Caratterizzazione di pigmenti di antiche piastrelle di ceramica artigianale mediante tecniche analitiche
santino.orecchio@unipa.it
DOI: 10.7431/RIV28132023
In Sicilia la produzione di oggetti in ceramica è iniziata durante la preistoria e, ininterrottamente, attraverso il periodo romano e medievale, è tuttora molto attiva 1. La fabbricazione di manufatti di ceramica in Sicilia è associata alla presenza di diffusi depositi argillosi facilmente utilizzabili e, all’elevato livello di competenza che i ceramisti hanno sviluppato nel corso dei secoli 2. Inizialmente, le aree produttive più importanti erano ubicate nella parte centro-orientale della Sicilia (Gela, Siracusa e Caltagirone). A partire dal XVI secolo, la produzione di ceramica decorata siciliana aumenta con i laboratori di Palermo, Sciacca, Burgio, Collesano e Naso. Alla fine del XVIII secolo, la produzione della Sicilia occidentale diminuisce ma, nello stesso periodo, nuove attività artigianali sorgono a Santo Stefano di Camastra, sulla costa tirrenica della Sicilia orientale 3. In tutte le aree i motivi decorativi sono prevalentemente di ispirazione araba 4.
La caratteristica delle piastrelle di ceramica decorata, generalmente, utilizzate per pavimenti e rivestimenti, è determinata dal colore bianco opaco o lucido e dal rivestimento vetroso, solitamente ottenuto con composti bianchi (biossido di stagno, calcio antimoniato, carbonato di piombo, ecc.) come substrato per i pigmenti. Inoltre, questi manufatti sono generalmente caratterizzati da accentuati contrasti cromatici e colori intensi. Un esempio di pavimento costituito da piastrelle di ceramica è mostrato in Fig. 1. I colori delle decorazioni sono ottenuti con l’utilizzo di pigmenti inorganici. Questi sono composti di vari elementi che spesso possono assumere diversi stati di ossidazione (Cu(II), Fe(II), Fe(III), Mn(III), Mn(IV), Co(II), ecc.) e, conseguentemente, differenti colori, sono disponibili sotto forma di finissime polveri colorate, insolubili nel materiale da colorare o in un legante (nel caso delle ceramiche lo smalto) che ne agevola l’applicazione sulle superfici. Uno stesso pigmento può essere utilizzato in tecniche pittoriche diverse (olio, tempera, acquarello, inchiostri, ecc.) cambiando il tipo di legante (oli siccativi, gomma arabica, uovo, latte, ecc.).
Nonostante l’importanza della ceramica artigianale, relativamente pochi studi scientifici riguardanti i pigmenti utilizzati 5 sono disponibili in letteratura. L’identificazione dei metalli e, conseguentemente, i composti utilizzati nelle ceramiche decorate antiche, è importante dal punto di vista archeometrico, della storia dell’arte, nonché per il restauro e la riproduzione dei manufatti.
In generale, la datazione cronologico/spaziale di un dato manufatto, i materiali utilizzati, ed in particolare i pigmenti, sono stati fino a qualche tempo addietro, studiati e determinati da esperti, storici dell’arte, archeologi, ecc. 6 In questi casi, la valutazione si basava sull’osservazione dello stile delle decorazioni e sull’associazione di colori e motivi decorativi. Solo da qualche decennio, sempre in collaborazione con le suddette figure professionali, si è intrapreso lo studio scientifico sistematico (archeometria) mediante tecniche di indagine non distruttive e/o micro-invasive (microscopia ottica su sezioni, microscopia elettronica a scansione, spettrometria di assorbimento atomico, ecc.) di oggetti in ceramica con l’obiettivo di studiarne i materiali costitutivi, le tecniche esecutive e lo stato di conservazione 7. In generale, i metodi scientifici possono essere di ausilio nell’autenticazione e datazione di un reperto, nello stabilire la provenienza e la tecnica costruttiva di un manufatto e, naturalmente, nella conservazione e restauro di un bene.
Il problema dell’identificazione dei pigmenti nella ceramica potrebbe essere risolto mediante l’uso di alcune tecniche strumentali di chimica analitica, alcune delle quali però richiedono grandi quantità di campione. In questo articolo è riportato un esempio di utilizzo della spettrometria di emissione ottica accoppiata induttivamente al plasma (ICP-OES) per l’identificazione degli elementi presenti nei pigmenti di piastrelle decorate. In particolare, lo studio 8 ha preso in considerazione un totale di 114 decorazioni invetriate di 42 piastrelle per pavimenti in ceramica, prodotte in Sicilia dal XVI al il 21 d.C., utilizzando una tecnica che richiedeva il campionamento, anche se di trascurabili quantità di materiale.
L’ICP-OES è una tecnica di analisi utilizzata per determinare la composizione elementare qualitativa e quantitativa di campioni di natura diversa (acqua, sedimenti, alimenti, farmaci, leghe metalliche, ecc.). Nel caso di campioni solidi, preventivamente, è necessario effettuare una corretta procedura di preparazione del campione, costituita da una fase di solubilizzazione e/o mineralizzazione, generalmente effettuata a caldo con acidi. L’informazione analitica è ottenuta introducendo la soluzione del campione nello strumento, in particolare, nel nebulizzatore dove è convertita in aerosol che viene trasportato al plasma (Temperatura = 6500-10000°K) dove gli atomi e gli ioni subiscono un processo di eccitazione seguito dall’emissione di radiazioni caratteristiche. Le radiazioni di diverse lunghezze d’onda (dipendenti dagli elementi presenti nel campione) sono rilevate e convertite in segnali elettrici, utilizzati per risalire al tipo di elemento che ha emesso la radiazione e, dopo la costruzione di un’opportuna curva di taratura, alla sua concentrazione. La tecnica è utilizzabile per la determinazione della maggior parte degli elementi della tavola periodica, riuscendo a rilevare concentrazioni anche dell’ordine delle parti per miliardo (ppb o μg/L), inoltre, ha il vantaggio di consentire la determinazione simultanea di decine di elementi nello stesso campione.
Nel caso in studio, per rimuovere chimicamente una piccolissima quantità di pigmento dalla piastrella, la tecnica di campionamento prevedeva un delicato contatto tra un batuffolo di cotone idrofilo imbevuto di acido fluoridrico e la superficie decorata (Fig. 2). Alla fine del campionamento, la quantità di materiale rimosso dalla superficie ceramica risultava invisibile all’occhio e non produceva alcun effetto visibile sul manufatto.
In accordo con le nostre aspettative, il silicio risultava l’elemento più abbondante in tutti i campioni, pertanto, la sua concentrazione non poteva essere significativa per individuare i pigmenti. Considerando che la procedura di campionamento non era quantitativa, per discutere e interpretare i dati, la concentrazione di ogni metallo, determinata nella soluzione ottenuta dal campione, è stata normalizzata rispetto a quella del silicio (CMe/CSi), quantificata nello stesso punto di campionamento.
Tutti i campioni, oltre al silicio, contenevano piombo, alluminio e potassio. La relativamente elevata percentuale di alluminio indica l’impiego nei rivestimenti vetrosi di allumino silicati, mentre, la presenza di piombo è compatibile con l’uso di smalti incolori.
In fig. 3 è mostrata la relazione tra le percentuali dei diversi metalli (media di tutti i campioni) e la colorazione dei decori di colore diverso.
La maggior parte delle decorazioni bianche contiene Pb, Sn e Al che suggeriscono l’utilizzo dei pigmenti 2PbCO3·Pb(OH)2 (biacca o bianco di piombo) e SnO2 (cassiterite) e pochissimi altri elementi (Fig. 3) che possono essere attribuite ad impurezze delle materie prime. L’uso di diversi rapporti tra piombo e stagno nei diversi campioni è correlato al controllo dell’opacità delle aree bianche. In uno dei campioni predomina lo zinco. I pigmenti bianchi a base di zinco sono stati sintetizzati e usati per la prima volta in Inghilterra nel 1834 9, pertanto, la presenza di questo elemento indica che il manufatto è successivo a tale data. La presenza di elevate concentrazioni di titanio solo in un campione è indicativa che il pigmento utilizzato in questo caso era il bianco di titanio (TiO2), mentre in tutti gli altri campioni i rapporti Ti/Si erano simili a quelli della crosta terrestre 10. L’uso di TiO2 come pigmento antico non è noto 11, il primo utilizzo negli oggetti dell’arte è avvenuto solo dopo i primi anni del 1900, durante i quali sono stati sviluppati i processi industriali per la produzione di un bianco puro e brillante, il bianco di titanio. Pertanto, la presenza di questo pigmento nel campione indica una decorazione non anteriore al XX secolo.
Il rame è presente in percentuali maggiori negli smalti verdi (fig. 3), mentre, il ferro nei decori neri, marroni e gialli. Elevate quantità di Ca, Zn, Sb, Ti e Pb sono stati individuati negli smalti color pastello. I composti di questi elementi sono stati usati direttamente da soli o miscelati con altri pigmenti colorati per ottenere le tonalità volute dal ceramista. Le decorazioni gialle sono caratterizzate da elevate percentuali di Pb, Al, Sn, Fe e pochissimi altri elementi (Fig. 4), il che suggerisce l’utilizzo di ossidi di piombo e di ferro (PbO, Fe2O3, ecc.). Una differenza significativa riguarda un campione (n°8) caratterizzato da elevate percentuali di cadmio (fig.4) che suggerisce l’uso del giallo di cadmio (CdS), mentre, la presenza di antimonio, in particolare, un’altra decorazione gialla (n°6) è coerente con l’uso del giallo di Napoli (Pb2Sb2O7), mentre negli altri smalti gialli è ottenuta utilizzando composti del ferro. Il contenuto di selenio in piastrelle prodotte nel 2000 nello stesso laboratorio di Santo Stefano di Camastra (ME) risultava simile e maggiore rispetto a quello di altri campioni. Tale evidenza è da attribuire all’uso di un solfoseleniuro di cadmio. Questa classe di sostanze è diventata disponibile in commercio come pigmento dopo il 1925 12. Le tracce di selenio individuate in tutti gli altri campioni possono essere attribuite alle impurezze dei materiali utilizzati nella preparazione di pigmenti. Nella maggior parte dei campioni gialli la concentrazione di titanio era più alta rispetto a quella di tutti gli altri campioni. Tale dato suggerisce l’uso di bianco di titanio (TiO2) per ottenere le tonalità desiderate. In un altro smalto giallo chiaro (n°9), anche se il ferro è l’elemento che impartisce il colore, si nota che la concentrazione di Pb è molto più alta rispetto a quella degli smalti giallo scuro. In questo caso, la tonalità chiara è ottenuta con l’aggiunta di biacca (carbonato basico di piombo) ad un ossido di ferro (per esempio Giallo Marte). L’assenza di antimonio esclude l’utilizzo del Giallo Napoli (Pb3 (SbO4)2).
I decori azzurri, a prescindere dagli opacizzanti a base di piombo, alluminio e potassio, sono caratterizzati dalla presenza di cobalto. Sebbene il cobalto sia stato isolato nel XVIII secolo, il suo uso (nella forma di composti o di minerali) come pigmento è noto da migliaia di anni perché, anche a basse percentuali, produce smalti e vetri intensamente colorati 13. La maggior parte degli smalti blu sono caratterizzati dalla presenza di elevate percentuali di cobalto e stagno riconducibili all’utilizzo di CoO·nSnO2 (Blu ceruleo) ad alto potere colorante. La quantificazione del cobalto assieme a quella dell’arsenico può fornire informazioni, anche se qualitative, sulle condizioni di cottura dello strato vetroso. L’elevato rapporto cobalto/arsenico indica che le condizioni di cottura utilizzate durante il processo di produzione erano tali (atmosfera ossidante e alta temperatura) per favorire la volatilizzazione dell’arsenico, in particolare, nei campioni molto antichi i rapporti Co/As sono molto bassi. Ciò conferma che i pigmenti contenenti cobalto non sono stati preparati o utilizzati a temperature sufficienti per rimuovere l’arsenico.
Gli smalti marroni contengono notevoli percentuali di manganese e ferro. Ciò suggerisce l’utilizzo dei pigmenti MnO2 e Fe2O3. Ferro e manganese nei loro composti possono esistere in stati di ossidazione diversi e pertanto dar luogo a colorazioni diverse anche in funzione dell’atmosfera (temperatura, atmosfera ossidante o riducente) del forno. I decori neri in molte delle piastrelle analizzate sono attribuiti all’uso di un pigmento contenente ferro, ad esempio, Fe2O3 (Nero di Marte), volutamente, miscelato con MnO2 (Nero di Manganese). Gli smalti grigi hanno una composizione più complessa rispetto a quella di altre colorazioni, infatti, quelle prese in considerazione in questo studio contengono notevoli quantità di arsenico, ferro, cobalto e manganese, probabilmente, sono stati miscelati quattro diversi pigmenti e diversi componenti minori in proporzioni tali da ottenere la tonalità desiderata. Alla luce dei dati ottenuti è chiaro che lo stesso colore o la stessa tonalità può essere ottenuta miscelando sapientemente pigmenti diversi. Ciò consente ai ricercatori di poter distinguere decori o manufatti uguali ottenuti in laboratori diversi.
La stessa tecnica analitica è stata utilizzata per stabilire se alcuni manufatti ceramici (in questo caso non decorati) riscontrati nel sito di Himera fossero stati prodotti in situ o provenissero da laboratori geograficamente lontani. Tale informazione può essere di ausilio per stabilire eventuali rapporti commerciali tra gli abitanti di Himera ed altre popolazioni.
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