Andrea Sorze

Villa Bernasconi a Cernobbio. Un villino liberty tra nuove riletture e ipotesi attributive


andrea.sorze@studio.unibo.it
DOI: 10.7431/RIV30102024

Pur rappresentando il museo più importante di Cernobbio1 e uno dei massimi esempi di architettura liberty in provincia di Como, i punti interrogativi, causati dalla scarsità documentaria2, che ruotano attorno a Villa Bernasconi, sono ancora molti e la circoscritta bibliografia sull’argomento3 – risalente per lo più alla prima metà degli anni ’80 – ancora non è riuscita adeguatamente a scioglierli4.

Villa Bernasconi (Fig. 1) è un villino in stile liberty realizzato da Alfredo Campanini5 nei primissimi anni del Novecento per l’ingegnere e impresario del tessile Davide Bernasconi6 è collocato all’ingresso di Cernobbio, nella zona sud, deputata alle Tessiture Seriche Bernasconi7. Uno dei nodi principali riguardo l’argomento, ovvero l’autorialità dell’opera, è stato sciolto dalle ricerche di Gilda Grigioni: per anni la villa era unanimemente attribuita a Giuseppe Sommaruga, salvo poi essere ricondotta dalla studiosa al catalogo di Alfredo Campanini sia su base stilistica che documentaria, nonché grazie ad un giornale dei primi del Novecento che la riferisce proprio all’architetto reggiano8. Uno dei motivi che avvalora giustamente questa tesi sarebbe da ricercare soprattutto nelle affinità stilistiche della villa di Cernobbio con la celebre Casa Campanini in via Bellini 11 a Milano9, essendo quasi una sua sovrapposizione, tanto che è possibile supporre l’impiego degli stessi disegni in alcuni punti.

Proprio la datazione sembrerebbe essere un altro dei punti non particolarmente chiari: il cantiere di Casa Campanini, attivo con certezza dal 1904 al 1906, supporterebbe la tesi che vuole Villa Bernasconi costruita nello stesso range cronologico, quindi esattamente in concomitanza con la dimora milanese. Nei documenti del catasto di Cernobbio la casa dell’ingegner Bernasconi compare solo nel 1909, ma secondo le fonti risulta esser abitata almeno dal 190610, come confermato da un articolo comparso su un quotidiano comasco nello stesso anno11. In assenza di un preciso documento che possa attestarne l’inizio o la fine dei lavori con maggior precisione, ci si deve basare unicamente sul termine ante quem del 1906 e un possibile post quem da fissare al 1902, anno dell’Esposizione internazionale d’arte decorativa moderna di Torino. Dopo un’interessante fase ottocentesca, segnata da un eclettismo connotato da un neocinquecentismo solenne per gli edifici di rappresentanza e dal neogotico per le abitazioni private, il Liberty si diffonde tardivamente nel comasco a partire dall’anno dell’esposizione torinese, quindi ad un’altezza cronologica molto alta, considerando che va scemando già dopo il 190512. In questo contesto si segnalano diversi edifici che meriterebbero di essere maggiormente accostati al villino di Cernobbio in un’indagine basata sullo stile, come Villa Chiara a Brunate, che riprende la villa di Palermo realizzata da Ernesto Basile per i Florio, e Villa Buzzoni Carini di Perledo, influenzata dai padiglioni dell’esposizione torinese, cui poi si devono accostare gli edifici proprio di Giuseppe Sommaruga13 a Sarnico e di Giuseppe Faccanoni, subito successivi14. In seguito, dopo il 1906, il Liberty abbandonerà i florealismi vistosi, andando a parare nelle correnti austro-tedesche che in tali abitazioni private traghetteranno verso lo stile Secessione15.

I caratteri stilistici sono una peculiarità di Villa Bernasconi e, se è vero che alcune tangenze sono riscontrabili con Casa Campanini, come sottolineato da molti studiosi in questi anni, allo stesso tempo è altrettanto vero – e su questo punto gli studi non si sono mai adeguatamente concentrati – che l’edificio sembrerebbe distaccarsi da quest’ultima sotto svariati punti di vista. Secondo chi scrive, ciò potrebbe indicare un’indiretta partecipazione dell’ingegner Bernasconi al progetto, attraverso una serie di richieste mirate che andrebbero ricercate in due precisi punti dell’edificio: le decorazioni rappresentanti il ciclo di vita del bombyx mori, un unicum a livello mondiale, e la leggerezza estetica, resa possibile da una maggior disponibilità di spazio dettata dal differente sito di edificazione della villa di Cernobbio. La residenza milanese era infatti un palazzo di città, vincolato da un piano urbanistico; Villa Bernasconi era un villino costruito nella periferia di quello che era – e che continua ad essere – un piccolo borgo confinante con Como16. Anche se in questo contesto il decoro continua a mantenere la sua importanza, aspetto basilare è la funzionalità della distribuzione, enfatizzata dalle riviste di quegli anni, proprio in un periodo storico dove i villini diventano a tutti gli effetti – come in questo caso – prime case. L’edificio, grazie alle sue forme, prende le distanze dalla linearità geometrica dell’impianto creativo, conferendo un effetto di “preziosità contenuta” dove la tradizionale struttura scatolare è resa più vivace dagli elementi decorativi, che contribuiscono a spezzare le linee, nonché dal gioco delle aperture e delle masse murarie, dove l’ossessività per la simmetria, tipica del mondo accademico, viene qui rinnegata grazie alla scomposizione della struttura in più masse e volumi, aspetto per l’appunto reso possibile dal sito su cui sorge l’edificio, ulteriormente accentuato dalla bow-window di suggestione internazionale – precisamente franco-belga – e da una torretta17, presente anche nell’edificio milanese, ma spogliata in entrambi i casi della sua funzione arcaica per assumere i connotati moderni18. In tutto ciò, una possibile relazione mai adeguatamente sottolineata negli studi precedenti, ma meritevole di attenzione, è quella con Villa Erba, l’edificio sul Lario posto esattamente dinanzi Villa Bernasconi, costruito pochi anni prima dagli architetti Gian Battista Borsani e Angelo Savoldi19 secondo un gusto manieristico alessiano20, dal quale è difficile che Davide Bernasconi e Alfredo Campanini non abbiamo attinto, forse anche per quanto riguarda alcune maestranze specializzate (di Alessandro Mazzucotelli sono i ferri battuti sia di Villa Bernasconi che di Villa Erba21), pur prendendone categoricamente le distanze: Villa Bernasconi rappresenta infatti la residenza della nuova borghesia che, politicamente e intellettualmente, sente il bisogno di allontanarsi dall’architettura precedente22.

L’aspetto forse più interessante di Villa Bernasconi risulta l’apparato decorativo, sia esterno – uno dei saggi più coerenti di prevaricazione delle decorazioni sulla struttura in territorio lariano – che interno, dove però l’analisi stilistica è resa oggi complicata dal susseguirsi delle destinazioni d’uso dello stabile, che ne hanno reso difficile la leggibilità23. Il Campanini, come è riscontrabile in generale per la sua produzione, utilizza qui vari materiali per le decorazioni esterne: il cemento modellato, il cotto, le ceramiche dipinte, il vetro colorato e il ferro battuto, il tutto installato in una pianta libera tipica del Liberty, con volumi che si articolano in alzato (Figg. 23456). È forte la sinergia che si crea tra le decorazioni floreali che debordano e le decorazioni geometriche. Esternamente l’architetto riesce a fondere il suo spumeggiante repertorio decorativo costituito da sezioni affrescate, cementi plastici, vetri policromi e stuccature, nonché da una particolare attenzione ai ferri battuti (Figg. 78), che vedono in Alessandro Mazzucotelli24, probabilmente il più importante artigiano del ferro in quegli anni, un suo fidato collaboratore25. Osservando l’edificio è possibile riscontrare quanto siano state utili per l’architetto le lezioni di Camillo Boito e Giuseppe Sommaruga, pur riuscendo ad elaborare un personale linguaggio connotato da freschezza e originalità, in cui va ricercata anche un’influenza del mondo delle stoffe e della carta da parati26, nonché un richiamo proprio alla seta comasca con cui il Bernasconi aveva trovato fortuna27.

Come spiegato, pur in assenza di documenti di inizio e fine dei lavori, è ormai certa l’autografia di Campanini e la datazione tra il 1904 (il punto interrogativo principale sulla data riguarda proprio l’inizio del cantiere) e il 1906. Ancora in attesa di attribuzione e di un attento studio è invece l’apparato decorativo della villa, dove sono ancora incerti e scivolosi i tentativi di assegnare ai vari lavori dei nomi attendibili. Mentre sembrerebbe altamente probabile l’ipotesi di Margherita Cavenago28 di attribuire le ceramiche alla Società Ceramica Richard Ginori29, data la qualità e la notorietà della ditta e considerando la loro presenza all’Esposizione Voltiana di Como del 1899, tutt’altro che semplice è il tentativo di identificare coloro che hanno realizzato le sculture esterne rappresentanti il ciclo vitale dei bachi da seta. Solitamente la stagione del cemento artistico30 viene fatta coincidere con la celere diffusione, e ricaduta, del Liberty nell’architettura europea31, e sembrerebbe opportuno circoscrivere la realizzazione dell’apparato scultoreo degli esterni di Villa Bernasconi alle ditte milanesi che fiorirono in quegli anni. In questo vivace panorama di maestranze specializzate, quasi tutte destinate ad una repentina chiusura con lo scemare dello Stile floreale, in assenza di documentazione archivistica risulta impossibile individuare con certezza coloro che lavorarono a Cernobbio ma, in via ipotetica, sembrerebbe possibile chiamare in causa il nome della Società Italiana Chini per l’industria del cemento, gesso e stucco di Milano32. Gli indizi che porterebbero a questo nome sono molteplici: in primis andrebbe considerato il ferreo rapporto tra la ditta milanese e l’architetto reggiano, in quegli anni legati nella realizzazione proprio di Casa Campanini, e in secondo luogo andrebbe preso in considerazione anche un fattore di vicinanza territoriale. Se è vero che la ditta di Giovanni Chini aveva allora sede a Milano, è altrettanto vero che soprattutto in quegli anni essa si stava espandendo aprendo alcune filiali, una di queste nella vicinissima Lugano, a pochi chilometri da Villa Bernasconi. Un altro elemento che avvalorerebbe questa ipotesi è da individuare nella complessità dell’esecuzione, in particolar modo dell’interessante soggetto del villino cernobbiese33. Il cemento è infatti un materiale contradditorio, parla il linguaggio del futuro ma con un uso in campo artistico legato al passato. La sua lavorazione non sempre si legava a buoni risultati, anche in relazione al fatto che il modello da seguire era il più delle volte fornito dall’architetto34, non dallo scultore, una difficoltà che portava per lo più ad un impiego che limitava la figura a tutto tondo, di difficile realizzazione35. Tale complessità avvalora l’accostamento delle decorazioni scultoree esterne di Villa Bernasconi con alcuni dei più importanti lavori realizzati dalla Chini a Milano, come le decorazioni di Casa Agostoni e di Casa Battaini, realizzate tra il 1907 e il 1908 dall’architetto Alfredo Menni, nonché Palazzo Berri Meregalli, completato dall’architetto Giulio Ulisse Arata nel 191336. Come intelligentemente sottolineato già all’epoca da alcune riviste specializzate37, l’attenzione per i primi due edifici fu posta in particolare sulla sottile ironia delle sculture realizzate per Giulio Ulisse Arata dalla ditta Chini, in collaborazione con lo scultore Egidio Boninsegna: questa collaborazione tra architetto, ditta specializzata e scultore, presente anche in Casa Campanini (dove alla Chini e ad Alfredo Campanini si era affiancato l’artista Michele Vedani38), potrebbe aprire all’ipotesi che anche per il villino di Cernobbio sia stato coinvolto uno scultore in collaborazione, presumibilmente di area milanese39, forse lo stesso Vedani, anche se questa ipotesi striderebbe con le numerose dissomiglianze stilistiche che differenziano l’edificio comasco con il palazzo di via Bellini 1140, motivo per cui sarebbe più attendibile l’ipotesi di una possibile collaborazione con Donato Barcaglia, scultore pavese molto attivo in quegli anni a Milano e sul Lago di Como, che nel 1927 realizzerà la scultura funebre per la tomba dell’ingegner Davide Bernasconi41.

Un altro punto su cui potrebbe risultare azzardato un tentativo di attribuzione, in assenza di documentazione archivistica, sono le decorazioni pittoriche esterne (per quel poco che rimane) ma soprattutto interne. Quasi certamente, i disegni furono forniti direttamente dal Campanini e a riprova di questa idea si citano alcuni fogli presentati come bozzetti preparatori per la casa milanese alle mostre Milano 70/70 del Poldi Pezzoli e alla Mostra del liberty italiano del 1973 alla Permanente, ma brillantemente ricondotti negli anni successivi da Gilda Grigioni all’opera in questione42. È possibile che come decoratori furono chiamati in causa pittori quali Angelo Lorenzoli, Ernesto Fontana o Angiolo D’Andrea, pochi anni prima impegnati nella vicina Villa Erba, un’ipotesi ad oggi mai presa in considerazione ma certamente da non scartare, soprattutto se si pensa che i ferri battuti di Villa Bernasconi sono quasi sicuramente opera dello stesso artigiano attivo per la dimora di Luigi Erba, il sopracitato Alessandro Mazzucotelli, che nei medesimi anni realizzerà quelli per Casa Campanini a Milano. I lavori in ferro battuto dell’edificio sono riconducibili su base stilistica alla mano del principale artigiano italiano del settore e, attraverso un’analisi del suo repertorio, essi permettono di ricavare informazioni utili a confermare la datazione dell’edificio stesso; infatti, i ferri battuti di Villa Bernasconi sembrerebbero perfettamente in linea con quelli di altri edifici a cui il Mazzucotelli era intervenuto in quegli anni: in particolar modo è evidente il parallelismo tra le ringhiere di Casa Ferrario in via Spadari a Milano, edificata tra il 1903 e il 1905, con le inferriate interne del villino cernobbiese. Quest’ultime appaiono in analogia con i ferri di Casa Maffei, anch’essa costruita a Milano intorno al 1905, e con i cancelli esterni della casa d’abitazione in via Pisacane 22 a Milano, realizzata nel 1904 e la cui attribuzione all’artista non è certa, ma assai probabile anche considerando il fatto che ricordano molto quelli della casa del Bernasconi. Inoltre, lo scalone interno di Casa Campanini si mostra in linea con quello di Villa Bernasconi43, entrambi testimoni di una fase della carriera dell’artista in cui gli inserti vegetali lasciano sempre più il posto ad elementi di ferro battuto realizzati con intrecci filiformi, che si dipartono da nuclei fitomorfi su un’intelaiatura molto distante dal dato naturale presente all’esterno, peraltro assai dissomiglianti da quelli visibili nelle opere del Sommaruga, architetto a cui era stata per anni assegnata la villa. Una vicinanza, quella con Casa Campanini, evidente anche nelle vetrate colorate montate con la tecnica del filo di piombo (Figg. 910), molto simili pur non corrispondenti allo stesso cartone.

Se la pavimentazione (Fig. 11) può essere attribuita su base stilistica all’azienda dei fratelli Zari di Bovisio Masciago, lampante è il confronto con quella della sala da ballo del Museo Stibbert di Firenze44; è invece quasi impossibile qualsiasi tentativo di ricostruzione degli arredi45, quasi del tutto persi negli anni. Si può supporre che i mobili fossero stati progettati, in linea con gli interni e gli esterni dell’edificio, se non direttamente dall’architetto Campanini quantomeno partendo dalle sue indicazioni. L’idea avanzata in passato, secondo cui i mobili potessero esser firmati da Henry van de Velde o da Georges Serrurier-Bovy46 è priva di fondamento, così come quella di un arredamento dai motivi floreali simili a quelli realizzati in quegli anni dall’ebanista Quarti, oggi visibili in Collezione Carosio a Baveno. Più facile che l’architetto si sia servito di una delle importanti manifatture di Cantù – città del mobile per antonomasia in Lombardia – che pochi anni prima, nel 1899, avevano partecipato all’Esposizione Voltiana. L’idea sarebbe ulteriormente avvalorata dal fatto che Campanini, attivo per lo più a Milano, aveva importanti contatti con la città canturina, per la quale era stato incaricato di restaurare la chiesa medievale di San Teodoro47, dal punto di vista amministrativo sotto la Provincia di Como, ma ecclesiasticamente Diocesi di Milano.

  1. Il museo di Villa Bernasconi “la casa che parla”, inaugurato dal Comune di Cernobbio nel 2017 è aperto e visitabile tutto l’anno. Info su www.villabernasconi.eu.[]
  2. L’archivio della famiglia Bernasconi è andato totalmente distrutto e in quello del Comune di Cernobbio non sono presenti i disegni originali dell’edificio.[]
  3. L’ultimo importante lavoro è stato pubblicato nel 2007 per Nodo Libri (Cernobbio. Villa Bernasconi. Storia e restauro, Como 2007), di cui va sottolineato soprattutto il saggio in apertura di Gilda Grigioni (G. Grigioni, Una villa alla moda per l’industriale della seta, pp. 5-36).[]
  4. Soprattutto gli autorevoli e attenti studi di Rossana Bossaglia e Gilda Grigioni.[]
  5. Alfredo Campanini, nato a Gattatico di Praticello (provincia di Reggio Emilia) nel 1873, si forma prima a Parma, per poi spostarsi nel 1891 a Milano, dove completa gli studi presso l’Accademia di Brera diplomandosi in Architettura nel 1896. Nel capoluogo lombardo è attivo a partire dagli ultimissimi anni dell’Ottocento, dove ottiene subito una certa fortuna realizzando alcuni dei primi edifici liberty, per poi passare ad un eclettismo che sfocerà nel Neobarocco. In area comasca si segnala il restauro di San Teodoro a Cantù e il progetto mai realizzato per un ampliamento di San Paolo (sempre a Cantù). Muore prematuramente nel 1926 a Milano. La sua fase più fortunata è certamente quella liberty, che indicativamente va dal 1902, anno della realizzazione di Casa Tornamienti in via Petrella 14 a Milano, al 1908, quando completa Casa Campanini in corso Monforte 32, sempre nella città meneghina, edificio che segna un passaggio tra il Liberty e il Neorococò, che caratterizzerà la sua produzione tarda. Per un approfondimento: G. Paterlini, La vita e le opere di Alfredo Campanini, Bologna 1991 e M. Cavenago, Alfredo Campanini (1873-1926). Un protagonista del Liberty italiano, tesi di laurea (relatore Luca Quattrocchi, controrelatore Rossana Bossaglia), Università degli Studi di Siena (corso di Laurea in Lettere), anno accademico 2003-2004.[]
  6. Villa Bernasconi viene costruita in seguito alla donazione della casa padronale al figlio Leopoldo Bernasconi, casa che oggi comprende gli uffici del Comune di Cernobbio. Sulla figura dell’ingegnere Davide Bernasconi (1849-1922) si rimanda a G. Savioni, Cernobbio. Le famiglie e i personaggi illustri, Cernobbio 2008, pp. 135-143 e I. Fossati, V. Daviddi, Cernobbio. «picciola terra…», Como 1989, pp. 95-101.[]
  7. Per la precisione, in quegli anni, grazie alla costante crescita dell’azienda, l’attività si costituisce sotto il nome di “Società Anonima Tessiture Seriche Bernasconi”, con un capitale sociale di 4.600.000 lire, iniziando un’ulteriore espansione oltre Cernobbio con l’introduzione della tintoria nel 1908.[]
  8. G. Grigioni, Villa Bernasconi a Cernobbio, in Arte, letteratura, società. La provincia di Como dal 1861 al 1914, a cura di L. Caramel, Milano 1984, p. 279.[]
  9. Per una bibliografia orientativa si rimanda a: A. Lanza, Milano e i suoi palazzi: Porta Orientale, Romana e Ticinese, Milano 1993, p. 55.[]
  10. G. Grigioni, Villa Bernasconi…, 1984, pp. 279, 283.[]
  11. Articolo anche utile a confermare la paternità del Campanini: N. Maco, Cernobbio, le sue ville e le sue industrie, in «La Provincia di Como illustrata», 1906, p. 325.[]
  12. Per un approfondimento sul Liberty in Lombardia e nel Ticino si rimanda a: Il Liberty Italiano e Ticinese, catalogo della mostra (Lugano e Campione d’Italia, 1981), a cura della Quadriennale Nazionale d’Arte di Roma, Roma 1981.[]
  13. La cultura architettonica ottocentesca intorno ai laghi ha le sue caratteristiche peculiari che vanno cercate soprattutto nell’architettura di vacanza, villa e grande albergo, segnata in Lombardia dal consolidarsi della borghesia industriale. Nel comasco, ma soprattutto nel varesotto, importantissimo fu il lavoro di Giuseppe Sommaruga. R. Bossaglia, Architetture fra eclettismo e liberty sul Lario e in provincia di Como, in Arte, letteratura, società…, 1984, p. 198.[]
  14. R. Bossaglia, Architetture fra eclettismo…, 1984, pp. 200-203.[]
  15. R. Bossaglia, Architetture fra eclettismo…, 1984, p. 204.[]
  16. Come giustamente sottolineato da G. Grigioni, Ville e nuova committenza, in L’idea del lago. Un paesaggio ridefinito: 1861/1914, catalogo della mostra (Como, 1984), a cura di L. Caramel e L. Patetta, Milano 1984, p. 99, Villa Bernasconi si trova sul versante più soleggiato e lussuoso del Lario, pur essendo collocata nella zona industriale di Cernobbio e non affacciando direttamente sull’acqua: questa scelta di non inserire la villa direttamente in una zona paesaggisticamente affascinante dev’essere letta, secondo Margherita Cavenago (M. Cavenago, Alfredo Campanini…, 2003-2004, pp. 81-82), nell’ottica che il villino è considerato nell’ambito dell’edilizia residenziale e fa parte di un complesso industriale, da qui la sensibilità nell’evitare di deturpare il paesaggio.[]
  17. L’ultimo intervento di restauro, conclusosi nel 2023, ha recuperato le decorazioni pittoriche della Torretta (oltre che dei soffitti di alcune stanze dell’edificio), restituendo così nuove informazioni sull’organizzazione degli spazi e sui decori interni.[]
  18. Per un approfondimento generale sul Liberty, in cui viene citata anche Villa Bernasconi (pp. 34, 68), si rimanda a Italian Liberty. Una nuova stagione dell’Art nouveau, a cura di A. Speziali, Forlì 2015.[]
  19. Ennesima prova che confermerebbe la cultura prettamente milanese dell’edificio.[]
  20. Villa Erba, commissionata nel 1892 da Luigi Erba, internamente è segnata da una decorazione molto varia, contraddistinta dal Barocco lombardo, dal Francese Luigi XIII e dal Primo Impero. Nell’edificio si possono riscontrare delle sfumature vagamente liberty grazie all’accostamento di vari materiali, anche se i singoli elementi sono ancora del repertorio manierista. G. Grigioni, Ville e nuova committenza…, 1984, pp. 104-105 e I. Fossati, V. Daviddi, Cernobbio…, 1989, pp. 246-251.[]
  21. M. Cavenago, Alfredo Campanini…, 2003-2004, pp. 83-84.[]
  22. Per un discorso più generale sulle trasformazioni urbanistiche e architettoniche, nonché culturali, della provincia di Como in quel periodo si rimanda a L’idea del lago…, 1984.[]
  23. Dopo la morte di Davide Bernasconi l’edificio passa ai figli Leopoldo, Elisa, Adele e Maria, verrà poi venduta nel 1955 alla Società Anonima C.E.T. con sede a Como, che diventerà l’anno successivo Società Autovie Lariane Valle Intelvi e affittata in parte allo Stato italiano che vi insediò la Guardia di Finanza e, negli anni ’80, al Consorzio Provinciale Trasporti di Como. La villa verrà acquistata solo nel 1989 dal Comune di Cernobbio e dopo un lungo restauro, durato fino al 1999, verrà destinata a diversi usi prima di diventare una sede museale nel 2000. L’edificio è stato ristrutturato dallo Studio Tagliabue di Cantù. C. Taibez, Da privato a pubblico: il lungo percorso verso la fruizione, in Cernobbio…, 1989, pp. 39-41.[]
  24. Alessandro Mazzucotelli, nato a Lodi il 30 dicembre 1865, si avvia presto al mestiere di “fabbro ornamentista”, come egli stesso si definì, presso la Defendente Oriani in via Aldo Manuzio a Milano, che rileverà nel 1891. Dopo una fiorente attività ricca di commissioni, la sua fama assumerà definitivamente importanza grazie al successo ottenuto all’Esposizione di Torino del 1902. Morirà a Milano il 29 gennaio 1938. Per un approfondimento sull’artista si rimanda a R. Bossaglia, A. Hammacher, Mazzucotelli. L’artista italiano del ferro battuto liberty, Milano 1971 (in particolare per la biografia si veda p. 118).[]
  25. L’opera sembrerebbe inoltre risentire dei dettami teorizzati da Vittorio Pica pochi anni prima, si veda: V. Pica, Gli edifici dell’Esposizione, in L’arte decorativa all’Esposizione di Torino del 1902, Bergamo 1903.[]
  26. In questo caso, Eleonora Bairati e Daniele Riva (E. Bairati, D. Riva, Il liberty in Italia, Roma-Bari 1985, p. 42) portano avanti l’idea che una possibile influenza sia potuta arrivare dai lavori di Lovatelli e di Behrens, ma secondo chi scrive gli accostamenti per Villa Bernasconi sono forzati.[]
  27. È possibile che una certa influenza sia da ricercare nel tessuto Liberty (costituito da una seta leggera stampata, lucida al diritto e opaca al rovescio), esposto in diversi esemplari dal Bernasconi nel padiglione dei tessuti all’Esposizione di Milano del 1906, come riportato da Luigi Massuero (L. Massuero, Esposizione di Milano a volo d’uccello, in «La provincia di Como illustrata», 1906, p. 202).[]
  28. M. Cavenago, Alfredo Campanini…, 2023-2024, p. 87.[]
  29. Per un approfondimento si veda: Mirabile industria. La società ceramica Richard-Ginori dal 1896 al 1972, Pistoia 2020.[]
  30. Per un approfondimento sul cemento artistico, in particolar modo per la sua conservazione e il restauro, si rimanda a L. Baldazzi, Problemi di diagnostica e restauro dei materiali decorativi nell’architettura liberty in Emilia-Romagna, tesi di dottorato (relatore Elisa Franzoni; correlatori Stefania Manzi, Franco Sandrolini), Alma Mater Studiorum – Università di Bologna (dottorato di ricerca in Ingegneria dei materiali, XXIV ciclo), 2012.[]
  31. Pur nascendo già a metà Ottocento, è soprattutto nell’ultimo ventennio del XIX secolo che il cemento subirà un boom di impieghi. Dal punto di vista estetico-artistico, in Italia, esso sarà un materiale lungamente osteggiato a causa del tentativo di mimesi con materiali nobili, ma chi sceglie di staccarsi dalla tradizione trova nel cemento un’importante risorsa. C. Colombo, La stagione del cemento artistico a Milano, 1900-1915, in Costruire in Lombardia. Edilizia residenziale 1880-1980, a cura di O. Selvafolta, Milano 1985, p. 61.[]
  32. Fondata sul finire dell’Ottocento da Giovanni Chini a Milano risulta una delle più fortunate del panorama italiano. Molto importante già nei primi anni del Novecento, conseguendo il Gran premio di arte decorativa all’Esposizione di Roma nel 1900 e a Genova nel 1901, realizzerà circa duecento lavori a Milano e numerosi altri in Lombardia. C. Colombo, La stagione del cemento…, 1985, p. 63.[]
  33. Perfettamente accostabili sono le parole di Paolo Saccarelli: «Non è solo il fiore che è preso a prestito, ma tutti i fenomeni naturali; tutto è messo in contribuzione, la fauna e la flora e i fossili; le pinne di un pesce, addome di un insetto, la sezione di un ossicino, le fibre di legname, il seme di un frutto, l’ovario di un fiore, le sezioni microscopiche di rocce, di marmi, la valva di una conchiglia. I fenomeni naturali […] vengono studiati con intelletto d’amore e pazientemente ridotti e stilizzati». P. Saccarelli, [senza titolo], in «Il Monitore Tecnico», VII, 1902, p. 244.[]
  34. In questo contesto la figura dell’architetto riunisce in sé tutte le funzioni, dalla realizzazione dell’edificio alla sua decorazione, ma spesso è scissa dal professionista specializzato, e non si sobbarca le difficoltà delle realizzazioni, se non in pochi casi specifici. C. Colombo, La stagione del cemento artistico cit., in Costruire in Lombardia…, 1985, pp. 61, 69.[]
  35. Costruire in Lombardia…, 1985, p. 68.[]
  36. Costruire in Lombardia…, 1985, pp. 69, 72.[]
  37. Si rimanda a Casa Agostoni in via Ariosto, in «L’Edilizia moderna», XX, 1911, p. 3 e Casa Battaini in via Telesio, in «L’Edilizia moderna», XIX, 1910, p. 3.[]
  38. Come rinvenuto in una lettera da Rossana Bossaglia: R. Bossaglia, Liberty e deco. Ricerche, in «BolaffiArte Antiquariato», n. I, 1978, p. 3.[]
  39. A Milano, la fase liberty è segnata da scultori con una formazione prettamente tardo-impressionista, con venature di verismo. Per ulteriori approfondimenti si rimanda a V. Terraroli, La scultura monumentale a Milano in età liberty: il caso del Cimitero Monumentale, in Il Liberty a Milano, a cura di R. Bossaglia e V. Terraroli, Milano 2003, pp. 61-85.[]
  40. Aspetto sottolineato già da G. Grigioni, Villa Bernasconi…, 1984, pp. 283-284.[]
  41. G. Grigioni, Villa Bernasconi…, 1984, pp. 279-280.[]
  42. G. Grigioni, Villa Bernasconi…, 1984, pp. 281-282.[]
  43. È importante citare la quasi totale sovrapponibilità della ringhiera dell’ingresso secondario dell’abitazione dei Bernasconi con quella del cortile interno dell’edificio di Milano.[]
  44. Si veda M. Becattini, Villa Stibbert. Decorazioni di interni e architettura, Livorno 2014, p. 58. Ringrazio il Professor Enrico Colle per la gentile segnalazione, nonché per i numerosi consigli e suggerimenti.[]
  45. Per un approfondimento sul mobile liberty si veda: A. V. Vaccari, Dentro il mobile. Il mobile d’epoca dal gotico al liberty, Milano 1992.[]
  46. M. Cavenago, Alfredo Campanini…, 2023-2024, p. 90.[]
  47. G. Grigioni, Villa Bernasconi…, 1984, p. 282.[]