a forma di padiglione, elemento che ritroviamo nel retablo del SS. Sacramento della cattedrale di Tempio (1714), nel retablo di S. Antonio ad Aritzo. Oltre al baldacchino ritroviamo anche i tipici drappi pendenti dei Recupo nel retablo della Madonna di Bonaria a Sestu e nel retablo della Madonna del Rimedio nella chiesa di S. Lucifero a Cagliari, dalle originali colonne figurate con giganteschi angeli-telamoni 87.
Simili ai retabli prodotti dai Recupo sono i due altari gemelli nella chiesa di S. Antonio abate a Tuili, dedicati a S. Antonio da Padova e S. Antonio abate. Riccamente ornati da colonne tortili binate su alti plinti, concluse da capitelli compositi e da architrave dentellato, i profili sono animati da volute ed encarpi dorati 88. Una versione popolaresca di questi retabli, espressa in termini più decorativi che plastici, è rappresentata da alcuni altari lignei della parrocchiale di Gesturi (OR), che ricordano anche le variopinte decorazioni dei carretti siciliani 89.
Fa parte della stessa famiglia di intagliatori Enardo Recupo, residente a Cagliari nel quartiere di Lapola, che il 5 novembre 1707 riceve 540 lire per i lavori effettuati con il socio Pietro Puddu in una casa in carrer de San Juan a Villanova, già appartenuta a mastro Sadorro Lochi e a sua moglie Antonia Pigueddu, lasciata ai Trinitari con atto del 22 giugno 1703 90. Dichiarato fuster l’11 gennaio 1711, Nardo Recupo poté allargare i suoi orizzonti lavorativi, realizzando il retablo di Nostra Signora de la Soledad per l’Arciconfraternita della Solitudine di Cagliari.
L’11 giugno 1724 diventava fuster anche un altro Recupo, Giuseppe, dopo aver brillantemente sostenuto l’esame da maestro davanti agli incaricati della maestranza, «que ha fet demunt la rajola negra… fet a perfessio». Al momento non sono state reperite notizie sulla sua attività lavorativa, possiamo tuttavia presumere che collaborasse con la bottega di famiglia fino alla sua scomparsa di Giovanni, nel 1730.
La presenza di questi qualificati artigiani siciliani all’interno della maestranza cagliaritana fu indubbiamente di stimolo per l’ambiente locale ed esercitò un’evidente impronta sulla produzione d’intaglio isolana. Curiosamente, si segnalano per esempio erme femminili terminanti in un motivo a panno annodato con fiocco in una cassa lignea della collezione della Pinacoteca Nazionale di Cagliari, atipica rispetto alle caratteristiche tecnico-costruttive e ornamentali della produzione sarda 91. Insieme agli importanti modelli offerti dagli altari barocchi in marmo, realizzati in quegli anni a Cagliari, l’apporto siciliano contribuì a conferire alla struttura architettonica degli arredi lignei locali un accentuato senso plastico e decorativo.
In Marmilla e nell’Oristanese, per esempio, si riscontra la presenza di alcuni motivi della bottega dei Recupo in un gruppo di altari. Tra questi il retablo del Rosario di Barumini 92, con le tradizionali arpie sui fianchi, e quelli delle chiese di S. Paolo e di S. Vittoria a Milis (OR) 93, tutti scanditi da colonne tortili lisce o ornate, i primi a doppio corpo e tre nicchie, l’ultimo a edicola architettonica con unica nicchia. Ancora, simile tipologia presentano il retablo di Nostra Signora del Pilar a Villamassargia 94, il retablo del Sacro Cuore di Villaurbana e l’altare di S. Raimondo Nonnato nella chiesa di S. Pietro a Sanluri 95. Nello stesso centro, potrebbe essere opera della bottega Recupo anche la variopinta edicola della Madonna d’Itria nella chiesa di S. Lorenzo 96. Uno dei pochi rimandi nella produzione del Settentrione dell’Isola è la presenza di stilizzati drappi con cordone e nappa terminale nel retablo di san Francesco nella chiesa conventuale di S. Maria delle Grazie a Castelsardo 97.
Al termine della guerra di successione spagnola, dopo un breve interregno austriaco, la Sardegna fu ceduta ai Savoia in cambio della Sicilia (1718). Questo mutamento politico provocò nel tempo un progressivo distacco dai modelli culturali iberici, anche se non ebbe ripercussioni repentine sulla foggia e decorazione degli altari lignei, che rispondevano al gusto della clientela e alla persistenza dei modelli tradizionali. Fino all’inoltrato Settecento, nella Sardegna settentrionale si verificò una splendida fioritura di altari in legno intagliato e dorato, grazie all’opera dei numerosi fusters, qui attivi. Ad Alghero troviamo Michele, Agostino e Martino Masala (1690-1699), mentre a Sassari figurano vere e proprie dinastie familiari, che tramandavano l’arte di padre in figlio, come i Sanna e gli Usai. Anche nel Meridione isolano furono attive diverse famiglie di artigiani del legno: rinomati i Lonis di Senorbì, da cui emerse Giuseppe Antonio Lonis (1720-1805), maggiore scultore del Settecento isolano 98, i Diana di Samassi, i Denegri e i Dejoannis di Cagliari, che perpetuarono l’arte dell’intaglio fino all’Ottocento 99.
L’annessione al Piemonte non modificò privilegi e antiche consuetudini dell’epoca aragonese e spagnola in Sardegna, compresi i regolamenti delle corporazioni di arti e mestieri, che restarono in vigore fino all’abrogazione con regio decreto nel 1864. Si modificò però l’atteggiamento ufficiale del governo sabaudo nei confronti degli altari lignei, considerati retaggio ispanico e non più apprezzati come gusto. Questo severo giudizio critico, connesso a una nuova fase politica e ai mutamenti stilistici, segnava il progressivo declino delle botteghe dell’intaglio.
Gli altari lignei vennero via via sostituiti da costosi arredi in marmi pregiati di gusto barocchetto, opera di marmorari liguri e lombardi attivi nell’Isola. La crisi di questo artigianato artistico, che nella Penisola iberica fu decretata dall’alto con l’imposizione di un ufficiale accademismo, in Sardegna fu un fenomeno lento e graduale. Come dal 1760 l’italiano diventò lingua di stato, soppiantando con difficoltà catalano e castigliano, così la sintassi artistica propose rinnovati modelli di riferimento. Gli ingegneri sabaudi importarono infatti un gusto stilisticamente aggiornato, che improntò non solo i progetti architettonici e i monumenti marmorei, ma anche gli apparati effimeri e gli arredi ecclesiastici.
Tuttavia, a fronte di una notevole dispersione di questo interessante patrimonio culturale verificatosi nel corso dei secoli, ancora oggi in Sardegna permangono circa seicento altari in legno intagliato, dipinto e dorato di età barocca, a testimonianza di un’antica e rigogliosa tradizione artigiana.
LEGENDA
ACapC =Archivio Capitolare di Cagliari
ASCC = Archivio Storico Comunale di Cagliari
ASDC =Archivio Storico Diocesano Cagliari
ASC = Archivio di Stato di Cagliari
AST = Archivio di Stato di Torino
BUC = Biblioteca Universitaria Cagliari
C.P.= Causa Pia
Q.L. = Quinque Libri
- M.G. Scano, Storia dell’arte in Sardegna. Pittura e scultura del Seicento e Settecento, Nuoro 1991, pp. 75-76; A. Pasolini, Architettura in argento: il tabernacolo del duomo di Cagliari, in Percorsi di conoscenza e tutela. Studi in onore di Michele d’Elia, a cura di F. Abbate, Napoli 2008, pp. 261-271; A. Pasolini, Oreficeria siciliana in Sardegna e la Hermandad de los Cicilianos, “OADI”, 14, 2016.[↩]
- M.G. Scano Naitza, L’apporto campano nella statuaria lignea della Sardegna spagnola, in La scultura meridionale in età moderna nei suoi rapporti con la circolazione mediterranea, a cura di L. Gaeta, Galatina 2007, II, pp. 123-171; M. Salis-M.G. Scano Naitza, Approdi sardi per la scultura campana del Settecento. Pietro Nittolo e Lorenzo Cerasuolo, “Kronos”, 14, 2011, pp. 225-234; M. Salis, Migrazione di statue in legno campane in Sardegna tra Sei e Settecento e proposte di attribuzione, in Sculture e intagli lignei tra Italia meridionale e Spagna, dal Quattro al Settecento, a cura di P.L. Leone de Castris, Napoli 2015, pp. 203-210; P.L. Leone de Castris, Il legno degli angeli. Aniello Stellato e la scultura lignea nella Napoli di primo Seicento, Napoli 2022.[↩]
- Sulla scultura siciliana: P. Russo, Officina siciliana. Momenti e aspetti della circolazione artistica in Sicilia in età moderna, Messina 2018; Manufacere et scolpire in lignamine. Scultura e intaglio in legno in Sicilia tra Rinascimento e Barocco, a cura di T. Pugnatti-S. Rizzo-P. Russo, San Gregorio di Catania 2021.[↩]
- L. Siddi, La diffusione dell’iconografia della Madonna di Trapani in Cagliari. Omaggio ad una città, Oristano 1990, pp. 55-69; L. Siddi, Le copie della Madonna di Trapani in Sardegna, in El mond urbà a la Corona d’Aragò del 1137 als decrets de nova planta, “XVII Congres d’Historia de la Corona d’Aragò (7-12 dicembre 2000)”, Barcellona 2003, pp. 421-431; C. Masala, Il culto di Nostra Signora d’Itria in Sardegna. La storia, le tradizioni, le località, Cagliari 2008; M. Salis, The Virgin Hodegetria Iconography in the Crown of Aragon in the early modern period. Canons, allotropies and variants, “IKON”, 10, pp. 187-200; F. Tola, Rosalia di Palermo. Arte e devozione in Sardegna, “OADI”, 16, 2017.[↩]
- Per confronti: S. Anselmo, Giovan Pietro Ragona e la statua del Santissimo Salvatore di Petralia Sottana. Note sulla sua produzione, in, Itinerari d’arte in Sicilia, a cura di G. Barbera–M.C. Di Natale, Napoli 2009, pp. 111-121.[↩]
- L. Siddi, L’iconografia della Vergine dormiente nell’arte sarda, “Biblioteca Francescana Sarda”, X (2002), p. 273, figg. 19-20. Per confronti: S. Anselmo, Lo «scolpire in tenero e piccolo» nella Chiesa Madre di Petralia Sottana, in Interventi sulla «questione meridionale», a cura di F. Abbate, Roma 2005, pp. 129-134.[↩]
- D. Mureddu-D. Salvi-G. Stefani, Sancti innumerabiles. Scavi nella Cagliari del Seicento: testimonianze e verifiche, Oristano 1988; A. Piseddu, L’arcivescovo Francisco Desquivel e la ricerca delle reliquie dei martiri cagliaritani nel secolo XVII, Cagliari 1997; M. Dadea, Gli scavi seicenteschi alla ricerca dei cuerpos santos, in Chiese e arte sacra in Sardegna. Arcidiocesi di Cagliari, Sestu 2000, pp. 75-78.[↩]
- S. Esquirro, Santuario de Caller, y verdadera historia de la invencion del cuerpos santos hallados en dicha ciudad y su Arçobispado, Caller MDCXXIV, p. 532.[↩]
- ACapC, Vol. 200, Spoglio Mons. Desquivel 1625/1680, ff. 18-20; F. Pulvirenti Segni-A. Sari, Storia dell’arte in Sardegna. Architettura tardogotica e d’influsso rinascimentale, Nuoro 1994, pp. 213-223; M. Corda, Marmorari nel Regno di Sardegna (secc. XVII-XVIII), in Sardegna e Mediterraneo tra Medioevo ed età moderna, a cura di M.G. Meloni-O. Schena, Cagliari 2009, pp. 85-120; 1618-2018. Quattrocento anni del Santuario dei Martiri nella Cattedrale di Cagliari, a cura di N. Usai-C. Nonne, Ghilarza 2019.[↩]
- ASCA, Tappa di Insinuazione di Cagliari, Atti Sciolti, Vol. 126; F. Virdis, Artisti e artigiani in Sardegna in età spagnola, Villasor 2006, p. 66. Per approfondimenti: L. Sarullo, Dizionario degli artisti siciliani. 3. Scultura, a cura di B. Patera, Palermo 1994.[↩]
- Sulla straordinaria stagione barocca dei marmi siciliani: S. Piazza, I marmi mischi delle chiese di Palermo, Palermo 1992; G. Montana–V. Gagliardo Briuccia, I marmi e i diaspri del Barocco siciliano, Palermo 1998; H. Hills, Marmi mischi siciliani, invenzione e identità, Messina 1999; S. Piazza, I colori del Barocco, Palermo 2007.[↩]
- R. Di Tucci, Documenti e notizie per la storia delle arti e delle industrie artistiche in Sardegna dal 1570 al 1620, “Archivio Storico Sardo” XXIV (1954), pp. 157-171; M.G. Scano, Pittura e scultura …1991, pp. 28-29; M.G. Scano Naitza, Marmorari/pittori: quale rapporto? “Artisti dei Laghi” 1, 2011.[↩]
- E. Magnano di San Lio, Opere scultoree di Camillo Camiliani in Sicilia fra la fine del Cinquecento e i primi anni del Seicento, “L’Officina di Efesto” 2019, p. 179, fig. 9.[↩]
- Estofado de oro: la statuaria lignea nella Sardegna spagnola, catalogo della mostra, a cura di M.G. Scano-L. Siddi, Cagliari 2001; M. Salis, Scultura lignea della Diocesi di Cagliari dagli Inventari delle Visite pastorali, “Annali della Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Cagliari”, XXVI (2008-2009), 2009, pp. 143-159; A. Pasolini-M. Porcu Gaias, Altari barocchi. L’intaglio ligneo in Sardegna dal tardo Rinascimento al Barocco, Perugia 2019.[↩]
- AST, Sardegna, Gremi, Regolamenti e Statuti, mazzo unico. Cfr. G. Doneddu, Il sistema delle corporazioni nella Sardegna del Settecento, in Corporazioni, gremi e artigianato tra Sardegna, Spagna e Italia nel Medioevo e nell’età moderna (XIV-XIX secolo), a cura di A. Mattone, Cagliari 2000, pp.531-548.[↩]
- G. Cossu Pinna, I Gremi in Sardegna, in Arte e cultura…1984, pp.343-354; G. Olla Repetto, Lavoro e associazionismo in Sardegna tra XV e XVI secolo. La formazione della Confraternita dei Falegnami in Corporazioni, gremi e artigianato…2000, pp. 218-240.[↩]
- BUC, Manoscritti Orrù, 109/3. Il fondo, ancora inedito, raccoglie documentazione diversa, spesso frammentaria e in disordine cronologico, che va dalla metà del XVII secolo alla metà del XVIII.[↩]
- Tra i sardi Nicolau Arrundili fuster (1662); Agusti Artea fuster (1655); Ephis Barray fuster (1686); Juan Bonfant (1668-1690); Lucifero Cadeddo (1689); Antonio (1670) e Pere Cannas fuster (1680); Gerolamo (†1648) e Batista Cao (1685-1690); Sebastiano Cappai (1670); Pere Carboni fuster (1680); Juan Antoni (1659) e Battista Cardia torner (1698); Pere Cardia fuster (1698); Juan Caria fuster (1676-1686); Salvator Carta de Aritzo (1685-1686); Antoni Carta menor (1681-1686) torner e fuster; Francesco Cogoti fuster (1683); Joseph Antoni Comina fuster (1696); Francisco Corona fuster (1685-1686); Antioco (1687-1690), Antonio e Joseph Cruccas (1685-1686); Joseph Cucuru fuster (1698), Juan Antoni Delogu fuster (1685-1686); Joseph Dore fuster (1685-1686); Sebastian Maria Farchi fuster (1685-1686), Efis Floris fuster; Sebestia Guissu fuster di Oliena (1629); Joseph Idili fuster (1681); Francisco Lay entallador (1694); Batista Lochi fuster (1685-1686); Pere Loy fuster (1665); Juan Machin fuster (1694); Pere Machis (1690); Nicolai Machoni fuster (1698); Agusti fuster (1696), Bachis fuster (1685-1686) e Juan Domingo Manca caxer, carpintero e fuster (1677-1698); Antonio e Arquilao Marchi (1695); Joseph Marceddo (1685-1690); Antoni Martis fuster (1696-1697), Antioco Masala maggiorale in capo (1682); Michele (1651), Sisinni (1665-1666) e Lucifero Matta fuster (1683); Antoni Meli (1685-1690); Antioco Meli Palmas fuster (1696), Juan Maria Melis (1666-1697); Miquel Pichi Mellas fuster (1679); Juan Antoni Mura maggiorale in capo (1666); Salvador Murroni fuster (1690); Cosme Murru caxer e entallador (1693-1695); Agusti (1695) e Lucifero Musuri fuster (1668-1698); Salvador Olla (1685-1690); Diego Pala (1685-1690); Francesco (1686) e Ventura Peis fuster (1677-1690); Matheu Perra (1685-1690); Miquel Pichi (1679); Pere (1665-1700†) e Ignasi Piga fuster (1696); Sebastia Pira (1685-1686); Antioco Pisanu (1685-1690); Lucifero Planas (1669-1698); Antoni (1686) ed Efis Putzo fuster e caxer (1687-1691); Juan (1682) e Juan Mauro Serra fuster (1696), Lucifero Vargiu (1686); Joseph Vidili (1691); Antonio Zedda fuster (1715).[↩]
- Sono catalani o maiorchini Pedro Fenuguet entallador, Joan Gabanellas (1665-1691†), Joan Galceran Sequer (1672-1715); Cristofol Guillem; Agusti Levanti; francese Tomaso Llaurens caxer (28 novembre 1705); napoletani Bartolomeo Bertaca (1630-1634); Carlo de Grasia, Giulio Grignano (1627-1629), Bernardo Infante dorador (1678-1713); Antonio (1677), Gaetano (1681-1697) caxers e Lixandro Liberto o Diliberto; lombardi Giovanni Battista e il figlio Bartolomeo Baxano caxers (1677); liguri Matteo Banquer caxer (1600-1616); Thomas Burgies o Borses caxer, del lloch Ropes (1681-1682); Antonio (1676-1729†), Domenico (1702-1753) e Giovanni Battista Denegri (1680-1730†) caxer (1702); Jacomo Maranjano fuster e entallador (1683); Vincenzo Rosso (1613-1629) caxer; Gerolamo e Giovanni Battista Orengo (1678-1687); romani Filippo (1716-1718) e Jacomo Valentini entallador (1714).[↩]
- M. Porcu Gaias, Scultori, intagliatori ed ebanisti nel capo di Sassari e Logudoro, in Estofado de oro…2001, p. 285.[↩]
- Nel 1655 svolsero l’importante ruolo Alfonso Del Vecchio, Sadorro Farchi, Jordi Melis, nel settimo decennio del ‘600 furono examinadors Luxori Sanna, Alberto Marchi, Sisinni Spano.[↩]
- Sull’importazione di statuaria lignea da Napoli: M.G. Scano Naitza, L’apporto campano ...2005, pp. 123-171.[↩]
- Sul tema: V. Abbate, Le vie del corallo: maestranze, committenti e cultura artistica in Sicilia tra il Seicento e il Settecento, catalogo della mostra, Trapani 1986, pp. 51-52; M. Tangheroni, Commercio e navigazione nel Mediterraneo, Roma 1997.[↩]
- M. Corda, Arti e mestieri nella Sardegna spagnola: documenti d’archivio, Cagliari 1987, pp. 31, 54-55, 58; M.G: Scano, Pittura e scultura…1991, p.74; M.G. Messina–A. Pasolini, Scultori, intagliatori ed ebanisti nel Meridione sardo, in Estofado de Oro…2001, p. 260; F. Virdis, Artisti e artigiani in Sardegna in età spagnola, Serramanna 2006, pp. 206-207, 477-478; C. Masala, L’arciconfraternita della SS. Vergine d’Itria in Cagliari. Profilo storico 1607-1700, Monastir 2013, pp. 64-65.[↩]
- M. Corda, Arti e mestieri… 1987, p.153; M.G. Scano, Pittura e scultura… 1991, p. 187.[↩]
- F. Virdis, Artisti napoletani…2002, p. 238.[↩]
- M. Corda, Arti e mestieri… 1987, pp. 32, 109-110; M.G. Messina-A. Pasolini, Scultori, intagliatori …2001, p. 261.[↩]
- M. Corda, Arti e mestieri… 1987, p. 56, nota 47.[↩]
- M. Corda, Arti e mestieri… 1987, pp. 55-56, nota 47; M.G. Messina-A. Pasolini, Scultori, intagliatori …2001, p. 257; C. Masala, L’Arciconfraternita… 2013, pp. 103-105.[↩]
- M. Corda, Arti e mestieri… 1987, p. 56, nota 47; C. Masala, L’Arciconfraternita… 2013, pp. 64-65.[↩]
- M. Corda, Arti e mestieri… 1987, pp. 49, 183; M.G. Scano, Pittura e scultura… 1991, p. 75; M.G. Messina-A. Pasolini, Scultori, intagliatori …2001, p.278; F. Virdis, Artisti napoletani in Sardegna nella prima metà del Seicento, Dolianova 2002, pp. 176-179, 236-237; Idem, Artisti e artigiani… 2006, pp. 85-87, 383-384, 389-394.[↩]
- A. Pasolini, Oreficeria siciliana…, 2016.[↩]
- M. Pinna, Indice dei documenti cagliaritani del Regio Archivio di Stato dal 1323 al 1720, Cagliari 1903, doc. 958.[↩]
- F. Susinno, Le vite de’ pittori messinesi, a cura di V. Martinelli, Firenze 1960, pp. 228-229; M.G. Scano Naitza, Marmorari/pittori: quale rapporto?, “Artisti dei Laghi”, 1, 2001; F. Virdis, Artisti e artigiani… 2006, pp. 107-108, 221, 412-416.[↩]
- M.G. Scano, Pittura e scultura… 1991, pp. 197-198; M.G. Scano Naitza, La pittura del Seicento, in La società sarda in età spagnola, a cura di F. Manconi, II, Quart 1993, pp. 146-148; F. Virdis, Artisti e artigiani… 2006, pp. 110-113; 275-277, 417.[↩]
- A. Pasolini, Il mercante ligure Giovan Francesco Savona, la cappella di Sant’Antonio di Padova ad Iglesias ed il retablo della Vergine del Parto, “Biblioteca Francescana Sarda” XIV (2011), doc. 35. Nel 1676 Beninato entrò in società con l’intagliatore Giuseppe Stilla (F. Virdis, Artisti e artigiani… 2006, p. 142, doc. 97).[↩]
- M.G. Messina–A. Pasolini, Scultori, intagliatori …2001, pp. 261-262; F. Virdis, Artisti e artigiani… 2006, pp. 147-154; M. Schirru, Il maestro Onofrio de Amato, scultore, plasticatore e architetto siciliano nella Sardegna del Seicento, “Lexikon. Storie e architettura in Sicilia e nel Mediterraneo”, 10/11, 2010, pp. 111-116.[↩]
- Il 13 gennaio 1683 s’impegna a realizzare il Retablo di S. Antioco nel Collegio gesuitico a Cagliari (ASC, Tappa di Insinuazione di Cagliari, Atti Sciolti, 461). Sul retablo iglesiente: L. Siddi, L’altare di S. Antioco nel duomo di Iglesias, “Giornale della Soprintendenza ai Beni Ambientali, Architettonici, Artistici, Storici di Cagliari e Oristano”, numero unico (1991), pp. 6-7.[↩]
- F. Virdis, Artisti e artigiani… 2006, p. 222.[↩]
- Come prova d’esame, De la Rosa realizzò «un quadro ab sas rosetas y bola tot tornejat, un parell de candeleros y una columna».[↩]
- Il 25 febbraio 1676, Domenico de Milacho prestò 15 scudi a Onofrio de Amato (ASC, Tappa di Insinuazione di Cagliari, Atti Legati, Vol. 1288, f.118). Non sappiamo se fosse imparentato con il mercante Antonio Milacho, che il 16 marzo 1672 fu nominato dall’amministrazione civica di Cagliari console della Nazione Sarda in Napoli (ASCC, Sezione Antica 397, II).[↩]
- Testimone in un atto notarile del 1711 (ASC, Tappa di Insinuazione di Cagliari, Atti Legati, Vol. 1808, f. 33), era forse parente del siciliano Pere de Xaca (Pietro Sciacca), che il 1 dicembre 1680 chiese alla maestranza di poter esercitare il mestiere di picapedrer sulla piazza. In base ai capitoli dell’arte, la risposta fu che «no se li pot negar sent empero esaminartze» Dichiarò di trovarsi da tempo in Sardegna dove lavorava come tallador de pedra; per due anni fece pratica di scalpellino presso i mestres Pau Manca e Sisinni Perra (BUC, Manoscritti Orrù 105/22, f.1).[↩]
- F. Virdis, Artisti e artigiani… 2006, doc. 125, p. 470.[↩]
- Non sappiamo con quale accusa, Giuseppe Gandorfo nel 1704 fu arrestato dall’Inquisizione episcopale e detenuto nelle carceri reali, l’anno dopo trasferito nella chiesa di S. Saturno per vivere lì con l’eremitano (F. Virdis, Artisti e artigiani… 2006, p. 214).[↩]
- Ibidem.[↩]
- F. Virdis, Artisti e artigiani… 2006, doc. 124, pp. 469-470.[↩]
- F. Virdis, Artisti e artigiani… 2006, p. 142, doc. 97. Erano intagliatori anche i figli di Giuseppe Stilla, Carlo e Domenico, che lavoravano nella bottega paterna già dal 1681.[↩]
- AAC, Marina QL12, ff. 213v, 417; QL13, ff. 30v, 79v. L. Mocci, Arredi lignei nella Sardegna meridionale tra Sei e Settecento. L’opera dei Recupo e di Sisinnio Lai, Università degli Studi di Cagliari, a.a. 1991-1992, rel. Prof. R. Serra, pp. 5-8; P. Bagnaro, Il retablo della chiesa di Santa Chiara in Cagliari, “Biblioteca Francescana Sarda” X (2000), pp. 67-81; M.G. Messina–A. Pasolini, Scultori, intagliatori 2001, p. 277; A. Pasolini–M. Porcu Gaias, Altari barocchi… 2019, pp. 126-127.[↩]
- G. Spano, Guida della città e dintorni di Cagliari, Cagliari 1861, p. 374; M. Picciau, San Bartolomeo e me, in “Giornale Soprintendenza ai Beni Ambientali, Architettonici, Artistici e Storici”, numero unico, dicembre 1991, p. 14.[↩]
- Sul simulacro sardo: G. Spano, Guida…1861, p. 374; L. Siddi, La diffusione …1990, pp. 55-69, fig.9; sul prototipo siciliano: M.G. Burresi, Andrea, Nino e Tommaso scultori pisani, Milano 1983, scheda 26; V. Scuderi, La Madonna di Trapani e il suo santuario, Trapani 2011.[↩]
- A. Pasolini–M. Porcu Gaias, Altari barocchi… 2019, p. 115.[↩]
- M.G. Scano, Pittura e scultura… 1991, pp. 204-205; A. Pasolini–M. Porcu Gaias, 2019, scheda 128, p. 154. Sulla devozione: C. Masala, Il culto di Nostra Signora d’Itria…2008; sull’iconografia: M.F. Porcella, Iconografia e culto di Nostra Signora d’Itria nella Sardegna spagnola, «ArcheoArte», 2012, supplemento al n.1, pp. 687-701; M. Salis, Migrazione e variazione di iconografie mariane nel Mediterraneo occidentale tra Italia meridionale, Baleari e Valencia, in Ecos culturales, artísticos y arquitectónicos entre Valencia y el Mediterráneo en Epoca Moderna, M. Gómez-Ferrer Lozano – Y. Gil Saura eds.,«Cuadernos Ars Longa» 8, 2018, pp.229-245.[↩]
- ASC, Tappa di Insinuazione di Cagliari, Atti Sciolti, Vol. 461; F. Virdis, Artisti e artigiani… 2006, p.454.[↩]
- BUC, Manoscritti Orrù, Vol. 109/1-5.[↩]
- A. Pasolini–M. Porcu Gaias, Altari barocchi…2019, Scheda 132, p. 158.[↩]
- ASC, Tappa di Insinuazione di Cagliari, Atti Sciolti, Vol. 468; F. Virdis, Artisti e artigiani… 2006, p. 158, doc. 114, p. 455.[↩]
- ASDC, Furtei CP2, c.21.[↩]
- L. Mocci, Testimonianze artistiche nella Sanluri medievale e moderna. Architettura sacra dal XIII al XVII secolo, Oristano 2002;A. Pasolini–M. Porcu Gaias, Altari barocchi…2019, Scheda 135, p. 160.[↩]
- Il lavoro fu saldato il 14 luglio 1712: ASC, Tappa di Insinuazione di Cagliari, Atti Sciolti, Vol. 541; S. Cuccu-F. Virdis, Documenti… cit., 2018, pp. 467-468.[↩]
- Sulla statua: A. Pasolini, Oreficeria siciliana … 2016, figg. 9-10.[↩]
- ASDC, Villasor CP3, ff. 63; 75v.[↩]
- Il 22 dicembre 1700, Vito de Liso stipulò un accordo con Joan Galceran Seguer, per dorare l’altare di S. Giuseppe Calasanzio a Cagliari e concludere altri lavori, tra cui il retablo di Monte Mayor e quello per Laconi, spartendosi i guadagni, detratti i materiali, esguix, or, garnassa (ASC, Tappa di Insinuazione di Cagliari, Atti Legati, Vol. 2132, ff. 341-342). Nel 1703 è maggiorale III della maestranza. Il 7 settembre 1703, si consorzia con Galceran Seguer e Sisinnio Lay per lavorare insieme fino al 22 giugno 1704 (ASC, Tappa di Insinuazione di Cagliari, Atti Legati, Vol. 2134, f. 123; F. Virdis, Artisti e artigiani… 2006, p. 428). Nel 1704 con S. Lay e T. Recupo, realizzò il retablo del Rosario per San Vero Milis e ricevette l’incarico di dorare i retabli di S. Lorenzo e del Rosario a Villanovafranca (ASC, Tappa di Insinuazione di Cagliari, Atti Legati, Vol. 362; A. Pasolini–M. Porcu Gaias, Altari barocchi… 2019, Schede 126-127, p. 153). Tra il 1704 e il 1706 dorò un retablo nella chiesa di S. Croce a Narbolia.[↩]
- Die 22 Juny 1700 Caller. Si a tots notori com mestre Thomas Recupro scurtor domiciliat en este ciutat de Caller y mestre Vitto Litzo de nassio napulitana resident en esta dita ciutat del notari y testimonis infrits molt be coneguts de llur grat y certa sciencia etc ab thenor del present publich y ver instrument tot temps y hont se vulla perpetuament valedors convenen y ab bona fee prometen y se obligan a Juan Ephis Salis de la vila de Lacuny en Caller personalment trobat a estes coses present etc prior de la Archiconfraternitat del SS. Rosari lo present ayn de d.a vila, assaber que dit Recupro a sos propris gastos y despeses farà a la capella de dita archiconfraternitat un retaulu bo, nou, y conforme lo designe que se ha dat , ab lo requisits que semblants retaulus demanen ab revista cas mester sia de personas peritas, en lo qual hi haurà cuatre colunas torneadas ab flors de reliebe y en un nicho en mig per pusar lo bulto de Nostra Senora, qual retaulo se posarà sobre lo altar de dita capella y ribarà fins la boveda de aquella y a los custats eo ladus hi haurà dos arpias y ademunt dos angels hu per part, depant amunt de tos de dit retaulu un camp per un cuadro del Espiritu Santo y al derredor depant axibe camp per pusar los cuadros per los quinze misteris y en lo baix de det retulu hi haura dos gradas y dos portettas per umplir la dos fachadas de los custats de dita capella. Juntament fara a sos gastos y despeses lo frontal del altar del altar de dita capella de taula entallat. Per mestre Vito Litzo assi mateix a sos propris gastos y despeses de dorar tot dit retaulu ab los camps jaspeats ab vert sobre platta y lo frontal, corrent y obligantse per son conte lo fer venir de Napols o Roma los quinze cuadrus ab los quinze misteris y lo cuadret del Espiritu Santo que se posaran en dit rettaulu de pintar bona y fina sobre tela. Y present com dit el dit Ephis Salis en lo seu dit nom de Prior de d.a Archiconfraternitat lo presen ayn fent estes coses ab intervencio y concentiment de lo Molt Reverent D.r y Canongie Don Antoni Quesada y Figo Visitador General en tot lo Arquibispat de Oristayn, ab especial decret segons assereix de Sa Senoria Ill.ma y R.ma de son grat y certa sciencia etc en lo referit nom promet y se obliga assaber es al dit Recupro per fer dit retaulu, ab las condissions, pactes y requisits amunt expressats li darà y pagarà de dines propri de dita Archiconfraternitat la cantitat de sixanta escuts valents cent sinquanta lliures de esta moneda de los quals ne li darà y pagara per principi de paga dins lo termini de quinze dias cuaranta escuts y lo restant a la conclussio de dita obra y al dit Litzo per fer dita doradura ab las condissions y requisits tambè amunt expressat y fer venir ditas pinturas li darà y pagara vuitanta escuts de esta manera curanta escuts per principi de paga dins quinze dias de vuy die present en avant contedors, y lo restant a la conclussio de dita obra de modo tal que no falte requisit digu, obligant se lis tambe sens perjuissi de ditas respective partidas a los gastos que intersciridran per conduhir dit retaulu y cuadrus de este ciutat a dita vila de Lacuny, com y tambe de darlis los cavalls necessaris per poder passara dita vila y essent alli de darlis lo sustento necessari fins se hatgia concluit dita obra (ASC, Tappa di Insinuazione di Cagliari, Atti Legati, Vol.1326, ff. 29-31; cfr. M.G. Scano Naitza, L’apporto campano…2005, p.170).[↩]
- Scultore e indoratore cagliaritano residente nel quartiere di Villanova, Sisinnio Lay nel 1689 restaura il tabernacolo di Albagiara. Nel 1696 è pagato per il retablo di Villaspeciosa, dipinto da Lucifero Medda. Nel 1698 rinnova la cona de la Virgen per la confraternita del Rosario di Nurri. Nel 1698 s’impegna a scolpire in legno due statue di angeli dipinti di cremisi e sgraffiti, sul modello di quelli in marmo del duomo di Cagliari (ASCA, Tappa di Insinuazione di Cagliari, Atti Legati, Vol. 1077, ff. 109-110). Nel 1699 dora l’altare maggiore di Sanluri, opera di Tommaso Recupo. Con Sadorro Lochi nel 1701 esegue le statue dei SS. Cosma e Damiano e della Vergine delle Grazie di Sanluri; qui dora un tabernacolo, intagliato da T. Recupo, e le nicchie per i due santi. Nel 1704 riceve 300 scudi per il retablo di Decimoputzu e per la guarnizione di un paliotto. Nel 1707 realizza sei pali per il baldacchino processionale a Siurgus. Nel 1710-1711 dora il retablo del Santo Cristo di Sanluri, opera di T. Recupo. Nel 1712-1714 lavora a Villagreca, Suelli e Serramanna realizzando torcieri dorati e altri interventi. Nel 1715 restaura la statua di S. Efisio e un tronetto a Siurgus. Nel 1718-1722 lavora a Sestu, Quartu e Selargius. Nel 1720 scolpisce tre statue e dora pulpito e un paliotto per Senorbì. Nel 1721 dora quattro retabli perduti a Quartucciu. Nel 1724 dora un retablo nella parrocchiale di Muravera, ancora in situ. Nel 1725-1726 lavora ancora a Sanluri. Nel 1732 dora un retablo per Mandas. Fra il 1735 e 1736 dora il tabernacolo di Ortacesus. Nel 1737 scolpisce le statue del Risorto e di Gesù Bambino per Suelli (S. Tomasi, Memorie del passato. Appunti di storia diocesana di mons. Severino Tomasi, “Nuovo Cammino” (Marzo 1954-Dicembre 1964), II, Villacidro 1997, p.485; I. Farci, Quartu S. Elena. Arte religiosa dal Medioevo al Novecento, Cagliari 1988, p. 94; L. Mocci, Arredi lignei…1991-1992, pp.5-8; P. Bagnaro, Il retablo… 2000, pp.67-81; M.G. Messina–A. Pasolini, Scultori, intagliatori ….2001, pp. 266-267; F. Virdis, Artisti e artigiani…2006, pp. 154-157).[↩]
- ASDC, Decimoputzu CP1, ff. 132v, 133v, 141.[↩]
- ASC, Tappa di Insinuazione di Cagliari, Atti Legati, Vol. 2171, f. 131; F. Virdis, Artisti e artigiani… 2006, doc. 115, pp. 455-457.[↩]
- Per confronti: S. Anselmo, Su Pietro Bencivenni, “magister civitatis politii”, e la scultura lignea nelle Madonie, Palermo 2009.[↩]
- Sulla diffusione del culto: Imatge, devotió i identitat a l’època moderna (segles XVI-XVIII), a cura di S. Canalda–C. Fontcuberta, Barcelona 2014; R. Martorelli, Il ‘viaggio’ dei santi al seguito dei nuovi dominatori nella Sardegna medievale, in ‘Santi che viaggiano’. Mobilità e circolazione di culti religiosi nel Mediterraneo tra Medioevo ed Età Moderna /‘Saints who travel’. Mobility and movement of religious cults in the Mediterranean between the Middle Ages and the Modern Age, a cura di M.G. Meloni, “RiMe”, 1/II n. s., dicembre 2017, pp.55-88.[↩]
- A. Pasolini–M. Porcu Gaias, Altari barocchi… 2019, Scheda 134, p. 159. Per approfondimenti: M. Dell’Omo-S. Borlandelli – M. Caldera (a cura di), Scultura lignea nella diocesi di Novara. I tempietti eucaristici, Torino 2020.[↩]
- ASC, Tappa di Insinuazione di Cagliari, Atti Legati, Vol. 2171, f. 59; F. Virdis–S. Cuccu, Documenti sull’architettura religiosa in Sardegna. Cagliari, II (1556-1733), Lanusei 2018, pp. 29-30.[↩]
- ASDC, Samatzai C.P.2, f. 54v.[↩]
- ASC, Tappa di Insinuazione di Cagliari, Atti Legati, Vol. 803, f. 186; F. Virdis, Artisti e artigiani… 2006, pp. 458-459.[↩]
- A. Pasolini–M. Porcu Gaias, Altari barocchi… 2019, Scheda 136, p.160.[↩]
- L. Mocci, Arredi lignei …1991-1992; A. Pasolini–M. Porcu Gaias, Altari barocchi…, 2019, Scheda 137, p. 161.[↩]
- Sul Santo Cristo di Oristano: R. Serra, Storia dell’Arte in Sardegna. Pittura e scultura dall’età romanica alla fine del ‘500, Nuoro 1990, p. 77; A. Sari, Il Cristo di Nicodemo e la diffusione del crocifisso gotico doloroso in Sardegna, “Biblioteca Francescana Sarda”, I, 2, 1987, pp.281-322; L. Siddi, L’iconografia del Cristo gotico doloroso nelle province di Cagliari e Oristano, in Crocifissi dolorosi, catalogo della mostra, a cura di G. Zanzu, Sassari, s.d. [1999], p. 17; A. Pala, Il crocifisso ligneo di Nicodemo a Oristano, un modello di iconografia francescana in Sardegna, “IKON”, III, 2010, pp.125-136.[↩]
- L. Mocci, Arredi lignei … 1991-92, p. 8; Estofado de oro, cit., pp. 276-277; A. Pasolini–M. Porcu Gaias, Altari barocchi… 2019, Scheda 148, p. 169.[↩]
- C. Masala, Il culto di Nostra Signora d’Itria…2008, p. 502.[↩]
- L. Siddi, L’altare di S. Antioco…1991, pp. 6-7; A. Casula, Gli altari e i tabernacoli lignei, in La società sarda in età spagnola…, II, 1993, pp. 178-201, p. 187; A. Pasolini–M. Porcu Gaias, Altari barocchi…2 019, Scheda 180, p. 192.[↩]
- ASDC, Mandas CP 2, c. 4; A. Pasolini–M. Porcu Gaias, Altari barocchi…2019, Schede 138-139, p. 162.[↩]
- A. Pasolini–M. Porcu Gaias, Altari barocchi…2019, Scheda 140, p.163.[↩]
- A. Pasolini–M. Porcu Gaias, Altari barocchi. ..2019, Schede 153, 155, pp. 172-173.[↩]
- S. Tomasi, Memorie del passato…I, p. 577; L. Mocci, Arredi lignei…1991-1992, p. 8; P. Bagnaro, Il retablo…2000, p. 71; M.G. Messina-A. Pasolini, Scultori, intagliatori …2001, pp. 276-277.[↩]
- L. Mocci, Arredi lignei …1991-1992, p. 16, nota 5; M.G. Scano, Pittura e scultura …1991, pp.274, 307, nota 322.[↩]
- Sulla basilica: I. Farci, La parrocchiale di Sant’Elena a Quartu. Arte e storia dal XII al XX secolo, Cagliari 2001.[↩]
- S. Murgia, Muravera e le sue chiese nei documenti d’archivio, Muravera 2005, pp. 62-64; A. Pasolini–M. Porcu Gaias, Altari barocchi…2019, Schede 144, 145, p.166.[↩]
- Nel 1727 Antonio Colli dora la cassa dell’organo del duomo di Castelsardo, nel 1728 intaglia il pulpito della medesima cattedrale. Nel 1733 realizza sei Crocifissi per S. Gavino a Portotorres; nel 1737 lavora nel Santuario di Valverde ad Alghero. Nel 1753 stipula un contratto per l’altare delle Isabelline a Sassari. Nel testamento (1756) chiede di essere sepolto in S. Maria di Betlem a Sassari; nell’inventario dei beni figurano statue in legno, cartapesta e gesso, candelieri e altri arredi (A. Pasolini–M. Porcu Gaias, Altari barocchi… 2019, pp. 129-130, nota 35; Schede 282-283, p.279).[↩]
- A. Pasolini–M. Porcu Gaias, Altari barocchi…2019, Scheda 303, p.291; Scheda 314, p.296; Scheda 181, p.193.[↩]
- A. Pasolini–M. Porcu Gaias, Altari barocchi…2019, Scheda 149, p. 169.[↩]
- A. Pasolini–M. Porcu Gaias, Altari barocchi…2019, Schede 156-158, pp. 174-175.[↩]
- ASC, Tappa di Insinuazione di Cagliari, Atti Legati, Vol. 1798, f. 539v.[↩]
- F. Accardo, Scheda IN 17, in Pinacoteca Nazionale di Cagliari. Catalogo, II, Cagliari 1990, p. 164.[↩]
- A. Pasolini–M. Porcu Gaias, Altari barocchi…2019, Scheda 160, p.177.[↩]
- G. Tola–G. Zanzu, San Paolo di Milis, Cagliari 1996; A. Pasolini–M. Porcu Gaias, Altari barocchi…2019, Schede 161-162, pp. 178-179.[↩]
- A. Pasolini–M. Porcu Gaias, Altari barocchi…2019, Scheda 163, p. 180.[↩]
- A. Pasolini–M. Porcu Gaias, Altari barocchi…2019, Scheda 165, p. 181.[↩]
- A. Pasolini–M. Porcu Gaias, Altari barocchi…2019, Scheda 166, p. 181.[↩]
- A. Pasolini–M. Porcu Gaias, Altari barocchi…2019, Scheda 396, p. 368.[↩]
- M.G. Scano Naitza, La cultura sardo-campana di Giuseppe Antonio Lonis alla luce di nuovi documenti, in Interventi sulla “questione meridionale”, a cura di F. Abbate, Roma 2005, pp. 305-316.[↩]
- A. Pasolini, Ebanisti liguri nella Sardegna del ‘700: la famiglia Denegri, “Kronos” 8 (2005), pp. 3-22; F. Virdis-T. Puddu, I Diana di Siliqua. Scultori e decoratori nella Sardegna del XVIII-XIX secolo, Serramanna 2012.[↩]