L’argentiere dell’ambasciatore e anche del Re. Da Marsiglia a Roma passando per Genova: il percorso di Francesco Genouvez (1688-1760)
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DOI: 10.7431/RIV29052024
Francesco Genouvez (Marsiglia, 1688-Roma, 1760) era francese, anche se il nome con cui divenne noto a Roma potrebbe trarre in inganno, ma ciò fu certamente dovuto alla frequente circostanza che molti artisti provenienti da quella regione della Francia ̶ la Provenza ̶ si recavano in Liguria, nella città di Genova in particolare, per le condizioni di lavoro e il mercato illuminato che offriva la capitale di quella repubblica. E, in effetti, l’argentiere marsigliese fu, con ogni probabilità, attivo anche nel capoluogo ligure, come sembrano indicare i fatti relativi ai primi tempi della sua vita romana e anche i contatti che, a un certo punto, intrattiene con i Durazzo.
Circostanza ancora più curiosa è che il suo nome fu italianizzato solo parzialmente. In effetti, “François” divenne rapidamente e in modo molto lineare “Francesco”, mentre “Genovese” no, dato che anche nell’elenco più importante degli orafi italiani, quello di Costantino Bulgari (successivamente aggiornato da Anna Bulgari Calissoni), l’argentiere marsigliese appare come “Genouvez”, cioè nella versione portoghese del suo nome1. Ancora più significativo è il fatto che l’argentiere stesso si firmasse “Genouvez”, come si constata da un pagamento del marzo del 1724 (Fig. 1) e anche nel documento pubblicato nel presente contributo (Appendice Documentaria).
Ciò indica, dal nostro punto di vista, il ruolo di rilievo assunto dalla committenza portoghese nella sua attività, o più precisamente, nei momenti iniziali dell’insediamento nel contesto romano e dell’affermazione dell’argentiere in quell’ambiente, certamente non facile per chi proveniva da uno Stato diverso (rispetto allo Stato Pontificio lo erano sia la Francia che la Repubblica di Genova).
Per Genouvez, infatti, non fu facile affermarsi nella città pontificia come argentiere: sebbene dal 1711 operasse come lavorante presso la bottega del fiammingo Michele Carlier (1665-1741), in via del Pellegrino (a sinistra uscendo dalla via dei Cappellari)2, passato a collaborare nella bottega dell’allora già scomparso Maestro Gottifredo dopo il matrimonio con Cecilia Burckardt (certamente imparentata con l’argentiere di Norimberga attivo anche lui a Roma, Giovanni Federico Burckardt, 1659-1726)3, il 28 agosto 1718 egli vede rinviata la richiesta di ammissione alle prove che gli avrebbero permesso di ottenere la patente e divenire così titolare di un marchio proprio4. E nulla sembra andare bene quando, l’11 dicembre dello stesso anno, gli viene comunicato non un nuovo rinvio ma un vero e proprio rifiuto di ammissione alle desiderate prove5. Il 9 gennaio dell’anno successivo, tuttavia, Genouvez fu ammesso alle prove. Dalle informazioni fornite da Bulgari possiamo dedurre che si trattava molto probabilmente di qualcosa di simile a una richiesta di riconoscimento, se non di una patente già ottenuta, quanto meno del merito di un’attività svolta per un certo periodo di tempo nella città di Genova. Infatti, da una comunicazione di Monsignor Spinola, uditore del Camerlengo dell’Università degli Orefici, datata 20 marzo 1719, risultava che era stata data decisione favorevole alla richiesta che gli fosse rilasciato il brevetto. Si notava però che: “La sentenza é accettata per quieto vivere purchè no costituisca un precedente pregiudizievole per l’Università.”6. Quattro giorni dopo, Genouvez, riconosciuto come argentiere patentato, compare già come responsabile della propria bottega, in via del Pellegrino, all’insegna delle Arme di Marsiglia, che corrispondono anche al suo marchio, essendo, curiosamente, identici a quelli di Repubblica di Genova, circostanza che giustifica l’identificazione del suo bollo come tale quando viene depositato presso il notaio (il 24 marzo 1719), che lo descrive come la Croce della Repubblica di Genova7 (Fig. 2).
Tuttavia, ben consapevole che il proprio prestigio e l’affermazione nell’ambiente romano richiedevano un formale riconoscimento da parte delle autorità che regolavano e governavano la sua attività professionale, Francesco Genouvez, l’8 giugno 17198, rinunciò alla sentenza del Camerlengo e fu ammesso alle prove all’unanimità. Dopo le prove si decide, un’altra volta all’unanimità, di spedirgli la patente (22 giugno 1719)9.
La rinuncia di Genouvez alla sentenza si trova nell’Archivio Storico di S. Eligio ed è meritevole di particolare attenzione, poiché rivela il ruolo svolto dall’Università degli Orefici quale regolatore dell’attività professionale degli orafi attivi nell’Urbe. Però, prima di concederle ulteriore attenzione sembra importante soffermarsi brevemente sulla storia e soprattutto sul funzionamento della corporazione degli orefici romani. Nata sotto l’invocazione di S. Eligio, l’associazione comprendeva inizialmente anche ferrari e sellari (pur costituendo tre distinti corpi d’arte con interessi chiaramente diversi), finché, il 26 giugno 1508, i suoi membri ottennero da papa Giulio II l’aprovazione alla riforma dei propri statuti10. Un gruppo di quarantadue maestri orafi (in parte romani, in parte stranieri, ma tutti al servizio della corte pontificia) ottenne così dalla Reverenda Camera Apostolica il nulla osta necessario alla creazione dell’Università degli Orefici, il 3 agosto 1509. Il governo dell’Arte fu affidato a quattro consoli, il primo dei quali era il camerlengo, la cui elezione avveniva il 25 giugno (festa di S. Eligio), rimanendo in carica per un periodo di un anno.
Il momento della raggiunta autonomia coincide con l’edificazione di una propria chiesa, sotto l’invocazione di S. Eligio, in via Giulia, vicino al Tevere. Ancora nel 1509 gli orefici romani ottennero l’erezione di una confraternita che, pur non avendo un proprio abito, aveva tuttavia come emblema l’effigie del santo vescovo francese, suo protettore11.
L’Università da un lato e le autorità dall’altro, hanno prodotto e tramandato nel corso dei secoli numerosi documenti, con carattere e funzioni diverse, ma tutti regolamentanti e/o chiarificatori riguardanti lo statuto e il funzionamento dell’attività orafa. Non tralasciando quelli cronologicamente più indietro12, dobbiamo fare riferimento, in questo contesto e per il periodo che ci interessa, soprattutto a quanto segue:
- Breve di Papa Clemente XI delli 5 ottobre 1720, e capitoli fatti tra i Maestri della Nobile Arte degli Orefice ed Argentieri di Roma ed i Giovanni Lavoranti 13;
- Bando Generale sopra quello, che deve osservarsi dagli Orefici, Argentieri, e da altri, che comprano, vendono, & in qualsivoglia modo maneggiano, e contrattano, Oro, & Argento in Roma, e nello Stato Ecclesiastico, de 173414;
- Nuovo Statuto del nobile collegio dell’Orefici ed Argentieri di Roma, confermato dalla Santità di Nostro Signore Clemente XII felicemente regnante, datato dal 1739 e datto alla stampa nel 174015.
Ciascuno di questi documenti fornisce informazioni rilevanti per una più efficace comprensione del funzionamento e dell’ambito di attività della corporazione orafa romana. Mentre il primo e il secondo si occupano principalmente di chiarire e regolamentare aspetti legati alla lavorazione e all’appalto dei metalli preziosi, il terzo, per sua natura, si presenta ricco di informazioni riguardanti l’organizzazione e il funzionamento dell’associazione stessa16.
Questa versione degli statuti degli orafi della città pontificia affronta anche un tema che interessa in modo particolare l’argomento del presente saggio: il modo in cui vengono ottenute le patenti, sia da parte degli argentieri romani che da quelli stranieri. Il nono capitolo, infatti, è dedicato al “Modo da Osservarsi nel promovere alla Patente Li Lavoratori, si Romani, che Forastieri”: dopo un accenno alla necessità per ogni candidato di conseguire la patente e di essere riconosciuto come uomo di onestà attestata dal magistrato locale, i restanti requisiti erano a priori: “debba provare aver fatto il fattorato in bottega di qualche Maestro al meno per quattro Anni, ed esser stato patentato dalla Congregazione de Lavoranti, ed essersi esercitato in tale stato almeno per trè Anni in Bottega di qualche Maestro se Romano, se poi sarà Forastiero debba provare, oltre L’esser stato ammesso dalla Congregazione de Lavoranti, aver Lavorato in Bottega de Maestri per Anni cinque ad effetto si possa avere qualche saggio della Sua abbilità, et integrità.” 17.
Soddisfatti questi requisiti, il candidato avrebbe dovuto poi presentarsi ai maestri e agli ufficiali dell’Arte degli orafi romani accompagnato dal maestro della bottega in cui aveva esercitato, e versare la somma di ventuno scudi al Camerlengo18.
Il candidato – romano o straniero, figlio di argentiere o meno – doveva poi sostenere delle prove, che consistevano nella realizzazione di un lavoro, che sarebbe poi stato apprezzato e valutato dal Camerlengo e dai consoli “per riconoscere se egualmente all’abilità dell’operare, abbia La peritia, e capacita di tutto cio, che conviene al suo mestiere, qual esame consista se il Pretendente è Gioieliere in farle stimare diverse pietre fine, e false, Ligate, e sciolte, e fargli toccare diverse qualità di oro per riconoscere com questi esperimenti La sua Capacità, se Argentiere se Li facciano ciappolare diverse sorti di Argenti, et interrogarlo sopra ddiverse fatture de Lavori concernenti al suo mestiere, a fine di riconoscerlo meritevole in passar Maestro (…).” 19.
I restanti capitoli degli statuti del 1740 sono dedicati ad aspetti diversi, ma tutti riguardanti l’esercizio del/dei mestiere/mestieri20, il comportamento all’interno della confraternita, compreso naturalmente il rispetto dovuto ai consoli, e la più generale osservanza delle norme21.
All’organizzazione degli orefici romani del Settecento corrispondeva un’identica e gerarchica organizzazione del lavoro nell’ambito di ciascuna bottega. Si riconosce l’esistenza di almeno un responsabile (principale), che doveva necessariamente essere un mastro (maestro), cioè un argentiere patentato, e di uno o più lavoranti, con maggiore o minore esperienza, e anche dei garzoni o fattori (cioè, i ragazzi di fatica), che non potevano diventare lavoranti se non con l’aprovazione dei consoli22. Questi erano gli elementi che potevano essere considerati la manodopera fissa; ad essi si aggiungevano occasionalmente altri elementi, la maggior parte dei quali dotati di competenze specifiche o specializzati in determinati compiti (come la modellazione, la fusione o la doratura), per sodisfare uno o più ordini. Come ben nota la Montagu: “Nor should one regard the shop as a stable entity. While there was most probably a core of workmen who remained in one master’s shop for all their working lives, some would have moved up to become masters in their own right. Others would have changed with greater or lesser frequency, following such demand as there may have been for the skills of which they could boast, or the distribution of commissions and the consequent need for labour (…).”23.
Torniamo quindi a Genouvez e alla sua rinuncia della sentenza del Camerlengo, visto che questa consente di capire meglio il processo del suo inserimento nella struttura organizzativa dell’attività professionale degli argentieri nella Roma del Settecento. In effetti, nel documento Genouvez sostiene la pretesa “di essere ammesso nella sudetta Vniuersità come sono ammessi gli altri della mia Professione, che sono Patentati, e tengono Bottega aperta”24 e per raggiungere tale obiettivo rinuncia al conflitto precedentemente aperto con l’Università, avendo compreso come ciò non avrebbe in alcun modo giovato al suo insediamento nella città pontificia. Avesse inteso svolgere un’attività professionale stabile e duratura avrebbe dovuto contare sull’accordo del regolatore di tale attività, nonché sul riconoscimento dei suoi pari, senza che vi fosse alcun sospetto di alcun vantaggio derivante da una situazione eccezionale. Non c’era quindi altra possibilità per lui che di rinunciare alle sue pretese precedenti e di seguire il percorso normale, al quale era obbligato ogni candidato alla patente di argentiere: “desiderando desistere da detta lite in tutto, e per tutto, e di entrare in essa Vniuersità nella forma solita come tutti gli altri”25.
Il percorso di Genouvez nel ruolo di argentiere attivo a Roma, si svolse poi senza ulteriori problemi, tanto da ricoprire la carica di Quarto Console tra il 1733 e il 1735. In quest’ultimo anno, il 29 giugno, Francesco Genouvez (detto argentiere “al Corso”, fatto che ci consente di dedurre che la sua attività non si svolgesse più nella bottega di via del Pellegrino), compare, insieme a Francesco De Martinis26, come creditore dell’eredità Gabrielli27.
La residenza e la bottega nel Corso rimasero tali durante il decennio successivo, precisamente fino al 1745, anno in cui Genouvez rinunciò alla patente, fatto di cui non si conoscono le ragioni che giustifichino tale decisione.
Tra il 1748 e il 1759 abitò, con la moglie, in via dei Condotti, nelle immediate vicinanze di Piazza di Spagna, come confermano gli Stati delle Anime. Nel 1750 Francesco vi abitava con la moglie e un figlio di nome Gioacchino (di cui non è indicata l’età) e un servitore con la moglie (Pietro Vaccarini e Giovanna Sciarpi)28. Il 2 dicembre 1760 è registrata la notizia della sua morte: “F. Genovesi argentiere da Marsiglia di anni 72, figlio di quondam Pietro vedovo della quondam Cecilia Boardi29… fu sepolto nella chiesa di Araceli.”30.
Come accennato, Francesco Genouvez svolse la sua attività a Roma, pur non sembrando rinunciare a mantenere qualche contatto con Genova e, in particolare, con la potente famiglia Durazzo. Così, pochi mesi dopo la concessione della patente, Genouvez ricevette, il 5 novembre 1719, un pagamento da parte di Giuseppe Maria Durazzo per “una gran posata da trinciare” e, il 17 gennaio 1720, viene individuato un nuovo pagamento, questa volta relativo a sei “tondini da chicchere di cioccolatte”31.
Non conosciamo il profilo della clientela romana di Genouvez e, fino a questo punto della nostra ricerca, le opere sopravvissute sembrano scarse. Oltre al servizio per scrittoio) già menzionato da Bulgari e da Bulgari Calissoni, recante camerale nº 89 e quindi databile al 1725-172732, siamo riusciti a localizzare solo un calice riferito all’argentiere marsigliese. In una chiesa del comune di Montefiascone (Viterbo, Lazio) si conserva un calice il cui marchio (individuato ma non pubblicato) è stato associato a Francesco Genouvez. Si tratta di un calice con “Piede a base mistilinea e bombata con decori a motivi stilizzati, foglie e perline, suddivisa in sezioni verticali. Collarino bombato. Nodo piriforme sagomato e decorato con motivi lineari ondulati e intrecciati. Sottocoppa dal profilo mistilineo, diviso in sezioni, ornato con motivi a nastri intrecciati a rilievo.” (Figg. 3 – 4), come si legge nella scheda del Catalogo Generale dei Beni Culturali33. La datazione dell’oggetto è indicata come 1725-1728, ma la fotografia del bollo camerale che viene pubblicata corrisponde, dal nostro punto di vista, al nº 9034, in uso negli anni 1727-1728, per cui la datazione corretta sarà preferibilmente quel biennio.
Il rapporto di Francesco Genouvez con la committenza portoghese risale al 1721, cioè nei primi momenti di affermazione nella città pontificia come argentiere patentato. Il primo autore a citare l’attività di Genouvez per il Portogallo fu Alvar González-Palacios, con un breve accenno, nell’ambito del catalogo Giovanni V di Portogallo e la Cultura Romana del Suo Tempo (1995) 35, ancora oggi volume di ineludibile riferimento per quanto riguarda il tema dei rapporti tra Portogallo e Roma nella prima metà del Settecento. Anche noi abbiamo avuto modo di concedere attenzione a questo soggetto36, che affrontiamo qui in modo più approfondito e dettagliato.
Sebbene finora non siano state identificate sue opere in Portogallo, Francesco Genouvez lavorò sicuramente sia per il re Giovanni V (1689-1750) che per l’ambasciata portoghese a Roma, tra il 1721 e il 1728 – periodo in cui André de Melo e Castro conte di Galveias (1668-1753) diresse la missione diplomatica nazionale nella città.
Non è questa la sede per soffermarsi su una biografia del Conte di Galveias37, ciò che importa tenere in considerazione è il fatto che l’agente diplomatico della Corona portoghese fu a Roma dal 1708, prima come inviato e poi come ambasciatore, essendovi rimasto fino al marzo 1728, data in cui, a causa dell’interruzione dei rapporti diplomatici tra il Portogallo e la Santa Sede38, ricevette l’ordine di rientrare a Lisbona.
Gli ordini impartiti a Genouvez, durante il periodo dell’ambasciata del Conte di Galveias, sono ben documentati nei libri contabili della rappresentanza diplomatica portoghese, nei quali viene talvolta indicato come “Monsù Francesco”, ribadendo la sua origine francese (si veda Tabbela 1, allegata, in cui sono stati sistematizzati tutti i pagamenti da noi identificati nei fondi della Biblioteca da Ajuda).
Così, tra i già citati anni 1721 e 1728, la documentazione rivela pagamenti a Genouvez, per la realizzazione di vari oggetti, ma anche pagamenti per disegni di questi pezzi (eseguiti da un certo “Francesco de La Bega”, forse uno spagnolo: Francisco de la Vega, che viene riferito come pittore). Questi disegni furono inviati a Lisbona39, circostanza normale nonchè significativa nell’ambito del processo di committenza.
Un aspetto particolarmente interessante, che la documentazione di Lisbona rivela, è che l’argentiere marsigliese lavorò per l’ambasciata portoghese a Roma, per il re e per lo stesso ambasciatore, André de Melo e Castro, Conte di Galveias. Quindi, sebbene i pezzi, destinati prevalentemente ad uso laico, non apparissero particolarmente diversi tra loro, da quanto si apprende dai documenti essi avevano destinatari diversi. Infatti, come si vedrà in seguito, se alcuni pezzi venivano inviati a Lisbona (come espressamente indicato in alcuni pagamenti all’argentiere), altri erano destinati a rimanere a Roma al servizio dell’ambasciata (dove potevano anche fungere da offerte), ed altri ancora corrispondevano ad ordini dello stesso ambasciatore, come espressamente menzionato in una ricevuta di pagamento del 1722: “argenti fatti in proprio seruizio di sua Eccellenza il Signor Conte das Galueas Ambasciatore”40.
Dalla documentazione risultano essenzialmente oggetti quali candelieri, alzate, piatti di diverse dimensioni e funzionalità e un intero surtout de table, quest’ultimo destinato al sovrano portoghese. Tale circostanza fece sì che i disegni corrispondenti a tali oggetti fossero stati precedentemente inviati al regno perché Giovanni V ne concedesse l’approvazione.
Infatti, in uno dei codici in cui sono riuniti i registri dei pagamenti si individua la “Nota delli disegni dell’Argenteria fatta da Monsu Francesco Genovese. E Mandati in Lisbona sopra il Vascello del Capitano Gio. Benedetto da Berlotto in un Cannello di latta inuolto con canouaccio, diretto” (Figg. 5 e 6).
L’elenco dei disegni consente di conoscere effettivamente i pezzi di cui si componeva il sourtout:
“In Primis un Sortù ————————– nº 1
Pianta del Sudetto ————————— nº 1
Pile ——————————————– nº 2
Piatti delle dette Pille ———————- nº 2
Chucciaronni per dette ——————– nº 2
Secchi —————————————- nº 2
Sottocoppe grandi ————————– nº 6
Sottocoppe picciole ———————— nº 6
Piati Reali ———————————– nº 4
Piatti mezzi reali ————————— nº 6
Piatti da Cappone ————————- nº 12
Fiammenghine dette mezzi Cappone — nº 12
Tondini ————————————————————- nº 2
Piati da Lavar le mani ——————————————- nº 2
Bocali da Lavar le mani —————————————– nº 2
Scalda Bivande —————————————————- nº 4
Candelieri ———————————————————- nº 24
Porta smocolatori com smocolatori cioè dui per sorte ——-nº 2
/f. 346 v./ Caffettiera ——————————————— nº 1
Tettiera ————————————————————– nº 1
Scaldina d’Acqua uita per la tettiera ————————— nº 1
Posate da Tauola ————————————————– nº 30
Posate da frutta —————————————————- nº 12
Cuchiari d’Antipasto nº 4 cioè due traforati e due Lise —— nº 4
Cuchiaroni da Minestra nº 4, e Saliere ————————-nº 6
Mostardiera ——————————————————– nº 2
Porta Oglio et Acetto ——————————————— nº 1
Cortelli e Forchette da scalcheria nº 4 cioè due per sorte — nº 4” 41.
Sappiamo anche che non si trattava di disegni soltanto progettuali, poiché negli gli stessi volumi si individua, datato 23 febbraio 1722, il resoconto dell’esecuzione degli oggetti corrispondenti: “Argenti datti da me Francesco Genouuez Argentiere Conto del Seruizio di Sua Maestà argenti di Carlino toute Bulato”42. Nel conto sono registrati i pezzi realizzati da Genouvez per il sovrano, da cui però dovevano essere esclusi quelli che l’ambasciatore aveva ritirato per portare con sé nella sua “Cassetta da Viaggio”, ossia “Due sottocoppe picciole (…) / Quattro piatti Mezzo Cappone / Dodici Tondini”43.
Anche in un’altro codice della Biblioteca Ajuda (anch’esso relativo alle spese dell’ambasciata portoghese a Roma, tra gli anni 1721 e 1730), si possono individuare pagamenti a Genouvez, precisamente in data 11 dicembre 1721, “a conto di un servizio d’argento che fà d’ordine di Sua Eccellenza”, con l’indicazione del costo, l’elevata somma di 4.547, 95 scudi44.
Compaiono anche pagamenti successivi, tutti a partire dall’ immediato 1722, il 23 febbraio (per due “sottocoppe”, quattro piatti “da mezzo Cappone” e dodici “tondini”, tutto d’argento)45, il 28 dello stesso mese (ancora riguardante il menzionato “servizio d’argento”)46, il 12 marzo (pagamento corrispondente ad alcuni pezzi mandati a Lisbona)47, il 2 maggio (per un bocale e bacile, destinati a funzionare come un’offerta dall’ambasciatore)48, il 15 agosto49 e il 17 dicembre, tre pagamenti riguardanti oggetti destinati al re e all’ambasciatore stesso50.
Datato 23 febbraio 1723, il conto dell’argentiere (“Argenti datti da me Francesco Genouuez Argentiere Conto del Seruizio di Sua Maestà argenti di Carlino toute Bulato a denari (?) 11-10 La libra (…).”), che risulta un importante contributo alla conoscenza delle opere fino a oggi effettivamente realizzate da Genouvez, che grosso modo corrispondevano ai disegni già citati. Questo conto si riferisce genericamente ai pezzi realizzati da Genouvez per il sovrano portoghese, dai quali bisogna però escludere quelli che l’ambasciatore portò con sè (già menzionati sopra): in totale 432:25 scudi51.
Negli anni successivi proseguì la realizzazione dei pezzi componenti il surtout, ai pagamenti del quale è riferibile il conto datato 12 giugno 1724, relativo ad un altro gruppo di pezzi, consegnati da João Ribeiro de Miranda, funzionario dell’ambasciata portoghese a Roma, a José Correia de Abreu, uno dei responsabili dell’Accademia di Portogallo nell’Urbe, ma che era anche incaricato di sovrintendere le committenze reali: “Notta dell’Argenti fatti da Monsù Francesco Genouese Argentiere consegnati dal Cau. Gio. Ribeyro de Miranda d’ordine dell’Ecc. Sig.re Conte das Galueas Ambasciatore di Portogallo all’Ill.mo Sig. Cau. Giuseppe Correa de Abreu / Due Piatti da Cappone —————– nº 2 / Quattro Piatti da mezzo Cappone —— nº 4 / Venti Tondini —————————- nº 20.” 52.
I pagamenti successivi, nel corso dell’anno 1725, sono residuali e corrispondono a incarichi minori, ma che rivelano quali fossero i compiti di un argentiere al servizio di un committente abituale, che ordinava sia oggetti maggiori che riparazioni o piccoli interventi. Così Genouvez pose lame sui manici d’argento di quattro coltelli (per i quali ricevette 80 baiocchi, il 5 maggio 1725)53 e fece applicazioni d’argento su “sei piattini e due chichere di porcellane dell’India” (per le quali ricevette 4 scudi e 50 baiocchi, il 23 giugno 1725)54.
In un altro manoscritto, di diverso contenuto, poiché non si tratta di un volume di registri di pagamenti, ma relativo a un rapporto riguardante l’ambasciata del Conte di Galveias e destinato a essere consegnato al suo successore in carica55, abbiamo un pagamento di 37 scudi e 20 baiocchi, fatto a Genouvez (qui specificatamente indicato come “Monsù Francesco Genouese”), il 13 marzo 172856. Si tratta certamente dello stesso pagamento registrato nel Ms. 49-VI-24, anche se datato dal giorno precedente, in quanto l’importo è rigorosamente lo stesso57 e corrisponderebbe al saldo finale (“di tutti i suoi conti d’ Argenti”), come si evince dalla consultazione di un altro codice58, confermato anche dal fatto che non siamo riusciti a individuare alcun successivo pagamento all’argentiere marsigliese.
Cosa concretamente ed effettivamente sia andato al Regno e cosa sia rimasto a Roma non è sempre chiaro, anche se, nel caso del surtout eseguito da Genouvez, è indubbio che tutto sia stato spedito a Lisbona. Tuttavia il già citato “Rendimento de’ conti” si riferisce a oggetti che senza dubbio rimasero a Roma, anche dopo che l’ambasciatore André de Melo e Castro lasciò con molti altri la città pontificia o diede ordine che fossero inviati subito dopo la sua partenza. Precisamente, in data 10 aprile 1728, risulta il pagamento di 140 scudi al falegname Francesco Maria Pizzani, per la realizzazione di scatole destinate all’argenteria di Sua Eccellenza l’ambasciatore, facendosi esplicita menzione della “cassetta del sortù numº 3”59. Si tratta molto probabilmente della stessa cassa menzionata a p. 14 del “Rendimento de’ conti”: “Argenti esistenti nell’altra Cassa nº 3 / Vn sortù d’Argento composto di uarij pezzi di peso circa.”, rivelando così che uno dei surtouts dovrebbe essere rimasto a Roma e seppure dovesse poi essere spedito a Lisbona.
Per quanto riguarda le opere rimaste definitivamente nell’Urbe, non è facile accertare, ancora una volta per la mancanza di dettagli con cui appaiono citati, se coincidano strettamente con alcuni di quelli contenuti nei successivi inventari relativi a quanto esisteva nell’ambasciata portoghese a Roma, datati 1740 e 1750 e che abbiamo avuto modo di pubblicare60.
Tuttavia, con ogni probabilità, tra alcune delle tipologie più frequenti (dalle “sottocoppe” ai “piatti di cappone”, passando dai “tondini”) elencate in questi inventari, figurano oggetti che sicuramente furono presenti sulla tavola romana dell’ambasciatore Conte di Galveias: tra questi, alcuni saranno certamente usciti dalle mani dell’argentiere Francesco Genouvez.
APPENDICE DOCUMENTARIA
Archivio Storico di S. Eligio, Roma
4-Cause, 111, 1719 giu.08
Concordia di Francesco Genovese con l’Università e sua rinuncia ad ogni lite in cambio del rilascio della patente e della ammissione nell’Arte
/ f. 1 / Io infrascritto auendo litigato coll’Vniversità degli Orefici, et Argentieridi Roma per auer la Patente, e poter in uigore di essa aprir la Bottega, et esercitare la mia Professione, et auendo anche nel mese di Marzo prossimo passato, ò altro più uero tempo da Monsignor Illustrissimo, e Reuerendissimo Spinola Auditore dell’Eminentissimo, e Reuerendissimo Signore Cardinale Camerlengo ottenuta sentenza precettiua per detta Patente in uigore della quale mi è stata poi spedita, e consegnata, et in questo stato di cose auendo auanti Li stesso Giudice per gli atti del Frosi Segretario di Camera et citata nuoua pretensione, cioè di essere ammesso nella sudetta Vniuersità come sono ammessi gli altri della mia Professione, che sono Patentati, e tengono Bottega aperta, e desiderando desistere da detta lite in tutto, e per tutto, e di entrare in essa Vniuersità nella forma solita come tutti gli altri secondo L’istanza, che precisamente ne farò con supplica à parte, quindi è che con il presente atto da me sottoscritto, e che douerà auer forza di publico, e giurato Istromento Rinunzio amplamente, e nella più efficace, e miglior forma no a meno alla sentenza come sopra emanata, che all’accennata nuoua mia pretensione, uolendo che nè L’una, ne L’altra possino fermar mai stato alcuno pregiudiziale alla detta Vniuersità; ma debbano considerarsi di nessun uigore, forza, e momento, come se / f. 1v / appunto detta sentenza non fosse stata proferita, et io non auessi mai auuta lite alcuna colla stessa Vniuersità, e cosi dico, et affermo, e mi obbligo di mantenere, et osseruare in ogni forma migliore. In fede Roma questo di 8. Giugno 1719 Francesco Genouuez approuo quanto sopra mano propria
Paolo Francesco Macch (?) fui testimonio a quanto sopra mano propria.
Antonio Nouelli fui testimonio quanto sopra mano propria.
TABELLA
Pagamenti fatti all’argentiere Francesco Genouvez (1688-1760),
raccolti dai documenti riguardanti l’ambasciata portoghese a Roma,
Biblioteca da Ajuda, Lisbona
DATA | PAGAMENTO
(scudi e baiocchi) |
OPERE | COMMITTENTE / DESTINAZIONE DELLE OPERE | DOCUMENTI
(Biblioteca da Ajuda, Lisboa) |
27maggio 1721 | 100 | 4 piatti d’argento | Ambasciata di Portogallo a Roma (?) | Ms. 49-VI-24, f. 252 |
11 dicembre 1721 | 4.547:95 | “a conto di un servizio d’argento che fà d’ordine di Sua Eccellenza” | Ambasciata di Portogallo a Roma (?) | Ms. 49-IX, 21, f. 141
Ms. 51-XIII-48, f. 64 |
23 febbraio 1722 | 432:25 | 2 “sottocoppe”
4 piatti “da mezzo Cappone” 12 “tondini”, tutto d’argento |
“Cassetta da Viaggio” dell’ambasciatore | Ms. 49-VI-15, f. 354
nota: questo pagamento riguardava un insieme di argenti e non solo i pezzi menzionati |
28 febbraio 1722 | 1005 | “a conto di un servizio d’argento che fà d’ordine di Sua Eccellenza” | Ambasciata di Portogallo a Roma (?) | Ms. 49-IX, 21, f. 147
Ms. 51-XIII-48, f. 64 |
12 marzo 1722 | 1245 | “per saldo et intero pagamento di sedici sotto coppe d’Argento dorate mandate in Lisbona a Sua Maestà” | Giovanni V, Re di Portogallo | Ms. 49-IX, 21, f. 148 |
2 maggio 1722 | 222:80 | “per intero pagamento di un bacile e Bocale d’argento regalata da Sua Eccellenza Prone. a chi ha Patrocinato la spedizione Regia di Sua Maestà” | Ambasciata di Portogallo a Roma – per regalare | Ms. 51-XIII-48, f. 75 |
15 agosto 1722 | 150 | “per auer fatto alcune cose particolari d’ordine di Sua Eccellenza per seruizio di Sua Maestà” | Giovanni V, Re di Portogallo | Ms. 49-IX, 21, f. 172
Ms. 51-XIII-48, f. 98 |
17 dicembre 1722 | 3250 | “a conto dell’Argenteria che il medesimo fà d’ordine di Sua Eccellenza” | Ambasciata di Portogallo a Roma (?) | Ms. 49-IX, 21, f. 181
Ms. 51-XIII-48, f. 64 |
17 dicembre 1722 | 7541:8 + 1261:15=
8802:95 |
I 1261:15 scudi “si portano in debito di un’altro conto del medesimo Francesco Genovesi per argenti fatti in proprio seruizio di sua Eccellenza il Signor Conte das Galueas Ambasciatore Prone.” | Giovanni V, Re di Portogallo e
ambasciatore |
Ms. 51-XIII-48, f. 64 |
31 marzo 1723 | 50 | Oggetti d’argento di uso domestico non specificati | Ambasciata di Portogallo a Roma (?) | Ms. 49-VI-24, f. 250 |
12 genaio 1724 | 123:42 ½ | 2 “sottocope all’Vltima usanza” d’argento | Ambasciata di Portogallo a Roma – per regalare al “Dott. Gaspar”, “consistore della Pastorale” | Ms. 49-VII-1, f. 561
nota: questo pagamento corrisponde ad una nota dall’argentiere com data del 12 genaio 1724, però sembra che la somma sia stata effetivamente pagata soltanto nel 1727. |
19 febbraio 1724 | 100 | Oggetti d’argento di uso domestico non specificati | Ambasciata di Portogallo a Roma (?) | Ms. 49-VI-24, f. 246 |
3 marzo 1724 | 200 | 1 “Bacile ouato con tinoto con cornice”
1 “caffetiera” |
Ambasciata di Portogallo a Roma – per regalare a Farinelli (Carlo Maria Michelangelo Nicola Broschi, 1705-1782) | Ms. 49-VII-1, f. 609-609v. |
12 giugno 1724 | 578:57 | 2 piatti “da Cappone”
4 piatti “da mezzo Cappone” 20 “tondini”, tutto d’argento |
Giovanni V, Re di Portogallo o Ambasciata di Portogallo a Roma (?) | Ms. 49-VI-15, f. 357 |
13 settembre 1724 | 50 | Oggetti d’argento di uso domestico non specificati | Ambasciata di Portogallo a Roma (?) | Ms. 49-VI-24, f. 246 |
8 maggio 1725 | 0:80 | “lame che ha rimesso a 4 manichi di coltelli di Sua Eccellenza” | Ambasciata di Portogallo a Roma | Ms. 49-VII-9, f. 101 |
23 giugno 1725 | 4:50 | Montures d’argento in “sei piattini e due chichere di porcellane dell’India” | Ambasciata di Portogallo a Roma | Ms. 49-VII-9, f. 101 |
23 giugno 1725 | 0:50 | “per far sbugiare 5 piattini” | Ambasciata di Portogallo a Roma | Ms. 49-VII-9, f. 101 |
23 ottobre 1726 | 90 | Oggetti d’argento di uso domestico non specificati | Ambasciata di Portogallo a Roma (?) | Ms. 49-VI-24, f. 245 |
12 marzo 1728 | 37:20 | Oggetti d’argento di uso domestico non specificati | Ambasciata di Portogallo a Roma (?) | Ms. 49-VI-24, f. 253 |
- Cfr. C. Bulgari, Argentieri, Gemmari e Orafi d’Italia. Notizie storiche e raccolta dei loro contrassegni con la riproduzione grafica dei punzoni individualie dei punzioni di stato, vol. I, Roma 1958, p. 506 e A. Bulgari Calissoni, Argentieri, Gemmari e Orafi di Roma, Roma 1987, p. 226.[↩]
- Cfr. C. Bulgari, Argentieri, Gemmari e Orafi d’Italia…, I, 1958, pp. 250-251.[↩]
- Cfr. C. Bulgari, Argentieri, Gemmari e Orafi d’Italia…, I, 1958, pp. 218-219 e A. Bulgari Calissoni, Argentieri, Gemmari e Orafi di Roma..., 1987, p. 118.[↩]
- Cfr. C. Bulgari, Argentieri, Gemmari e Orafi d’Italia…, I, 1958, p. 506.[↩]
- Cfr. C. Bulgari, Argentieri, Gemmari e Orafi d’Italia…, I, 1958, p. 506.[↩]
- C. Bulgari, Argentieri, Gemmari e Orafi d’Italia…, I, 1958, p. 506.[↩]
- Cfr. C. Bulgari, Argentieri, Gemmari e Orafi d’Italia…, I, 1958, p. 506.[↩]
- E non il 18 giugno, come indicato da C. Bulgari, Argentieri, Gemmari e Orafi d’Italia…, I, 1958, p. 506.[↩]
- Cfr. C. Bulgari, Argentieri, Gemmari e Orafi d’Italia…, I, 1958, p. 506.[↩]
- Cfr. A. Martini, Arti, Mestieri e Fede nella Roma dei Papi, Bologna 1965, p. 190 e A. Bulgari calissoni, Argentieri, Gemmari e Orafi di Roma..., 1987, pp. 4-6; si veda anche A. Kolega, Il collegio degli orefici ed argentieri di Roma ed il controllo sulla produzione orafa tra Cinque e Seicento, in “Roma Moderna e Contemporanea”, vol. II, Nº 2, 1994, pp. 467-489.[↩]
- Cfr. A. Martini, Arti, Mestieri e Fede…, p. 191.[↩]
- Tra i quali vanno tuttavia menzionati i seguenti, per la loro rilevanza in assoluto: il Corpus, collegium aurificum, argentariorum et gemmariorum, Universitas Artis aurificis (Archivio Storico di S. Eligio), gli Aurificum Statuta usque Ada anum 1578 et nomina illorum qui Romae tunc vivebant (Biblioteca Casanatense, Roma) e sopratutto il Thesauris legalis Universitatis Aurificum Urbin cum annotationibus D. Petri Augustini Antolini I.C. Piceni, et in Romana Curia advocati. Pars Prima: in quo continentur Statuta eiusdem Universitatis. Pars Secunda: In quo continentur Declarationes eiusdem Universitatis. Pars Tertia: in quo contientur Ptivilegia Apostolica et varia Decreta, Roma 1655 (Archivio di Stato di Roma), tutti menzionati da A. Martini, Arti, Mestieri e Fede…, p. 291.[↩]
- Manoscritto dal 1720, ref. da A. Martini, Arti, Mestieri e Fede…, p. 29.[↩]
- Emesso dal camerlengo del collegio cardinalizio e stampato in Roma, nella Stamperia della Reverenda Camera Apostolica, 1734.[↩]
- Versione stampata: Nuovo Statuto del nobile collegio dell’Orefici ed Argentieri di Roma, confermato dalla Santità di Nostro Signore Clemente XII felicemente regnante, Roma 1740; la versione manoscritta (dal 1739) si custodisce nell’Archivio Storico di S. Eligio ed è quest’ultima che seguiremo.[↩]
- Vedere i capitoli dal primo al settimo, rispettivamente intitolati: “Del Servare L’Unione”, “Metodo da Osservarsi nell’elettione del Cappelano, Segretario et altri Ministri”, “Modo da tenersi nell’elezzione degl’Imbussolatori, Conseglieri, e Sindici”, “Dell’Offizio de Conseglieri”, “Dell’Offizio degl’Imbussolatori”, “Dell’Offizio del Camerlengo, e Consoli” e “Dell’Offizio de Sindici”.[↩]
- Archivio Storico di S. Eligio, Roma (d’ora in poi ASSE), Nuovo Statuto del nobile collegio dell’Orefici ed Argentieri di Roma, (…), f. 7-7v.[↩]
- Qualora il candidato fosse stato straniero, avrebbe dovuto portare con sé i documenti comprovanti la propria esperienza in una bottega e pagare la somma di 30 scudi; accertato che il candidato era figlio di un argentiere patentato, gli sarebbe bastato presentarsi ai consoli e pagare la somma di undici scudi, cfr. Nuovo Statuto del nobile collegio dell’Orefici ed Argentieri di Roma, (…), f. 7v.[↩]
- Nuovo Statuto del nobile collegio dell’Orefici ed Argentieri di Roma, (…), ff. 7v.-8.[↩]
- I capitoli 13 e 14 affrontano la questione della qualità dell’oro e dell’argento da utilizzare e anche la necessità di specificare il valore di costo delle materie prime utilizzate, separatamente dai costi relativi alla realizzazione dei pezzi – si noti che questo è esattamente ciò che può essere riscontrabile nella stragrande maggioranza dei documenti riguardanti lavori realizzati per il Portogallo che abbiamo avuto modo di consultare, sia negli archivi portoghesi che romani.[↩]
- Cap. 18: “Ordine da tenersi nelle Congregazioni, e del rispetto che si deve a Consoli”, Cap. 26: “Come si debbano riscuotere, et applicare le pene” e Cap. 27: “Dell’Osservanza de Statuti”.[↩]
- Cfr. A. Bulgari Calissoni, Argentieri, Gemmari e Orafi di Roma…, pp. 4-6, J. Montagu, The Practice of Roman Baroque Silver Sculpture, “The Silver Society Journal”, Nº 12, 2000, pp. 18-25 e J. Montagu, Antonio Arrighi, a silversmith and bronze founder in Baroque Rome, Todi 2009, pp. 121-153.[↩]
- J. Montagu, Antonio Arrighi, a silversmith and bronze founder in Baroque Rome, (…), p. 126.[↩]
- ASSE, 4 – Cause, 111, 1719 giu. 08: Concordia di Francesco Genovese con l’Università e sua rinuncia ad ogni lite in cambio del rilascio della patente e della ammissione nell’Arte – si veda Appendice Documentaria.[↩]
- ASSE, 4 – Cause, 111, 1719 giu. 08: Concordia di Francesco Genovese con l’Università e sua rinuncia ad ogni lite in cambio del rilascio della patente e della ammissione nell’Arte – si veda Appendice Documentaria.[↩]
- Probabilmente della famiglia dell’argentiere De Martini – Cfr. C. Bulgari, Argentieri, Gemmari e Orafi d’Italia…, I, 1958, pp. 388-390 e A. Bulgari Calissoni, Argentieri, Gemmari e Orafi di Roma..., 1987, pp. 181-182.[↩]
- Cfr. C. Bulgari, Argentieri, Gemmari e Orafi d’Italia…, I, 1958, p. 506.[↩]
- Si veda A. Pampalone, “Parrocchia di San Lorenzo in Lucina. Rione Colonna”, in Studi sul Settecento Romano. Artisti e artigiani a Roma, III dagli Stati delle Anime del 1700, 1725, 1750, 1775, a cura di Elisa Debenedetti, Roma 2013, p. 187.[↩]
- Inevitabile italianizzazione del cognome Burckardt.[↩]
- C. Bulgari, Argentieri, Gemmari e Orafi d’Italia…, I, 1958, p. 506.[↩]
- Si veda rispettivamente Archivio Durazzo Giustiniani, Genova, Archivio Pallavicini, Grimaldi, Durazzo, 89, Speze 1719 e Foris: 1720, cit. por F. Boggero, F. Simonetti, L’Argenteria Genovese del Settecento, Genova-Torino 2007 p. 486.[↩]
- Cfr. C. Bulgari, Argentieri, Gemmari e Orafi d’Italia…, vol. I, p. 506 e A. Bulgari Calissoni, Argentieri, Gemmari e Orafi di Roma..., p. 226.[↩]
- Disponibile in https://catalogo.beniculturali.it/Agent/369fcdb8b17550b11e7081e82dc28f98 (inv. 1200210549).[↩]
- C. Bulgari, Argentieri, Gemmari e Orafi d’Italia…, I, 1958, p. 20 e A. Bulgari Calissoni, Argentieri, Gemmari e Orafi di Roma…, 1987, p. 33.[↩]
- Cfr. A. González-Palacios, “Appunti per un Lessico Romano-Lusitano”, in Giovanni V di Portogallo e la Cultura Romana del suo Tempo, a cura di S. Vasco Rocca e G. Borghini, Roma 1995, p. 443.[↩]
- Sulla sua attività per il Portogallo e per i portoghesi si veda T. L. M. Vale, Ourivesaria Barroca Italiana em Portugal: presença e influência, Lisbona 2016, pp. 226-227.[↩]
- Una biografia del Conte di Galveias e un approccio dettagliato alla sua missione diplomatica a Roma (con riferimento alla bibliografia precedente) si trovano in T. L. M. Vale, Arte e Diplomacia. A vivência romana dos embaixadores joaninos, Lisbona 2015, pp. 25-45.[↩]
- Cfr. T. L. M. Vale, “L’interruzione dei rapporti diplomatici tra il Portogallo e la Santa Sede nel 1728: l’impatto sugli artisti e sulle commissioni in corso”, in Le arti e gli artisti nella rete della diplomazia pontificia, a cura di M. Coppolaro, G. Murace e G. Petrone, Roma 2022, pp. 43-49, 73-75.[↩]
- Biblioteca da Ajuda, Lisbona (d’ora in poi BA), Ms. 51-XIII-48, f. 98.[↩]
- Cfr. BA, Ms. 51-XIII-48, f. 64.[↩]
- BA, Ms. 49-VI-15, f. 346-346v.[↩]
- BA, Ms. 49-VI-15, f. 348.[↩]
- BA, Ms. 49-VI-15, f. 354.[↩]
- BA, Ms. 49-IX-21, f. 141.[↩]
- BA, Ms. 49-VI-15, f. 354.[↩]
- BA, Ms. 49-IX-21, f. 147.[↩]
- BA, Ms. 49-IX-21, f. 148.[↩]
- BA, Ms. 51-XIII-48, f. 75; curiosamente, accanto a questo pagamento se ne individua un altro, di 16 scudi, al cioccolatiere Vittorio Ugolini per il cioccolato destinato ad essere messo all’interno del boccale eseguito da Genouvez; anche nel successivo ano di 1724 un’altra offerta di questo genere viene fatta a Farinelli (Carlo Maria Michelangelo Nicola Broschi, 1705-1782), come si evince dal Ms. 49-VII-1, f. 609v (si veda Tabbela 1).[↩]
- BA, Ms. 49-IX-21, f. 172 e Ms. 51-XIII-48, f. 98.[↩]
- BA, Ms. 49-IX-21, f. 181 e Ms. 51-XIII-48, f. 64.[↩]
- BA, Ms. 49-VI-15, f. 354.[↩]
- BA, Ms. 49-VI-15, f. 355.[↩]
- BA, Ms. 49-VII-9, f. 101.[↩]
- BA, Ms. 49-VII-9, f. 101.[↩]
- Intitolato “Rendimento de’ conti di tutti l’Interessi del Conte das Galueas già Ambasciatore in Roma di S. Maestà Portoghese, che Dio guardi, fatto dal Signore Miguel Lopes Rosa in mano del Reuerendissimo Frà Giuseppe Maria Fonseca d’Euora Ministro al presente in Roma di detta Maestà”, BA, Ms. 54-XIII-14, Doc. 67 [Nº 413], il cui studio abbiamo in corso e di cui ci aspettiamo che la pubblicazione completa avvenga a breve.[↩]
- BA, Ms. 54-XIII-14, Doc. 67 [Nº 413], p. 18.[↩]
- BA, Ms. 49-VI-24, f. 253.[↩]
- BA, Ms. 49-VII-15, f. 2.[↩]
- BA, Ms. 49-VII-14, f. 25.[↩]
- Cfr. T. L. M. Vale, Arte e Diplomacia. A vivência romana dos embaixadores joaninos, (…), pp. 160-240.[↩]