Elisa Emaldi – Giovanni Gardini

“Un pastorale, et una mitria antichissimi”. Due ‘tesori’ di sant’Apollinare dal monastero camaldolese al Museo Nazionale di Ravenna

elisa.emaldi@cultura.gov.it – giovanni.gardini4@unibo.it
DOI: 10.7431/RIV30012024

Apollinare di Antiochia è secondo la tradizione il fondatore e primo vescovo della Chiesa di Ravenna. Martirizzato verso la fine del II secolo, conobbe un culto assai precoce: la fonte più antica è costituita dal Sermone 128, un’omelia pronunciata da Pietro Crisologo (vescovo di Ravenna dal 426 al 450), che ricorda Apollinare come «l’unico che adornò questa Chiesa locale con l’eccelso nome del martirio»: lo definisce inoltre “buon pastore”, espressione che potrebbe aver ispirato la raffigurazione musiva della Basilica di Sant’Apollinare in Classe. Un altro importante documento relativo alla venerazione del Santo è costituito dal Martirologio Geronimiano del V secolo, che riporta la data liturgica del 23 luglio, mentre la Passio Sancti Apollinaris, che raccoglie narrazioni agiografiche dei miracoli, della sua missione e del martirio è, secondo la critica, databile tra il VI ed il VII secolo1.

Allo stesso VI secolo risale la celebre basilica di Sant’Apollinare in Classe, costruita nei pressi della sepoltura del santo, che era stato inumata in una delle necropoli poste fuori dalle mura dell’antica città di Classis, l’antico sbocco portuale della Ravenna romana; la basilica probabilmente sostituì una precedente costruzione martiriale, una “memoria” databile al V secolo. Nel XII secolo la chiesa e le dipendenze vennero concesse alla comunità camaldolese, che vi mantenne l’importante monastero, trasferendo però il cenobio in città in seguito alla Battaglia di Ravenna (1512)2.

La conservazione della tomba e del culto del santo patrono Apollinare fu dunque favorita per secoli oltre che dalla Curia arcivescovile anche dalla Congregazione monastica.

Come da prassi, molti furono gli oggetti che lungo i secoli vennero associati ad Apollinare e considerati alla stregua di reliquie degne di venerazione, in particolare per cura dei padri Camaldolesi. Il presente contributo intende concentrarsi su due di questi oggetti, già menzionati in un inventario datato 1636 nel quale, tra i manufatti presenti nella cella dell’abate presso il monastero camaldolese di Classe in città3, ricorda all’interno di un armadio4 «un pastorale, et una mitria antichissimi, li quali si dicono esser stati di S. Apollinare»5.

Il pastorale e la mitria rientrano in quell’insieme di insegne liturgiche e paramenti simbolicamente legati al ministero episcopale: non stupisce dunque che tra i vari oggetti considerati come reliquie del Santo protovescovo siano ricordate nel Sei e Settecento, oltre ai resti fisici (compreso un reliquiario a braccio custodito presso l’Eremo di Camaldoli), anche l’anello, la mitra, le chiroteche, la croce pettorale, il pastorale, sebbene nelle varie fonti tali cimeli non sempre siano elencati tutti insieme, né sempre siano identificabili chiaramente i luoghi effettivi della loro custodia6.

Così Girolamo Fabri li elenca tra le più insigni reliquie custodite nella chiesa abbaziale di San Romualdo presso il monastero camaldolese: «un pastorale d’osso bianco, e nero, che dicesi fusse del nostro Glorioso S. Apollinare, la Croce pettorale d’oro lavorata di smalto, i Guanti, l’anello con gemma cerulea, che sembra Zaffiro e la Mitra del medesimo Santo, Reliquie tutte preziosissime»7.

Lo studio di alcuni fogli databili ai primi decenni del XVIII secolo consente di meglio comprendere le vicende storiche dei due manufatti liturgici di origine medievale, una mitria ricamata e un bastone pastorale, oggi conservati presso il Museo Nazionale di Ravenna.

Agli inizi del XVIII secolo l’antiquario e connoisseur inglese John Talman (1677 – 1726)8, nel corso di uno dei suoi viaggi a Ravenna, registrò con disegni e schizzi, precisamente annotati secondo il suo metodo9, non solo i più rilevanti edifici sacri cristiani e gli arredi architettonici in essi contenuti, dalle colonne agli altari, ma anche paramenti e suppellettili preziose custoditi nelle sagrestie e nei tesori. Il repertorio di oggetti disegnati da Talman e dai suoi collaboratori, in parte propedeutico a un progetto mai realizzato su architetture e beni mobili del cattolicesimo romano10, è tanto più prezioso perché anticipa cronologicamente le gravi dispersioni di arredi liturgici avvenute in epoca giacobina.

Tra i manufatti che egli tratteggia a Ravenna11 vi sono i tesori custoditi nei grandi monasteri ravennati, quello dei Cassinesi di S. Vitale e quello dei Camaldolesi di Classe. In primis i notevoli tesori tessili «che sogliono attentamente contemplare quei Viaggiatori che si dilettano di riconoscere gli antichi Monumenti», come scrisse Beltrami12 a proposito delle quattro mitre di S. Vitale13, spazzate via dal vento della Rivoluzione. Lo stesso destino colpì il guanto episcopale dell’abbazia di Classe, presumibilmente in seta e filo d’oro, finemente lavorato e ricamato, con polsino decorato da stemma araldico e medaglione sul dorso raffigurante il Cristo in Pietà, nell’iconografia molto popolare agli inizi del Cinquecento, ulteriore elemento che rende plausibile una datazione al primo quarto del XVI secolo. Le osservazioni sul manufatto sono possibili unicamente grazie alle testimonianze grafiche realizzate o fatte realizzare da Talman, perché nessuna fonte scritta descrive l’aspetto della chiroteca (Fig. 1).

L’illustrazione più rilevante relativa al guanto è custodita presso il British Museum: un disegno acquerellato, firmato da Giuseppe Grisoni e datato 1719, che contiene in basso la frase «The Glove14 is of Knitt work» e in calce l’annotazione seguente:

«The Glove that St. Appollinaris used when He celebrated Mass: it is kept in the Vestry of y.e Abby of Classis belonging to the Camaldulese Monks in Ravenna:

on y.e back of y.e Glove is an Ecce Homo wrought in needle work & adorned w<ith> gold; the top is Stiffned & wrought with gold. Ioseph Grisoni delin: 1719».

Oltre ai preziosi cenni sulla tecnica, è ben specificato il luogo di conservazione del cimelio, ovvero la sagrestia dell’abbazia di Classe dei monaci Camaldolesi in Ravenna.

Per comprendere la genesi della tavola a colori, occorre consultare alcuni fogli di schizzi realizzati da Talman a Ravenna qualche anno prima e oggi conservati presso il Victoria & Albert Museum di Londra15.

Nel foglio E.241-1940 recto sono schizzati una serie di oggetti: un elemento cilindrico – una porzione del bastone pastorale esaminato di seguito – occupa la metà sinistra del foglio, mentre nell’altra metà è abbozzato in alto un guanto; nel quarto inferiore del foglio sono disegnati una mitria e il “pulpito del duomo”, così identificato insieme ad altri cenni, mentre nel disegno di sinistra vi sono molte annotazioni. Per tutti i manufatti sono riportate varie misure: per il guanto sono annotati il diametro di 2 pollici del medaglione centrale e l’altezza di 3 pollici del manichino terminato a punta. Vi è poi un tratto che unisce il disegno a sinistra raffigurante una parte del bastone pastorale al guanto: al centro della linea si legge «di S. Apoll.».

È pertanto chiaro che, agli inizi del Settecento, pastorale e guanto erano conservati in sagrestia e presentati ai fedeli come ai “viaggiatori” quali reliquie relative al Santo.

Il guanto è inoltre presente nel foglio E.108-1940 a sinistra, schizzato in piccole dimensioni: Talman vi tratteggia con accuratezza il medaglione centrale con il Cristo in pietà e ne annota i colori, così come fa per il manichino e lo stemma: colori e indicazioni saranno perfettamente rispettati nel disegno acquerellato di Grisoni. Al centro del foglio, a fianco dello schizzo del guanto e sviluppata per tutta l’altezza, è una delle infule della mitra; sul verso del foglio è illustrato con precisione un lato del copricapo ricamato, di cui la carta E.241-1940 più sopra citata conteneva lo schizzo con le misure annotate (Fig. 2).

La precisione pittorica e cromatica dedicata alla mitra fa ipotizzare che anche essa dovesse essere trasposta in una tavola acquerellata analoga a quella del guanto, che però non è presente nell’album del British Museum.

Il copricapo episcopale con ricami in oro e argento filato e sete policrome su tela di lino16, conservato presso il Museo nazionale di Ravenna e attualmente esposto, consente di verificare il livello di precisione del disegno di Talman. Egli ne traccia le decorazioni del lato anteriore, raffigurante l’incoronazione della Vergine, concentrandosi particolarmente sulla metà a sinistra del riguardante, dove è raffigurata Maria, indicando i pezzi ricamati e riportati. Anche il Redentore è illustrato con grande perizia pur nella velocità del tratto, ma Talman evita di replicare nella metà di destra gli elementi che si ripetono simmetricamente, come l’architettura ad archetti sotto la quale siedono i due personaggi (Fig. 3).

Le annotazioni riguardano, oltre ai colori, anche le cordonature rilevate ottenute con il filo d’argento, i grani di corallo e le minute perle che profilavano le aureole, oggi scomparse. Un confronto con l’attuale stato della mitria permette di considerare gli elementi perduti e ipotizzare un restauro successivo su questa notevole opera di manifattura francese, datata all’ultimo terzo del XIV secolo e ricamata con una tecnica affine a quella dell’opus anglicanum.

Anche la situazione illustrata nel disegno del pastorale, ascritto poi dagli studiosi al XIV secolo e attribuito a una manifattura italiana, appare in uno stato di conservazione migliore dell’attuale17.

Il dato più sorprendente riguarda però il fatto che nel disegno non sia raffigurata la voluta, o riccio. Gli studi moderni sul pastorale evidenziano la sua natura composita: il riccio in avorio potrebbe precedere il baculo di almeno un secolo, sebbene al momento non risulti possibile stabilirne con certezza l’ambito di produzione, attribuito in precedenza a un atelier di cultura arabo-sicula18 dell’Italia meridionale. Il riccio di pastorale più strettamente affine a livello iconografico19 sarebbe ad esso precedente, datandosi al XII secolo.

Il riccio ravennate è composto da voluta a un solo giro terminante con una testa di serpente rivolta verso l’esterno; l’Agnello regge un’asta, in origine sormontata da una croce a bracci patenti, oggi quasi totalmente scomparsa; altresì assenti sono gli elementi fogliacei che componevano, secondo modelli ben documentati20, il fastigio sul dorso esterno della voluta e dei quali restano gli ampi fori (Fig. 4).

Il tema figurativo dell’Agnus Dei, dominante nei pastorali con riccio istoriato dei secoli XII e XIII, non poteva non interessare Talman. Si può pertanto supporre che il riccio fosse stato da lui raffigurato in un altro foglio, poi perduto, o ancora più probabilmente che all’epoca del disegno il pastorale d’osso bianco e nero, così documentato anche nelle fonti – senza riferimento al riccio apicale e alla sua iconografia – fosse privo di tale elemento apicale, forse innestato in epoca successiva durante un “restauro”, forse quell’intervento ottocentesco nel quale potrebbero essere state aggiunte anche le iscrizioni gotiche volte a “caratterizzare in senso storico il pastorale”21.

Il bastone, realizzato in avorio e osso, legno di ebano e leccio con struttura interna in faggio, è composto di 17 cilindretti cavi assemblati tramite avvitamento, mentre l’ultimo segmento modanato funge da puntale di appoggio. La ricca ornamentazione, ottenuta con una gamma cromatica composta da pigmenti rossi e neri ravvivati dal giallo-oro, è oggi di difficile lettura a causa del deterioramento della pellicola pittorica e delle dorature. Spicca la sagoma di una mitria, ripetuta in più punti e circondata da motivi mutuati dal decorativismo arabo-siculo, con uccelli tra racemi e motivi vegetali dorati (Fig. 5).

Al tempo di Talman la perdita delle figure di santi realizzate con elementi dorati nei quattro trapezi sotto al nodo è già avvenuta e nel disegno egli indica lo stato di abrasione col termine “logorato”. L’alternanza cromatica dei motivi, forse all’epoca meglio leggibile, è riportata con la dicitura “come sopra, in fondo nero”; inoltre Talman registra la presenza ancora in opera di giunture in bronzo dorato tra i segmenti.

Gli accadimenti che hanno riguardato i manufatti a seguito delle soppressioni giacobine hanno causato, oltre a danni materiali (nel caso del bastone, lo smontaggio e la perdita degli elementi metallici), anche la perdita della ‘memoria’ relativa al legame con il Santo, che forse si conservò oralmente per un certo tempo o forse in documenti oggi perduti. Ancora nel 1874 David Farabulini22, in merito al pastorale d’osso bianco e nero che «oggidì si vede nel museo di Classe» ricorda: «dicesi fosse del nostro glorioso S. Apollinare».

Alcuni anni più tardi, nella compilazione dell’inventario del Regio Museo, che incorporò le raccolte civiche nelle quali erano confluite le collezioni camaldolesi all’indomani delle soppressioni23, le descrizioni dei due manufatti non fanno invece alcuna menzione del legame con la devozione verso Apollinare. Il fragile segno di grafite tracciato da Talman porta ora a ricollegare con rinnovata evidenza i frammenti di una storia ormai cancellata (Fig. 6).

  1. Per una bibliografia essenziale sulla figura di Apollinare e il culto cf. G. Lucchesi, Note agiografiche sui primi vescovi di Ravenna, Faenza 1941; M. Mazzotti, La basilica di Sant’Apollinare in Classe, Pontificio Istituto di archeologia cristiana, Città del Vaticano 1954; G. Orioli, Sant’Apollinare, isapostolo ed evangelizzatore di Ravenna. Le fonti antiche, in Mario Mazzotti (1907-1983). L’archivio, il cantiere archeologico, il territorio, Ravenna 2007, 53-64; P. Novara, La sepoltura di Apollinare. Tema di studio di mons. Mario Mazzotti, in Mario Mazzotti, op. cit., pp. 65-76; G. Gardini, Sant’Apollinare. La vita, le opere, il culto in Sant’Apollinare. Guida iconografica per il patrono di Ravenna, a cura di M. G. Marini, Ravenna 2014, pp. 15-19.[]
  2. G. Gardini, Reliquiario a braccio di Sant’Apollinare, in I Libri del Silenzio. Scrittura e spiritualità sulle tracce della storia dell’ordine camaldolese a Ravenna, dalle origini al XVI secolo, a cura C. Giuliani, Ravenna 2013, pp. 95-98.[]
  3. Cronologia, in Ravenna la Biblioteca Classense.1. La città, la cultura, la fabbrica, a cura di M. Dezzi Bardeschi, Casalecchio di Reno 1982, pp. 47-67.[]
  4. Un documento dell’Abbazia di Sant’ Apollinare in Classe informa che nel 1612 viene stanziata una somma per la realizzazione e la doratura di un tabernacolo, commissionato dai monaci, ove riporre la mitria, i guanti e il pastorale di Apollinare (ASRa, Corporazioni religiose, Abbazia di Sant’ Apollinare in Classe, vol. 409, c. 109).[]
  5. ASRa, Corporazioni religiose, Abbazia di Sant’Apollinare in Classe, vol. 244, c. 176.[]
  6. G. Gardini, «Un pastorale d’osso bianco, e nero». Una ‘reliquia’ di Sant’Apollinare al Museo Nazionale di Ravenna, in Fiori al Museo. Otto anni al Museo Nazionale di Ravenna (2015-2022), a cura di S. Ciliani, E. Emaldi, P. Novara, Ravenna 2023, pp. 19-24.[]
  7. G. Fabri, Le Sagre memorie di Ravenna antica, Venezia, per Francesco Valvasense, 1664, p. 325.[]
  8. Su John Talman si veda in particolare John Talman: An Early Eighteenth Century Connoisseur, a cura di C.M. Sicca, New Haven-London 2008.[]
  9. Cfr. il sito del progetto dell’Università di Pisa guidato da C.M. Sicca: http://talman.arte.unipi.it.[]
  10. A. Capitanio, C.M. Sicca, Viaggio nel rito. John Talman e la costruzione di un Museo Sacro Cartaceo, Firenze 2008.[]
  11. Una prima selezione si trova in G. Parry, The John Talman letter-book, «The Annual Volume of The Walpole Socie­ty», LIX (1997), pp. 3-179.[]
  12. F. Beltrami, Il forestiere instruito delle cose notabili della città di Ravenna, e suburbana della medesima, In Ravenna nella Stamperia Roveri, 1791, p. 128.[]
  13. Per le mitrie di S. Vitale si veda E. Emaldi, Paradise Regained. La mitra di Sant’Apollinare nel Museo Nazionale di Ravenna, in Fiori al Museo…, 2023, pp. 25-32.[]
  14. Nella documentazione di Talman il riferimento è sempre a un solo guanto, sebbene nelle fonti scritte vi sia menzione delle chiroteche al plurale.[]
  15. Un ringraziamento particolare a Sandy Jones, Assistant Curator, V&A South Kensington, per l’aiuto fornito durante la ricerca.[]
  16. L. Martini, Una mitra ricamata al Museo Nazionale di Ravenna, «QdS Quaderni della Soprintendenza per i Beni Ambientali e Architettonici di Ravenna», 1 (1995), pp. 47-51. Eadem, Cinquanta capolavori nel Museo Nazionale di Ravenna, Ravenna 1998, pp. 56-57.[]
  17. Avori bizantini e medievali nel Museo Nazionale di Ravenna, a cura di L. Martini, C. Rizzardi, Ravenna 1990, pp. 83-85, n. 14 [L. Martini] e pp. 123-132 [E. Cristoferi].[]
  18. Sul tema si veda G. Distefano, Le officinae arabo-sicule, in Avori medievali: collezioni del Museo civico d’arte antica di Torino, a cura di S. Castronovo, F. Crivello, M. Tomasi, Torino 2006, pp. 69-71; S. Armando, Caskets inside out: revisiting the classification of the ‘Siculo-Arabic’ ivories”, Journal of Transcultural Medieval Studies 4, 1-2 (2017), pp. 51-146.[]
  19. Inv.132/AV Palazzo Madama – Museo Civico d’Arte Antica di Palazzo Madama, Fondazione Torino Musei. Cfr. Avori medievali: collezioni… 2006, pp. 86-87, n. 6.[]
  20. D. Gaborit-Chopin, Ivoires du Moyen Âge. Fribourg 1978; M. Tomasi, Contributi allo studio della scultura eburnea trecentesca in Italia: Venezia, in «Annali della Scuola Normale Superiore di Pisa. Classe di Lettere e Filosofia», s. IV, 4 (1999 [2001]), pp. 231-237.[]
  21. L. Martini, in Avori bizantini…, 1990, p. 85.[]
  22. D. Farabulini, Storia della vita e del culto di s. Apollinare primo vescovo di Ravenna e apostolo dell’Emilia, pubblicata per la solennità del suo XVIII centenario. I. Parte storica, Roma 1874.[]
  23. Per notizie sulle raccolte antiche del monastero di Classe in Ravenna e la costituzione del Museo civico, poi nazionale, v. P. Novara, Le raccolte di antichità ed arte dei monaci camaldolesi di Classe in Città. Dal Museo Classense al Museo Nazionale di Ravenna in Museo Nazionale di Ravenna, il medagliere. Storia, collezioni, vetrine virtuali, a cura di E. Filippini, A. L. Morelli, S. Pennestrì, Notiziario del Portale Numismatico dello Stato 20, Roma 2024, pp. 23-46 con bibliografia precedente.[]