Il Pendente della Madonna del Rosario del Museo della Basilica di Santa Maria Assunta di Gandino: un’oreficeria siciliana della prima metà del XVII secolo
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DOI: 10.7431/RIV30032024
Tra i preziosi paramenti e monili indossati dalla Madonna del Rosario1, una ‘statua vestita’2 (Fig. 1) oggi conservata presso l’attiguo Museo ma realizzata per essere esposta sull’altare laterale a lei dedicato nella Basilica di Santa Maria Assunta di Gandino3, spicca anche un Pendente in oro e smalti ancora poco noto alla critica, che merita certamente una riflessione4.
Il medaglione (cm 9 x 4 x 1,5) a due facce è di forma ovale verticale e contiene, sotto due vetri bombati, nel recto una Crocifissione (Fig. 2) mentre nel verso un Cristo in pietà (Fig. 3).
La Crocifissione (cm 4 x 3) è una microscultura in oro traforata a giorno, incuneata nella cornice del pendente, ma asportabile, con il Crocifisso lavorato a tuttotondo e la collina del Calvario, su cui svetta la croce, costituita da undici castoni a squame colmati – eccetto quello centrale vuoto5 – da smalti traslucidi di colore verde e azzurro e da quattro riccioli riempiti da smalto blu, in due casi puntinato di bianco.
Il Cristo in pietà (cm 4 x 3) è invece una miniatura dipinta su pergamena, raffigurante Cristo con le piaghe della passione accostato al sepolcro, sorretto dalla Madonna, che lo tiene per il braccio destro, e da San Giovanni evangelista, che lo afferra da dietro reggendolo per il costato. La scena è profilata da una banda dorata e aderisce a una seconda pergamena che decorata da un cielo stellato fa da fondo, sull’altro lato del pendente, alla Crocifissione traforata.
I due soggetti sono protetti, come detto, da vetri trattenuti da un’elegantissima cornice dorata, profilata su ambo i lati, nella parte più interna, da una modanatura liscia affiancata da un sottilissimo filo ritorto6 e impreziosita, lungo tutti i bordi, da luminosi smalti (Figg. 4 – 5). Essa è stata ottenuta lavorando l’oro a cesello e bulino per dar forma a delle lamelle traforate e aggettanti sulle quali sono stati ricavati alveoli a foggia di volute, punti ed elementi fitomorfi, successivamente riempiti con paste vitree dalla palette che varia dai toni traslucidi del verde, del rosso e del blu, al tono invece più opaco del bianco; il bordo è poi arricchito da otto bulbi in smalto azzurro opaco con striature in oro affioranti (Fig. 6). Ai tre bulbi superiori, attraverso piccoli anelli, si agganciano le tre catenelle che, convergendo in un anello maggiore di sospensione, permettono di fissare il medaglione a una collana; dai tre inferiori, pendono invece tre perle dalla forma irregolare (Fig. 7); mentre i due mediani a destra e a sinistra sono terminati da una piccola sferula dorata.
Nell’anello apicale il pendente è congiunto a una collana (cm 20) (Fig. 8) costituita da granati sfaccettati dal taglio irregolare, separati da cannule solidali a vaghi aurei percorsi lungo la linea mediana da un sottilissimo filo attorcigliato e decorati da più serie di tre circoletti in rilievo, talvolta inscritti in cerchi più grandi (Fig. 9). Questa collana è prolungata da una catena dorata che consente di porre il medaglione al collo della statua della Madonna.
Non sappiamo nulla sulle origini di questo gioiello né tanto meno come e quando esso sia arrivato a Gandino e utilizzato per agghindare la Madonna del Rosario7. Qualche ipotesi più circostanziata sulla sua produzione e provenienza può essere supportata da un’analisi stilistica e dal confronto con oggetti affini. Sopravvivono, infatti, tutta una serie di medaglioni che, realizzati in un determinato ambito, che è quello siciliano, e risalenti a un delimitato periodo, che è la prima metà del Seicento, per delle loro caratteristiche intrinseche permettono di riconoscere verosimilmente anche il nostro pendente come un manufatto circoscrivibile a quell’area e databile entro la prima parte del XVII secolo.
Tra queste peculiarità rientrano senz’altro gli smalti che, stesi entro alveoli e dalla intensa policromia, presentano distintivi elementi aurei – tra cui puntini e lineette – che affiorano dalla pasta vitrea. Si possono stringere dei paragoni e raffrontare il medaglione gandinese con molti gioielli siciliani di epoca barocca che si contraddistinguono per la bellezza e la varietà degli smalti alveolati che li impreziosiscono. Si pensi in particolar modo ai cospicui donativi, consistenti in corone, collane, braccialetti e pendenti, destinati a omaggiare due importanti simulacri dell’isola: la Madonna della Visitazione della Chiesa Madre di Enna, una scultura lignea policroma il cui tesoro è oggi conservato presso il Museo Giuseppe Alessi8, o la Madonna di Trapani del Santuario della Santissima Annunziata, una statua in marmo attribuita a Nino Pisano il cui tesoro si trova ora esposto presso il Museo Regionale Agostino Pepoli9.
Fra tutti questi manufatti spicca certamente per qualità e raffinatezza la bellissima Corona della Madonna di Enna (Fig. 10), datata 1653 e creata da tre orafi, i fratelli Leonardo e Giuseppe Montalbano e Michele Cartillone. Essa è contraddistinta da elementi figurativi realizzati in smalto en ronde bosse10, come le scene della vita di Maria e di Cristo distribuite in sei ovati orizzontali posti nella base o i putti reggicartiglio che scandiscono altrettanti ovati, collocati invece verticalmente, nelle punte che formano il secondo ordine dell’oggetto. Il tutto costellato da numerosissime pietre preziose, tra cui rubini e diamanti, e un tripudio di smalti dalla ricca e vivace policromia tipica del Barocco siciliano11.
Proprio gli smalti di questa ricercata oreficeria, come definito da Maria Accascina, costituiscono l’estremo sviluppo di questa tecnica decorativa dove «l’orafo non formava sulla lamina d’oro i piccoli alveoli mediante un filo aurato di contorno o abbassando il piano, ma eseguiva nella lamina d’oro fregi con gli orli ricurvi nei quali colava la pasta smaltata e poi, sovrapponendo e intrecciando questi fregi, formava delicatissime incorniciature a gemme e cammei, composizioni ariose splendenti di colori come un multiplo intreccio di nastri variopinti»12.
Nella foggia del gioiello di Gandino, un ovato sospeso a tre catenelle completato in basso da perle pendenti, si possono avanzare parallelismi con tutta una serie di medaglioni, sempre siciliani, che nascono con funzioni apotropaiche. Di essi, come ha ben chiarito Maria Concetta Di Natale, ne esistono due precise tipologie, le cosiddette pietre stregonie13, che riportano solitamente inciso nel corallo che ne orna il centro, da un lato l’immagine della Madonna e dall’altro quella di Gesù, e i cosiddetti Agnus Dei14, dove quasi sempre su verre églomisé15 oltre al simbolo dell’Agnello nel recto rappresentano nel verso scene della vita di Maria o di Cristo, tra cui soprattutto la Crocifissione. Questi manufatti, dei veri e propri talismani mutuati dal cristianesimo da tradizioni pagane, proteggevano secondo la credenza popolare dai mali e in particolare preservavano le donne durante il parto. Per essere portati e indossati erano talvolta racchiusi in preziose cornici smaltate – come quella del nostro gioiello – talvolta invece erano inseriti in cornici di cristallo di rocca, quasi sempre però appesi a tre catenelle e con tre o più perle pendenti nella parte inferiore16.
Fra i numerosi esemplari presenti nei tesori sopraccitati si può menzionare per confronti, per esempio, l’Agnus Dei conservato presso il Museo Regionale Agostino Pepoli di Trapani (Fig. 11), databile sicuramente a prima del 1647 grazie a un inventario che lo enumera. Esso è decorato al centro da verres églomisés che riportano da un lato l’Agnello e dall’altro l’Annunciazione, contenuti in una cornice d’oro a smalti alveolati vicina per forma a quella di Gandino. Oggi si presenta privo di perle e senza la terza catenella, tutti elementi probabilmente perduti nel corso del tempo ma presenti in origine; certamente la terza catenella, poiché così descritto nell’inventario che lo menziona: «un Agnus, ad una parte vi è l’Annunziata et all’altra parte l’Agnus Dei con tre catinelli»17.
Numerosi monili di siffatta tipologia, attraverso le vie del mercato antiquario e del collezionismo, sono approdati nei secoli in varie raccolte museali. Alcuni esempi si trovano oggi presso il Museo Poldi Pezzoli di Milano. Questi, in passato assegnati ad ambito lombardo della fine del XVI secolo, sono stati giustamente riconosciuti da Maria Concetta Di Natale come produzione siciliana del XVII secolo18.
Altri esemplari si conservano al Victoria and Albert Museum di Londra19. Fra essi citiamo per una comparazione il Pendente (Fig. 12) pervenuto nel 1910 con il lascito di Henry Boyles Murray, che, indicato correttamente come siciliano del XVII secolo, raffigura al centro, su verre églomisé, da un lato la Madonna con il Bambino e dall’altro San Francesco d’Assisi con la croce. Un manufatto che nella struttura si avvicina molto al nostro, circoscritto da una cornice d’oro a smalti alveolati però più estesa, ma dalle medesime tonalità traslucide e opache20.
Rilevante è il confronto con un secondo Pendente (Fig. 13) dello stesso museo, donato nel 1910 da George Salting, indicato genericamente come italiano della seconda metà del XVI secolo, ma da ricondurre più precisamente a produzione siciliana del secolo successivo. Esso, poiché ottagonale, si differenzia nella forma da tutti quelli esaminati fino a ora, ma nell’incorniciatura risulta senz’altro il più affine al medaglione gandinese. Presenta una sola faccia decorata su verre églomisé, con una doppia iconografia: al centro, in un piccolo ovale, il Noli me tangere, mentre attorno lo spazio è occupato dall’Andata al Calvario. La cornice d’oro a smalti alveolati che lo racchiude è praticamente uguale a quella del nostro gioiello; si possono, infatti, osservare le stesse forme cesellate e bulinate riempite da paste vitree dagli analoghi toni cromatici, con anche identici bulbi collocati nei punti mediani di quattro lati dell’ottagono21.
Due medaglioni sono posseduti pure dal Metropolitan Museum of Art di New York, donati nel 1917 da John Pierpont Morgan. Il primo Pendente (Fig. 14), giustamente assegnato alla Sicilia del XVII secolo e dalla tipica struttura ovata, riporta, su verre églomisé, da un lato la Crocifissione con i dolenti e dall’altro la Madonna assunta, inclusi in una cornice d’oro a smalti alveolati agganciata alle solite tre catenelle e con ben sette perle appese nella parte inferiore22.
L’altro Pendente (Fig. 15) indicato impropriamente come milanese del primo quarto del XVI secolo, ma da ricondurre anch’esso a produzione siciliana del secolo successivo, nella foggia ottagonale ripete il modello del secondo gioiello del Victoria and Albert Museum visto. Esso, sempre su verre églomisé, mostra su entrambi i lati varie scene della vita di Maria e di Cristo: una più grande centrale, che da un lato è l’Adorazione dei magi e dall’altro la Deposizione di Cristo, più altri otto episodi che fanno da corona al maggiore. Anche questo medaglione propone una cornice d’oro a smalti alveolati che si rivela essere tale e quale a quella di Gandino23.
Ancora paragoni possono essere condotti con altri manufatti a uso devozionale che – come il nostro – oggi si trovano lontani dalla Sicilia ma che, attraverso studi specifici, sono stati correttamente ricondotti a quell’ambito. Si tratta di due gioielli resi noti da Benedetta Montevecchi, parte di un nucleo più cospicuo appartenente alla Cattedrale di Santa Margherita di Montefiascone, alla quale sono pervenuti in tempi imprecisati come dono per agghindare i Reliquiari a busto di Santa Margherita, San Flaviano e Santa Felicita, i tre santi protettori della città24.
Il primo Pendente, detto Monile di Santa Felicita, offerto per arricchire il reliquiario a busto della martire romana, è un medaglione che nella forma e negli smalti – come quello di Gandino – rispecchia la canonica tipologia ovata più volte descritta, completato poi anch’esso da una collana di granati sfaccettati dal taglio irregolare, alternati a vaghi in oro, in questo caso però traforati. Interessante è che qui, rispetto ai confronti già proposti, all’interno del pendente siano contenute – come nel nostro – delle miniature raffiguranti a mezzobusto da un lato Santa Felicita e dall’altro San Zaccaria. La prima santa, come accennato, protettrice della città di Montefiascone, ma che affiancata al secondo santo sembrerebbe ricondurre l’oggetto ancora una volta a una funzione apotropaica, come le pietre stregonie e gli Agnus Dei suddetti. Infatti, santa Felicita, madre di ben sette figli, era invocata dalle donne che desideravano una gravidanza, così come san Zaccaria, divenuto padre di san Giovanni Battista in tarda età, sembrerebbe ricondurre a questa medesima devozione25.
Sempre a Montefiascone si conserva un secondo Pendente (Fig. 16) che, come quelli del Victoria and Alber Museum e del Metropolitan Museum già analizzati, eccezion fatta per la forma ottagonale, nell’incorniciatura risulta uguale al medaglione di Gandino. Esso, riportando all’interno, su verre églomisé, da un lato l’immagine della Madonna e dall’altro quella di Gesù, si riallaccia alla particolare tipologia delle pietre stregonie. La lavorazione della cornice d’oro a smalti alveolati corrisponde pienamente al nostro, con anche gli stessi bulbi posti qui a ogni lato dell’ottagono. Riconducibile all’ambito siciliano è parimenti la collana che lo accompagna e permette di indossarlo. Questa è costituita da venti maglie ovoidali di due grandezze diverse alternate, formate da volute contrapposte raccordate al centro da rosette, lavorate in parte a sablé26 e in parte a filigrana, con ancora tracce di smalti27.
Per concludere, due ultime parole vanno spese pure per la collana che accompagna il nostro gioiello, che costituita, come descritto, da granati sfaccettati alternati a vaghi aurei, risulta altresì un manufatto di produzione siciliana. Essa può trovare riscontro in numerosi esempi, fra questi citiamo per similitudine le collane oggi esposte presso il Museo Diocesano di Catania (Fig. 17) che provengono dai numerosi donativi riservati al famoso Reliquiario a busto di Sant’Agata della Cattedrale28. Nello stesso museo catanese si conserva un oggetto dal curioso uso apotropaico, una Fascia ombelicale (Fig. 18) datata 1763 e proveniente dalla chiesa di Santa Maria dell’Indirizzo. Quest’ultima è degna di essere accennata poiché è costituita da due mezze lune d’argento raffiguranti a sbalzo, l’una San Filippo Neri e l’altra San Giuseppe con il Bambino, che sono unite tra loro da dodici fili costituiti da sferette di corallo e vaghi di differenti dimensioni, dove i maggiori si rivelano del tutto simili nella lavorazione a quelli della nostra collana. Tale particolare tipologia di oggetto poteva essere utilizzata per ornare statue di Gesù Bambino o di Maria Bambina e in questo caso il corallo – alternativa ai granati – veniva usato in virtù delle sue proprietà propiziatorie e terapeutiche: era usanza porlo sull’addome dei neonati come portafortuna con anche la convinzione che fungesse da vermifugo29.
Gli esempi portati a raffronto sembrerebbero confermare la tesi della produzione siciliana entro la prima metà del Seicento del medaglione gandinese. Quantomeno dell’intelaiatura – cornice, catenelle e perle – che, come osservato, trova numerosi riscontri in tanti oggetti analoghi. Meno consueto risulta il contenuto dell’oggetto – Crocifissione in microscultura a tuttotondo e Deposizione di Cristo in miniatura dipinta – che nei materiali e nelle tecniche si scosta invece dai medaglioni prodotti nell’isola eseguiti per lo più, per la parte centrale, in corallo o verre églomisé.
Per quali vie questo bel pendente, con la collana che lo accompagna, sia arrivato fino a Gandino resta un mistero; tuttavia, sulla scorta dei molteplici manufatti esaminati, oggi parte di donativi destinati ad agghindare statue e simulacri, si può concludere che anch’esso, nato in Sicilia come gioiello a uso privato e personale, sia stato solo in un secondo momento destinato e consacrato come ex voto alla Madonna del Rosario di Gandino.
- Per la Madonna del Rosario di Gandino si vedano: A. Savoldelli, Il Museo della Basilica di Gandino a 70 anni dalla fondazione, Villa di Serio 1999, pp. 94-95, cat. 111; S. Tomasini, Uno sguardo in diocesi di Bergamo, tra sopravvivenze e manifatture specializzate, in In confidenza col sacro. Statue vestite al centro delle Alpi, catalogo della mostra (Sondrio, 10 dicembre 2011-26 febbraio 2012), a cura di F. Bormetti, Sondrio 2011, pp. 215-231, in part. p. 227; La Regina del Rosario. Intima devozione e arte sacra, catalogo della mostra (Gandino, 4 ottobre-15 novembre 2020), a cura di F. Rizzoni, Gandino 2021, pp. 10-11.[↩]
- Per il tema della ‘statua vestita’ si vedano: In confidenza col sacro…, 2011; Vestire il sacro. Percorsi di conoscenza, restauro e tutela di Madonne, Bambini e Santi abbigliati, a cura di L. Bortolotti, “ER musei e territorio. Dossier, 10”, Bologna 2011; Vestire le statue. Arte, devozione e committenza nella Toscana nord-occidentale, a cura di M. Collareta, “Studi e fonti per la storia della scultura, 5”, Pisa 2016; Statue vestite. Prospettive di ricerca, atti del convegno (Pisa, 15-16 giugno 2016) a cura di A. Capitanio, “Studi e fonti per la storia della scultura, 6”, Pisa 2017; Il culto della Madonna vestita nella Tuscia, catalogo della mostra (Viterbo, 31 agosto-26 ottobre 2019), a cura di M. Eichberg-L. Caporossi-M. Arduini, “Tessere la speranza, 9”, Roma 2019.[↩]
- Per l’altare della Madonna del Rosario della Basilica di Santa Maria Assunta di Gandino si vedano: A. Bertoni-A. Savoldelli-P. Gelmi, La pergamena, in La Regina del Rosario…, 2021, pp. 14-17; A. Savoldelli, Ornamenti e suppellettili dell’Altare della Madonna del Rosario, in La Regina del Rosario…, 2021, pp. 18-19; G. Picinali, L’Altare della Madonna del Rosario, in La Regina del Rosario…, 2021, pp. 20-21.[↩]
- A mia conoscenza l’unica citazione del medaglione è di Antonio Savoldelli: «Interessanti anche gli altri preziosi che la adornano (Madonna del Rosario): gli orecchini e il collier in perle di fiume, la collana con un bellissimo pendaglio all’interno del quale una piccola crocifissione». Si veda: A. Savoldelli, Il Museo della Basilica di Gandino…, 1999, p. 94, cat. 111. Dopo gli esiti di questo mio studio l’oggetto è stato recentemente esposto come oreficeria siciliana della prima metà del XVII secolo alla mostra, senza catalogo, dal titolo I.N.R.I. Croce e speranza, allestita dal 12 aprile al 26 maggio 2024 in parte nella Basilica di Santa Maria Assunta di Gandino e in parte nell’attiguo Museo.[↩]
- Lo smalto di questo castone può essersi staccato e andato perduto.[↩]
- La modanatura liscia del verso, serrata a pressione, può essere estratta permettendo di togliere il vetro e aprire così il manufatto.[↩]
- Anche una nuova ricerca nell’Archivio della Basilica di Santa Maria Assunta di Gandino non ha restituito alcuna informazione utile in merito.[↩]
- Per il tesoro della Madonna della Visitazione di Enna si vedano: M.C. Di Natale, Le vie dell’oro: dalla dispersione alla collezione, in Ori e Argenti di Sicilia dal Quattrocento al Settecento, catalogo della mostra (Trapani, 1° luglio-30 ottobre 1989) a cura di M.C. Di Natale, Milano 1989, pp. 22-44; M.C. Di Natale, I monili della Madonna della Visitazione di Enna. Initia vitae: Cerere e Maria, in I monili della Madonna della Visitazione di Enna, a cura di M.C. Di Natale, Enna 1996, pp. 11-31; M.C. Di Natale, I monili della Madonna della Visitazione di Enna. Orafi, committenti e donatori, in I monili della Madonna…, 1996, pp. 33-89; M.C. Di Natale, Scie di luce: catene e collane dal tardo Manierismo, in M.C. Di Natale, Gioielli di Sicilia, Palermo 2000, II ed. 2008, pp. 47-80; M.C. Di Natale, Colori e bagliori: coralli, gemme e perle nei monili tra il XVI e il XVII secolo, in Gioielli di Sicilia…, 2000, II ed. 2008, pp. 81-104; M.C. Di Natale, Agnus Dei e pietre stregonie del XVII secolo, in Gioielli di Sicilia…, 2000, II ed. 2008, pp. 105-128; M.C. Di Natale, Orafi smaltatori della Sicilia barocca: Don Camillo Barbavara e Leonardo Montalbano, in Gioielli di Sicilia…, 2000, II ed. 2008, pp. 129-156; M.C. Di Natale, “Cammini” mariani per i tesori di Sicilia. Parte I, in “OADI. Rivista dell’Osservatorio per le Arti Decorative in Italia”, a. 1, n. 1, giugno 2010, pp. 15-57.[↩]
- Per il tesoro della Madonna di Trapani si vedano: M.C. Di Natale, Le vie dell’oro…, 1989, pp. 22-44; M.C. Di Natale, I gioielli della Madonna di Trapani, in Ori e Argenti…, 1989, pp. 63-82; M.C. Di Natale, Gli ori, in Il Tesoro Nascosto. Gioie e Argenti per la Madonna di Trapani, catalogo della mostra (Trapani, 2 dicembre 1995-3 marzo 1996) a cura di M. C. Di Natale-V. Abbate, Palermo 1995, pp. 92-183; M.C. Di Natale, Scie di luce…, 2000, II ed. 2008, pp. 47-80; M.C. Di Natale, Colori e bagliori…, 2000, II ed. 2008, pp. 81-104; M.C. Di Natale, Agnus Dei…, 2000, II ed. 2008, pp. 105-128; M.C. Di Natale, Orafi smaltatori…, 2000, II ed. 2008, pp. 129-156; M.C. Di Natale, “Cammini” mariani…, 2010, pp. 15-57; M.C. Di Natale, Il Canonico Mondello e il Tesoro della Madonna di Trapani, in “OADI. Rivista dell’Osservatorio per le Arti Decorative in Italia”, a. 7, n. 14, dicembre 2016, pp. 135-149; Gioielli al Museo Pepoli. Un tesoro di arte e devozione, a cura di M.C. Di Natale-R. Cruciata, “Artes, 32”, Palermo 2023.[↩]
- Il termine francese indica la tecnica dello smalto, per lo più opaco ma talvolta anche traslucido, applicato a figure o a motivi ornamentali lavorati a tuttotondo. Si vedano: J. Fleming-H. Honour, Dizionario delle arti minori e decorative, Milano 1980, pp. 632-633; F. Tasso, Smalto, in Dizionario delle arti minori, a cura di C. Piglione-F. Tasso, Milano 2000, II ed. 2020, pp. 372-393, in part. p. 388.[↩]
- Per la Corona della Madonna della Visitazione di Enna si vedano: M.C. Di Natale, Le vie dell’oro…, 1989, pp. 30, 32, 34, figg. 15a-b-c; M.C. Di Natale, I monili della Madonna…, 1996, pp. 39-46, figg. 26-34; V.U. Vicari-G. Pieri, in Ori, argenti, gemme. Restauri dell’Opificio delle Pietre Dure, catalogo della mostra (Firenze, 30 settembre 2007-8 gennaio 2008) a cura di C. Innocenti, Firenze 2007, pp. 49-53, cat. 2; M.C. Di Natale, Orafi smaltatori…, 2000, II ed. 2008, pp. 133, 135, 142-143, fig. 14-16; M.C. Di Natale, “Cammini” mariani…, 2010, pp. 36, 38, figg. 24-28.[↩]
- M. Accascina, Oreficeria siciliana. Il Tesoro di Enna, in “Dedalo”, a. XI, fasc. III, agosto 1930, pp. 151-170, in part. p. 160.[↩]
- Per le pietre stregonie si veda G. Bellucci, Tradizioni popolari italiane. Il feticismo primitivo in Italia e le sue forme di adattamento, Perugia 1907, pp. 100-104.[↩]
- Per gli Agnus Dei si veda G. Bellucci, Tradizioni popolari italiane…, 1907, pp. 121-127.[↩]
- Il termine francese indica la tecnica del vetro graffito a oro e deriva dal cognome di un disegnatore, incisore, collezionista e corniciaio parigino, Jean-Baptiste Glomy (Parigi, 1711 – 1786), che si servì di questo processo per decorare le modanature delle cornici di vetro in cui era solito racchiudere le sue opere grafiche. Si veda: J. Fleming-H. Honour, Dizionario…, 1980, p. 715; F. Tasso, Vetro dorato (graffito e dipinto), in Dizionario delle arti minori…, 2000, II ed. 2020, pp. 456-465, in part. pp. 463-464.[↩]
- Per le due tipologie di medaglioni pietre stregonie e Agnus Dei si veda: M.C. Di Natale, Agnus Dei…, 2000, II ed. 2008, pp. 105-128.[↩]
- Per l’Agnus Dei del Museo Regionale Agostino Pepoli (inv. 5324) si vedano: M.C. Di Natale, I gioielli della Madonna…, 1989, pp. 77-78, figg. 35a-b; M.C. Di Natale, in Il Tesoro Nascosto…, 1995, pp. 99-100, cat. I, 3; M.C. Di Natale, Agnus Dei…, 2000, II ed. 2008, pp. 108, 112, fig. 9.[↩]
- Per i Pendenti del Museo Poldi Pezzoli di Milano (invv. 692, 693, 694, 697) si vedano: Museo Poldi Pezzoli. Orologi-oreficerie, “Musei e Gallerie di Milano”, a cura di G. Brusa-G. Gregorietti-T. Tomba, Milano 1981, pp. 277, 341-342, catt. 88-91, figg. 98-101; M.C. Di Natale, Agnus Dei…, 2000, II ed. 2008, p. 105.[↩]
- Per i Pendenti del Victoria and Albert Museum di Londra (invv. inv. M.540-1910, M.991-1910, M.992-1910, M.993-1910, M.994-1910, M.996-1910; M.56-1923) si vedano: S. Bury, Jewellery Gallery. Summary Catalogue, London 1982, pp. 71, 162, Case 13, Board E, n. 7, Case 28, nn. 3-6; M.C. Di Natale, Agnus Dei…, 2000, II ed. 2008, pp. 105, 112.[↩]
- Per il primo Pendente del Victoria and Albert Museum di Londra (inv. M.991-1910) si vedano: S. Bury, Jewellery Gallery…, 1982, p. 162, Case 28, n. 3; M.C. Di Natale, Agnus Dei…, 2000, II ed. 2008, p. 105; scheda online del museo [https://collections.vam.ac.uk/item/O122810/pendant-unknown].[↩]
- Per il secondo Pendente del Victoria and Albert Museum di Londra (inv. M.540-1910) si vedano: S. Bury, Jewellery Gallery…, 1982, p. 71, Case 13, Board E, n. 7; scheda online del museo [https://collections.vam.ac.uk/item/O114872/pendant-unknown].[↩]
- Per il primo Pendente del Metropolitan Museum of Art di New York (inv. 17.190.1648) si vedano: Infinite Riches: Jewelry Through the Centuries, catalogo della mostra (St. Petersburg, 19 febbraio-30 aprile 1989) a cura di C. Duval, St. Petersburg 1989, p. 36, cat. 57; scheda online del museo [https://www.metmuseum.org/art/collection/search/194223].[↩]
- Per il secondo Pendente del Metropolitan Museum of Art di New York (inv. 17.190.882) si vedano: F. Dennis, Renaissance Jewelry. A Picture Book, New York 1940, II ed. 1943, fig. 4; scheda online del museo [https://www.metmuseum.org/art/collection/search/193669].[↩]
- B. Montevecchi, Gioielli devozionali per i Santi protettori di Montefiascone, in “OADI. Rivista dell’Osservatorio per le Arti Decorative in Italia”, a. 2, n. 4, dicembre 2011, pp. 44-52.[↩]
- Per il primo Pendente (Monile di Santa Felicita) di Montefiascone si veda: B. Montevecchi, Gioielli devozionali…, 2011, pp. 44-45, figg. 1-3.[↩]
- Il termine francese indica un effetto opaco e scabro ottenuto su un metallo attraverso l’impiego di vari ferri granulatori e zigrinatori. Si vedano: A. Lipinsky, Oreficeria e argenteria in Europa dal XVI al XIX secolo, Novara 1965, p. 24; H. Maryon, La lavorazione dei metalli. Oreficeria, argenteria e tecniche complementari, Milano 1998, p. 121.[↩]
- Per il secondo Pendente di Montefiascone si veda: B. Montevecchi, Gioielli devozionali…, 2011, pp. 46-47, figg. 6-8.[↩]
- Per il Reliquiario a busto di Sant’Agata e per il tesoro della Cattedrale di Catania si vedano: M.C. Di Natale, Il reliquiario a busto di Sant’Agata di Catania e i suoi monili, in I volti della fede. I volti della seduzione, atti del convegno (Firenze, 29-30 maggio 2003) a cura di L. Casprini Gentile-D. Liscia Bemporad-E. Nardinocchi, Firenze 2003, pp. 95-108; Il tesoro di Sant’Agata. Gemme, ori e smalti per la martire di Catania, a cura dell’Ufficio per i Beni Culturali dell’Arcidiocesi di Catania, Catania 2006; M.C. Di Natale, Enrico Mauceri e il Tesoro di S. Agata di Catania, in Enrico Mauceri (1869-1966). Storico dell’arte tra connoisseurship e conservazione, atti del convegno (Palermo, 27-29 settembre 2007) a cura di S. La Barbera, Palermo 2009, pp. 141-156; Sant’Agata. Il reliquiario a busto. Contributi interdisciplinari, a cura dell’Ufficio per i Beni Culturali dell’Arcidiocesi di Catania, Catania 2010; Sant’Agata. Il reliquiario a busto. Nuovi contributi interdisciplinari, a cura dell’Ufficio per i Beni Culturali dell’Arcidiocesi di Catania, Catania 2014.[↩]
- Per la Fascia ombelicale del Museo Diocesano di Catania (inv. 243 573) si vedano: M. Vitella, Il percorso espositivo. Le opere e gli artisti, in Il Museo Diocesano di Catania, a cura dell’Ufficio per i Beni Culturali dell’Arcidiocesi di Catania, Catania 2017, pp. 19-40, in part. p. 33; M. Vitella, in Il Museo Diocesano di Catania…, 2017, p. 91, cat. VI.4C.2.[↩]