Marilisa Yolanda Spironello – Maria Cristina Caggiani – Maura Fugazzotto – Paolo Mazzoleni – Germana Barone

Indagini non invasive in situ su tre ostensori del Museo Diocesano di Caltagirone: una nuova prospettiva di ricerca

marilisa.spironello@phd.unict.it
mariacristina.caggiani@unict.it
maura.fugazzotto@unict.it
paolo.mazzoleni@unict.it
germana.barone@unict.it
DOI: 10.7431/RIV28142023

 

L’iter progettuale del Museo Diocesano di Caltagirone è iniziato più di un trentennio fa ed ha vissuto fasi alterne e ripensamenti vari, mantenendo, però, l’idea originaria di conservare, custodire e valorizzare le opere d’arte e le suppellettili liturgiche provenienti dalla cattedrale di San Giuliano e da altre chiese del territorio della diocesi 1, chiuse al culto o in cattivo stato di conservazione. Anche la scelta del sito è stata motivata dal desiderio di restituire alla collettività i luoghi in cui buona parte del Clero diocesano aveva vissuto durante la formazione al ministero sacerdotale insieme a coloro che poi avrebbero, invece, scelto la via del laicato: luoghi di preghiera, di studio e di convivialità sembrano, dunque, quasi rivivere attraverso il racconto dei manufatti esposti, intesi come arte in sé, ma anche come attestazione dell’evoluzione storica della vita diocesana.

Il Museo Diocesano viene istituito una prima volta il 4 luglio 2009 per volontà del Vescovo Vincenzo Manzella 2,  per poi essere definitivamente aperto al pubblico il 23 aprile 2013 alla presenza del Vescovo Calogero Peri e del direttore Don Fabio Raimondi, con un nuovo allestimento da quest’ultimo curato a cui ha collaborato anche la prof.ssa Maria Concetta Di Natale. Da allora esso si pone l’obiettivo di dare alla comunità cristiana la possibilità di manifestare la propria fede mediante l’esposizione di opere d’arte. Una fede attraversata dal gusto del tempo e dalla abilità di maestri ed artisti che, nel corso dei secoli, ci hanno consegnato testimonianze di bellezza uniche ed impareggiabili. Questi preziosi manufatti, oltre ad esprimere il valore intrinseco di autentici capolavori, ci restituiscono una testimonianza ininterrotta di fede che appartiene al passato, ma che continua anche nel presente. Inserito nell’antico Complesso Monumentale dei Frati Minori Conventuali, sede diocesana dal 1911 3 ed allestito in quello che un tempo era il seminario vescovile della diocesi, il Museo Diocesano di Caltagirone costituisce un insieme di notevole importanza architettonica, storica e culturale.

Varcata la soglia dell’imponente chiostro, dove è tangibile la vocazione del luogo a custodire bellezza e pace, si accede nell’atrio su cui si affacciano gli ingressi dei tre istituti culturali (Museo, Archivio e Biblioteca) i quali, grazie alla conformazione architettonica del sito evidenziano già il dialogo che – nel corso degli anni – si è tentato di mettere a frutto.

Ad aprire il percorso espositivo è uno scalone monumentale, il quale invita a intraprendere un cammino emotivo che si dispiega dinanzi al visitatore, partendo dagli ambienti immediatamente posti alla destra dello stesso, dove trovano spazio le prime quattro sale dedicate agli argenti. Il Museo offre due tipi di letture: la prima è connaturata alla sua dimensione di museo ecclesiastico, la quale non va intesa, però, come luogo di raccolta di oggetti desueti; essa è, piuttosto, da ritenersi come un’importante istituzione pastorale, poiché volto a custodire e valorizzare Beni Culturali un tempo posti al servizio della missione della Chiesa ed oggi altamente significativi da un punto di vista storico-artistico.

Parimenti, il progetto museale offre la possibilità di una lettura strettamente artistica delle opere che lo costituiscono: ogni singolo elemento racconta, infatti, una storia in cui la letizia di un ritrovamento e la rivelazione di un restauro si intrecciano, inevitabilmente, al gusto personale di chi può osservare, in una stessa teca, oggetti del XV e del XX secolo.

 L’allestimento è stato, dunque, concepito privilegiando il percorso liturgico-pastorale attraverso il criterio tipologico, anche se non sempre è stato possibile seguire quello cronologico, come nel caso della quarta sala dove trovano posto ostensori con diverse datazioni. Sugli oggetti qui esposti, sono state effettuate analisi spettroscopiche non invasive in situ, al fine di caratterizzare i materiali gemmologici che li decorano. I risultati sono riportati in modo sintetico in coda all’articolo in Tabella 1. Si tratta di tre splendidi ostensori in argento, finemente lavorati. In ordine, partendo da sinistra, è possibile osservare l’Ostensorio con Daniele nella fossa dei leoni (Fig. 1), realizzato in argento e lamina d’argento dorata, sbalzata e cesellata, con vetri, opera di maestranza messinese, nel 1787, così come confermato dalla bulla del consolato degli argentieri di Messina che reca, appunto, lo scudo crociato coronato e le lettere MS sulla base e le iniziali del Console PG87 (ignoto) 4 (Fig. 2) e proveniente dalla Basilica Cattedrale. La scelta di questo tema va rintracciata nel relativo episodio biblico veterotestamentario. I primi cristiani, infatti, lessero nella pazienza docile di Daniele – che accetta una morte ingiusta pur di restar fedele a Dio – un’immagine della passione di Gesù. La fossa dei leoni, un luogo di morte chiuso con una pietra e sigillato con l’anello regale, è, in effetti, l’immagine simbolica del Santo Sepolcro. Così come Gesù, anche Daniele esce illeso dalla prova mortale e ritorna a camminare tra i vivi allo spuntar del giorno, dopo aver affrontato e sconfitto la morte. Ed è proprio l’accostamento alla passione di Cristo che giustifica e spiega la scelta di tale soggetto iconografico. L’ostensorio è un tripudio di volute e decori rocaille che rincorrono elementi fitomorfi. Partendo, infatti, dalla base mistilinea gradinata, sorretta da sostegni a doppia voluta con elemento floreale centrale, si erge il piede sulla cui superficie sono incisi a sbalzo episodi relativi alla vita del Profeta e, aggiunte a fusione, piccole statuette – dove notevole è il dato realistico – che lo raffigurano a tutto tondo.

Dal piede del fusto si dipartono, inoltre, quattro volute a cartella, ulteriormente arricchite, al proprio interno, da grappoli d’uva su cui si sovrappone il grande nodo a profilo mistilineo che fa da base al piccolo gruppo scultoreo. In particolare, in questa porzione è rappresentato il momento in cui Daniele viene posto dentro la fossa con i due leoni collocati alla sua estremità. Dall’alto è possibile altresì scorgere, su un primo livello, il re persiano Dario che, dando ascolto ai nemici del profeta, lo aveva fatto gettare nella fossa nonché l’Angelo che, per volontà di Dio, fermerà in tempo le fauci delle belve. Ad un livello successivo si sviluppa un groviglio di nuvole da cui compaiono testine di puttini alati, mentre oltre ancora si innesta – con ancoraggio “a baionetta” – l’originale raggiera che propone la soluzione dei gruppi in raggi diseguali. Dal canto suo, la superficie della sfera è arricchita da un doppio fascio di decorazioni: il primo, con testine di puttino alate, intercalate da spighe di grano e grappoli d’uva (a ricordare il corpo e il sangue di Cristo), dove spiccano dei vetri rossi ancorati da un castone a fogliette; il secondo, più semplice, in cui sembra invece rincorrersi, per tutta la superficie anulare, un nastro ad intreccio semplice, all’ interno del quale è posto un fiore recante ad ornamento un vetro verde.

Le analisi non invasive effettuate in situ con Spettroscopia Raman 5 hanno interessato le gemme incastonate sulle ghiere situate intorno alla teca (Fig. 3), confermando la loro natura vetrosa, come riportato in didascalia. Ma ciò che di interessante è emerso è la presenza del cinabro, impiegato qui come pigmento rosso al di sotto degli elementi decorativi della ghiera più interna. Quest’ultimo è stato identificato dai segnali Raman a 254, 286 e 344 cm-1.

Sulla base di puntuali confronti stilistici è anche possibile accostare questo straordinario ostensorio a quelli altrettanto stupefacenti presenti all’interno della Diocesi di Patti. Tra questi, il modello del 1796 e quello del 1799; ma ancora più stringenti sono le analogie con l’esemplare del 1807 (Fig. 4) custodito presso la Chiesa di Santa Maria di Gesù presso il Comune di San Piero Patti, grazie all’analoga presenza non solo di statuette a tutto tondo inserite a fusione sul piede, ma anche del nodo sul quale si sviluppa la statuetta della Fede, alla stregua del modello calatino (con l’episodio della vicenda del profeta Daniele); ed anche la raggiera mostra lo stesso repertorio sulla doppia teoria di cornici che circondano la sacra sfera.

Al centro della sala si trova, invece, un Ostensorio architettonico 6 (Fig. 5) di argentiere siciliano della seconda metà del XVI secolo (1550 – 1599), proveniente della Chiesa della Santissima Maria del Monte (altrimenti nota come “Matrice”), realizzato in argento e lamina d’argento, dorata, sbalzata, cesellata, incisa e traforata, con smeraldi. Qui la base polilobata e gradinata, a traforo in negativo, presenta decorazioni fiordalisadas 7 (motivo ornamentale rintracciato per la prima volta da Maria Accascina) che ritornano anche su tutta la superficie del piede, nel nostro caso realizzato a sbalzo e cesello.

Sulla parte poggiante del fusto, che si presenta svasato, appaiono inoltre dei tondi istoriati, circondati da foglie di acanto nel registro inferiore e di cardo, invece, in quello superiore. Il fusto è definito da una serie di nodi con collarini in cui ritornano motivi floreali a foglie di acanto disposte verticalmente. Il nodo centrale, al contrario, si imposta su una base poligonale (esagonale), dove si sviluppano piccole edicolette circoscritte da esili colonne binate con, al loro interno, un arco a tutto sesto con i piedritti costituti da colonne tortili, sulle quali sono internamente ricavate delle piccole statuine togate, forse gli Evangelisti (?). Al di sopra degli archi troviamo, altresì, un piccolo baldacchino, alla cui estremità insiste una singola foglia di cardo. Il fusto si conclude, poi, con un nodo, stavolta risolto con foglie di acanto, in cui si innesta (“a baionetta”) la grande cornice che circonda la sacra sfera.

Nel registro inferiore è presente, invece, una zoccolatura architettonica resa a traforo, e definita da guglie, che ricalca – stavolta in positivo – il motivo fiordalisadas (Fig. 6) prima citato. Da qui prendono avvio due torri goticheggianti che richiamano idealmente coevi modelli presenti in molte fabbriche siciliane e che cingono lateralmente la grande sfera. Nell’ostensorio, le due piccole torri sono, a loro volta, tripartite per mezzo di guglie e pinnacoli posti sulla parte sommitale. La parte superiore, con motivo a “a baldacchino” 8 è caratterizzata, viceversa, da un ulteriore parapetto realizzato a traforo con il medesimo repertorio fiordalisadas – che ritorna anche sulla sacra sfera, mentre il raccordo posto in alto è delimitato da ulteriori tre torri giustapposte e di medesima dimensione, di cui quella centrale regge un globo con una croce d’oro adornata da gemme verdi.

Su questo esemplare, non attinente al modello precedente, non sono disponibili termini di paragone tipologici per ciò che riguarda il repertorio delle gemme e nemmeno informazioni di riferimento in didascalia. La spettroscopia Raman ha evidenziato la presenza di smeraldi, sia sulla croce apicale (Fig. 7), che sulla porzione superiore della teca (Fig. 8), con segnali rilevati a 685 e 1070 cm-1. Questo manufatto rientra a pieno titolo nella catalogazione dei Reliquari architettonici ispirati ai modelli tardogotici di tradizione iberica; dal XV secolo, in poi, assumerà invece progressiva importanza la porzione superiore delle opere (si allude qui alle edicole), parallelamente a quel che accadeva nei corrispondenti modelli iberici: basti pensare, per esempio, ad Enrique de Arte 9. E ciò analogamente a quanto si verifica con i manufatti calatini, ma anche con l’ostensorio di Nicosia (Fig. 9) in cui troviamo, in effetti, un impianto del tutto simile a quello presente a Palazzo Abatellis (secolo XVI) 10 dove appaiono, fra l’altro, figure di Angeli adoranti alla base e che culmina con la figura del Risorto.

I sostegni con figure di Angeli sono indubbiamente un connotato della cultura figurativa tardo-gotica 11, riscontrabile, ad esempio, anche nell’ostensorio architettonico della Chiesa di S. Maria Assunta a Randazzo, la cui costruzione in stile gotico-catalano, risale alla prima metà del XV secolo. Per gli ostensori architettonici realizzati tra il XV e il XVI secolo la caratteristica specifica sarà dunque la tipologia a “tempietto goticheggiante” con guglie e pinnacoli, di cui costituisce un originale esempio quello, più tardo (seconda metà del XVI secolo), rintracciato presso la Chiesa di Aci San Filippo, opera di abile argentiere siciliano 12.

 Chiude, infine, la sezione degli argenti il bellissimo Ostensorio con vendemmia e mietitura (Fig. 10) – opera dagli argentieri messinesi Domenico Giannieri e Domenico Juvara, così come confermano rispettivamente i punzoni, D.G  e D.I 13 (Fig. 11) -, realizzato in argento e lamina d’argento dorata, sbalzata e cesellata con parti a fusione, rame dorato, smalti policromi, perle, e presunti smeraldi, rubini e diamanti, risalente alla prima metà del XVIII secolo, data, questa, confermata dalla bulla del consolato degli argentieri di Messina, caratterizzata, come si è visto, dallo scudo crociato coronato e  le lettere MS sulla base; le iniziali  sono quelle, invece, dei Consoli Antonio Pilaga o Andrea Paparcuri AP 737  e  Onofrio Pascalino OP 737 che ressero la carica proprio nel 1737 14 (Fig. 12). L’ostensorio, proveniente sempre dalla Basilica Cattedrale calatina è una profusione di decori rocailles e volute che si intrecciano con elementi fitomorfi. La base mistilinea gradinata è sostenuta da quattro piedi a doppia voluta con un elemento floreale centrale, oltre il quale risultano aggiunte, a fusione, delle piccole statuette, sicuramente di grande realismo, raffiguranti vari putti intenti a mietere il grano e pigiare l’uva, mentre dal piede del fusto si dipartono quattro volute su cui sono collocati gli Evangelisti.  Le volute convergono, a loro volta, nel fusto, costituito da una serie di nodi a vaso, il cui profilo è segnato da riccioli e viluppi disposti in senso diagonale. La sacra sfera e la relativa raggiera si incastrano – anche in questo caso – al fusto mediante un sistema “a baionetta”, il cui punto di ancoraggio è evidenziato da un serto di rose e nuvole da dove si dipartono due cornucopie aggettanti con spighe di grano. La raggiera, costituita da raggi asimmetrici, è viceversa ornata da un doppio fascio di decorazioni: nel primo, esse ripiegano su sé stesse con tralci di vite e grappoli d’uva, mentre nel secondo si sviluppa, in senso circolare, un nastro a triplo intreccio, impreziosito da pietre preziose e semipreziose. Da notare, infine, un terzo fascio anulare, dove rosette in argento dorato appaiono essere intervallate da castoni a foglietta ornati anche in questo caso da pietre preziose.

Suddividendo per sezioni cromatiche le analisi, si è proceduto a verificarne la composizione delle gemme. Dalle analisi Raman su tutti i campioni esaminati è emerso che la sequenza di gemme verdi delle porzioni centrali dei raggi è caratterizzata da smeraldi. Per ciò che concerne, invece, le gemme verdi quadrangolari poste terminalmente, è emersa, dai segnali a 130, 208, 267, 356, 400, 465, 698 e 1162 cm-1, la presenza di quarzo (Fig. 13).

Nelle altre sezioni radiali della raggiera, contraddistinte da un range cromatico oscillante tra il rosso ed il viola, si è potuta rilevare un’eterogenea presenza di gemme. La porzione centrale dei raggi è costituita da una sequenza di rubini identificati grazie agli spettri Raman con segnali a 379, 418, 431 e 644 cm-1(Fig. 14). Gli elementi rossi quadrangolari terminali sono invece costituiti da quarzo. Emerge poi centralmente, in posizione apicale, una grossa gemma viola che si rivela essere un’ametista, grazie ai già citati segnali Raman tipici del quarzo (Fig. 15). L’innesto dei raggi alla ghiera centrale della teca è valorizzato dalla presenza di corone stellate con porzione centrale costituita da gemme di colore rosso scuro (Fig. 16), identificate come granati tramite i segnali a circa 344, 558 e 918 cm-1. Infine, sulla ghiera intorno alla teca è emersa anche la presenza di uno spinello, dati i segnali Raman a 312, 408, 665 e 765 cm-1 (Fig. 17).

Per ciò che attiene le gemme incolore, individuate sia sulla ghiera intorno alla teca, che nella porzione inferiore della stessa, nonché su un fiocco lavorato a smalti, le analisi hanno rivelato che si tratta sia di diamanti, così come si evince dal picco a 1333 cm-1(Fig. 18), che di quarzi, che ritroviamo anche disposti ad anello immediatamente sotto il fiocco smaltato (Fig. 19). In ultimo è emerso anche un vetro collocato al centro del fiocco come evidenziato dalle tipiche bande di fotoluminescenza a circa 570 e 1100 cm-1 (si veda Fig.18).

La ricognizione proposta, basata sulla preliminare analisi e successiva catalogazione scientifica dei manufatti, si rende necessaria non solo per un’organica valorizzazione delle collezioni diocesane calatine, ma per la ricostruzione dei contesti di provenienza possibile grazie alle analisi non invasive effettuate in maniera sistematica.

Tabella 1: sintesi dei risultati ottenuti tramite l’analisi dei materiali gemmologici costituenti l’apparato decorativo dei tre ostensori.

Ostensorio Punto analisi Identificazione da analisi Raman
Ostensorio con Daniele nella fossa dei leoni Gemme rosse ghiera esterna Vetro
Gemme verdi ghiera intermedia Vetro
Gemme rosse ghiera interna Vetro + cinabro
Ostensorio architettonico Gemme verdi Smeraldo
Ostensorio con vendemmia e mietitura Gemme verdi porzione centrale raggi Smeraldo
Gemme verdi estremità raggi Quarzo
Gemme rosse porzione centrale raggi Rubino
Gemme rosse estremità raggi Quarzo
Gemme rosso scuro stelle Granato
Gemma viola stella apicale Ametista
Gemma viola rosetta centrale Spinello
Gemme incolori ghiera Diamante, quarzo
Gemme incolori sottostanti fiocco Quarzo
Gemma incolore centrale fiocco Vetro

 

Per le immagini fotografiche si ringraziano gli Uffici Beni Culturali Ecclesiastici:

Diocesi di Caltagirone

Diocesi di Nicosia

Diocesi di Patti

  1. Per maggiori approfondimenti si rimanda alla consultazione del sito http://www.diocesidicaltagirone.it/museo-diocesano. URL consultato in data 24/10/2023.[]
  2. E. Giacomini Miari & P. Mariani, Musei religiosi in Italia, Milano, 2005, p. 226.[]
  3. Ibidem.[]
  4. M. Accascina, I marchi delle Argenterie e delle Oreficerie Siciliane, Busto Arsizio, 1976, pp. 110-111. Cfr. M. C. Di Natale Ori e argenti di Sicilia dal Quattrocento al Settecento. [Catalogo della mostra], Milano, 1989, scheda II. 16, p. 193-194 e p.408. Cfr. S. Serio, Argenti messinesi del XVII e XVIII secolo (TOMO I), Tesi Dottorato, Università di Palermo, 2015, p. 59.[]
  5. La spettroscopia Raman è un’analisi non distruttiva che fornisce dettagliate informazioni sulla struttura chimica, le fasi, sulla cristallinità, le interazioni molecolari e la polimorfia. È basata sull’interazione tra la luce ed i legami chimici all’interno di un materiale. In particolare, questa tecnologia sfrutta la diffusione della luce, in base alla quale una molecola disperde la luce incidente proveniente da una sorgente laser ad alta intensità. Nella maggior parte dei casi la luce diffusa ha la stessa lunghezza d’onda (o colore) della sorgente laser e non fornisce informazioni utili. Ciò nondimeno, una piccola quantità di luce (in genere 0,0000001%) viene dispersa a lunghezze d’onda diverse, che dipendono dalla struttura chimica del sistema analizzato.

    Per maggiori approfondimenti si rimanda alla consultazione del sito https://www.ism.cnr.it. URL Consultato in data 24/10/2023.[]

  6. M. Accascina, Oreficeria di Sicilia, Palermo, 1974, cit. pp.158-160. Cfr. M.C. Di Natale, Oro e Argento e corallo tra committenza ecclesiastica e devozione laica, in Splendori di Sicilia, Arti Decorative dal Rinascimento al Barocco, Milano, 2001, cit. pp.26-27 ed Eadem, Il tesoro della Matrice nuova di Castelbuono nella Contea dei Ventimiglia, 2005, pp. 22-28.[]
  7. M. Accascina, Oreficeria di Sicilia…, 1974, p. 122. Cfr. M. C. Di Natale, Gli argenti in Sicilia tra rito e decoro in Ori e argenti…, 1989, pp. 134-139. M.C. Di Natale, Oreficeria Siciliana dal Rinascimento al Barocco, in Il Tesoro dell’Isola – Capolavori siciliani in argento e corallo dal XV al XVIII secolo (Vol. I), a cura di S. Rizzo, Catania 2008, p. 34.[]
  8. M.C. Di Natale, Oreficeria Siciliana…, in Il Tesoro dell’Isola…, Catania, 2008, p. 40.[]
  9. A. Marshall Johnson, Custodias for the processionale of Corpus Christi, in “notes Hispanic”, 1941, p.64 in M.C. Di Natale, Oreficeria Siciliana…, in Il Tesoro dell’Isola…, Catania 2008, p.40.[]
  10. M.C. Di Natale, Gli argenti…, 1989, p. 139.[]
  11. M.C. Di Natale, Oreficeria Siciliana…, in Il Tesoro dell’Isola…, Catania 2008, p. 42.[]
  12. Ibidem.[]
  13. M. Accascina, Oreficeria di Sicilia…, 1974, p. 123. Cfr. M.C. Di Natale, Ori e argenti…, 1989, pp. 407. Cfr. S. Serio, Argenti messinesi …, 2015, p. 168.[]
  14. M. Accascina, I marchi…, 1976, pp. 108-109. Cfr. M.C. Di Natale, Ori e argenti…, 1989, pp.408. Cfr. S. Serio, Argenti messinesi…, 2015, p. 861.[]