Salvatore Anselmo

L’argentiere palermitano Pietro Carlotta e l’inedito paliotto della Chiesa Madre di San Fratello (Me)

salvatore.anselmo@unipa.it
DOI: 10.7431/RIV30062024

È noto come la ricerca sul campo, in particolare nei centri distanti dai capoluoghi di regione, riveli opere d’arte inedite e di notevole interesse. L’indagine sull’ingente patrimonio storico-artistico delle diverse realtà isolane ha palesato, infatti, come la committenza si sia indirizzata ad artisti attivi non solo nel comprensorio ma, soprattutto, nei più grandi centri del sud Italia, in particolare a Palermo. Nobili, prelati, ordini religiosi e congreghe, conoscitori delle più aggiornate istanze culturali, furono, dunque, committenti di manufatti più à la page che risposero, in particolare nel Settecento, al frenetico rinnovamento dell’arredo chiesastico rimpiazzando precedenti testimonianze figurative.

Avvalora l’aggiornamento della committenza ecclesiastica dei centri dell’entroterra l’inedito paliotto d’argento della Chiesa Madre, titolata a Maria Santissima Assunta, in precedenza chiesa di Santa Maria di Gesù dei Padri Riformati, di San Fratello (Me), borgo dei Nebrodi ricadente nella Diocesi di Patti (Me)1 (Fig. 1). L’antependium, come denuncia il punzone del console palermitano Salvatore Pipi2, è stato eseguito nel 1737-1738 da Pietro Carlotta, o Carrotta (1681-1759)3, che impresse, in più elementi, il marchio PC* (Fig. 2). La tipologia compositiva-architettonica del manufatto, costituita da lamine applicate a un velluto rosso di fondo, ha immediati precedenti in altri due antialtari in argento e tessuto custoditi in Sicilia: il paliotto della Matrice Nuova di Castelbuono (Pa), riferito a Nunzio Ruvolo (doc. 1723-1750) che lo dovette eseguire nel 1725-1726, e quello della Chiesa Madre di Collesano (Pa), documentato nel 1721-1723 a Francesco Testagrossa (doc. 1677-1737)4 (Fig. 3). Modello, quello proposto dai due argentieri palermitani, che deriva dal più sontuoso e articolato paliotto in velluto e argento del 1725 della Basilica di San Francesco d’Assisi di Palermo, compiuto da un argentiere con il punzone PC e giglio verticale che di recente è stato riconosciuto nel palermitano Placido Carini (1661-1734)5. Non è, infatti, da escludere, che Carlotta abbia adoperato lo stesso disegno preparatorio, possibilmente ideato da un architetto, che plausibilmente circolava nelle botteghe del Ruvolo e/o del Testagrossa o che si sia ispirato alle opere eseguite dai due colleghi. Il paliotto di San Fratello è, infatti, una scena di portico a due braccia e con esedra centrale che con le dovute varianti, possibilmente desunte da progetti per apparati effimeri circolanti in Sicilia in epoca barocca6, sembra derivare dall’incisione del catafalco di Ferdinando II di Alfonso Parigi (1606-1656) e Stefano Della Bella (1616-1664). Quest’ultima è inserita nel libretto de Esequie della Maestà Cesarea dell’imperatore Ferdinando II celebrate all’altezza Serenissima di Ferdinando II Granduca di Toscana nell’insigne Collegiata di San Lorenzo il 2 aprile 1637 (Firenze 1637)7. Tale tipologia di antependium, detta a portico di proscenio, caratterizza diversi paliotti siciliani8, perlopiù in argento o in tessuto ricamato e con applicazioni in corallo, che, oltre a partecipare con la coeva produzione policroma a commesso marmoreo9, ha origine in pieno clima post-tridentino10. Il paliotto di San Fratello, articolata architettura tra fantastici elementi naturali, è, infatti, concepito con un’esedra centrale, riservata ai nobili e gloriosi fratelli martiri, Alfio, Filadelfo e Cirino11 (Fig. 4), e con un arcone spezzato dall’imponente figura della Vergine Assunta (Fig. 5). Concludono lateralmente la struttura architettonica un santo con abito da legionario e una santa riccamente abbigliata con teschio in mano (Figg. 67). Essa si può verosimilmente identificare con Maria Maddalena, il cui attributo iconografico è anche il teschio12, oppure con Tecla, ricca matrona romana, paralitica e devota di Dio, che fu guarita dai tre fratelli13. Il santo in uniforme, invece, potrebbe essere Demetrio di Tessalonica o Mercurio14, quest’ultimo fu un soldato che, dopo aver supplicato i tre fratelli affinché questi guarissero il giovane ebreo indemoniato nei pressi di Lentini (Ct), venne torturato insieme a diciannove militi15. Le figure dei Buoni, rimarcate dagli elementi architettonici che conferiscono spazio teatrale e facilitano la comunicazione, rivelano, quindi, come l’artefice fece confluire all’art imaginandi l’ars memorandi dei santi16. L’arredo è, come è stato osservato in merito a questa tipologia di antependium, “il prodotto di una cultura incline all’intrigo tra teatro e mnemotecnica”17. Gli Athleta Christi, inoltre, affiancano i tre patroni del borgo nebroideo, qui allocati in posizione centrale secondo una concezione ancora controriformata in uso nelle pale d’altare dalla Maniera sino a gran parte del Seicento18. Santi e patroni, infatti, sono posti sul secondo registro, il primo del quale è riservato alla figura della Vergine, colei che ha dato al mondo Gesù, l’origine della fede cristiana.

Elementi architettonici con figure di santi, festoni, fiori e conchiglie ed esuberanti motivi decorativi, affidati alla tecnica dello sbalzo e al cesello con il quale il nobile metallo è plasmato come un bassorilievo in argilla, connotano il corpus delle suppellettili liturgiche eseguite Pietro Carlotta. Figlio di Andrea e Antonina, è fratello di Pasquale (doc. 1677-1741), anch’egli argentiere che si firmò verosimilmente con il punzone costituito dalle iniziali P*C19. Pietro Carlotta, a cui la storiografia isolana riconduce, fin dal 1996, il marchio PC seguito da una piccola stella20, spesso affine a un asterisco, rivestì, a conferma della sua perizia, la carica di consigliere degli orafi della maestranza di Palermo negli anni 1726, 1737 e 174221. Egli produsse, quindi, in quel periodo che vide convivere stilemi tipici del Barocco con l’esordiente sintassi Rococò, epoca in cui a Palermo e provincia operarono – in seno a quel fermento cantieristico di chiese, monasteri e palazzi nobiliari che ridiede una facies più à la page all’intero del tessuto urbano – figure di artisti emergenti coadiuvati da artigiani, in un team di maestranze diverse. Notevole, in tal senso, è stato l’apporto dell’architetto Giacomo Amato (1643-1732), divulgatore della cultura romana nell’isola, del pittore Antonio Grano (1660-1718), spesso collaboratore del primo, e dello stuccatore Giacomo Serpotta (1656-1732), équipe a cui sono ricondotti, spesso su base documentaria, progetti e modelli per sontuose opere d’arte decorative in argento, oro, corallo, smalti e materiali preziosi22.

Il legame di Pietro Carlotta con l’establishment palermitana è attestato, oltre che dal ruolo di consigliere della maestranza degli orafi e argentieri, anche dalla sua partecipazione al pregevolissimo reliquiario di Santa Rosalia della Basilica di San Petronio di Bologna, nella cui base si individua, oltre all’aquila a volo alto con RUP (Regia Urbs Panormi) della maestranza palermitana, il punzone PC con stella a sei punte (Fig. 8)23. Commissionato nel 1716 dal senato di Palermo e offerto dallo stesso nel 1717 alla città emiliana come contraccambio del dono del reliquiario del velo di Santa Caterina de’ Vigri del 1714 custodito nella Cattedrale palermitana, l’opera è ampiamente nota alla storiografia italiana. Quest’ultima riferisce il prezioso reliquiario in un primo momento a un anonimo argentiere e successivamente al palermitano Pasquale Cipolla (doc. 1762-1799) e in ultimo a Pasquale o Pietro Carlotta unitamente ad altri autori citati dalle fonti e dalle iscrizioni24. Il reliquiario, come riferiscono i documenti, fu, infatti, eseguito da Giuseppe Palumbo (doc. 1699-1716), al quale si deve la figura a fusione della Santa patrona di Palermo posta sulla parte apicale, e da Giovanni di Palermo, artefice della ghirlanda dove appose la firma seguita dal verbo “inventi”25. L’ipotesi che il punzone PC con stella a sei punte impresso sulla modanatura della base sia da ascrivere a Pietro Carlotta, e non a Pasquale Cipolla, è avallata anche dal verbale di consegna del 13 aprile 1717 il quale riporta: «m.ro di…Carlotto e m.ro Giov(ann)e da Palermo portarono lo reliquiario d’argento»26. Per il prezioso manufatto, a conferma dell’alta considerazione di cui godeva il Nostro autore, è stato acutamente ipotizzato, sin dal 1989, il progetto di Giacomo Amato, su disegno di Antonio Grano, possibilmente con il bozzetto di Serpotta27. La suppellettile bolognese, infatti, è stata accostata al reliquiario di Santa Rosalia del 1692-1693 del santuario sul monte Pellegrino28, notevole manufatto progettato da Amato su disegno di Grano ed eseguito dall’argentiere gesuita Andrea Mamingari (doc. 1670-1738)29, artista di cui recentemente è stata ricostruita l’attività30.

L’abilità di Pietro Carlotta quindi emerge sin dalle sue prime opere, lo certifica la mazza dell’Universitas del palazzo di Città di Pollina (Pa), commissionata dal marchese di Geraci Girolamo Ventimiglia del Carretto nel 170431 (Fig. 9). Essa è costituita dall’asta, con il marchio del console palermitano Giacinto Omodei in carica negli anni 1703-1704 e con il punzone PC* (Fig. 10), e dal grosso pomo culminante con la figura del patrono San Giuliano32. Motivi acantiformi, tra scudi con iscrizioni, stemma e immagine dello stesso santo vescovo, connotano il manufatto che per la presenza di figure ignude rivela i debiti con la tarda cultura manierista33. Aderisce, invece, esaurientemente alla temperie del primo Settecento l’ornamento di immagine sacra della chiesa di Sant’Antonio Abate di Bisacquino (Pa), vidimato dal console palermitano Geronimo Cristadoro tra il 1720 e il 1721 e impresso con il marchio PC*. In esso il decoro è affidato a volute speculari dalle quali hanno origine fiori dai carnosi petali34. Una soluzione decorativa fitomorfa che, secondo quel gusto dell’horror vacui, esplose nella produzione artistica barocca: dai marmi mischi ai tessuti ricamati, dai gioielli agli intagli, dagli stucchi alle ceramiche. Sinuosi racemi, con opulenti fiori, le cui corolle si aprono ora a destra ora sinistra, fungono, infatti, da finta cornice al paliotto in argento e velluto della chiesa di Santa Maria delle Grazie di Gioiosa Marea (Me), opera vidimata dal console palermitano Francesco Bulgarello e che la presente ricerca consente di riferire al nostro per il punzone PC* impresso su più lamine35 (Figg. 1112). Tratti dal vasto repertorio figurativo della natura, i motivi fitomorfi del paliotto risultano ispirati ai commessi marmorei policromi di età barocca e tardo barocca riproposti36, con ago e fili di seta policromi, anche dai ricamatori siciliani come attesta il sontuoso piviale del 1700-1720 della Galleria Regionale della Sicilia di Palazzo Abatellis a Palermo (n. inv. 7854), proveniente dalla chiesa di Santa Maria delle Grazie ai Divisi37 (Fig. 13). Al centro dell’antependium in argento, sempre con analoghe soluzioni floreali, Carlotta, su esplicita indicazione della commessa, sbalzò e cesellò, con perizia, la Vergine Assunta tra i Santi Pietro e Gaetano. È stato, inoltre, ipotizzato che fu il vescovo Pietro Galletti (1664-1757), uomo di cultura e promotore di varie commesse nella Diocesi di Patti che resse dal 1723 al 1729 e alla cui giurisdizione ecclesiastica appartiene Gioiosa38, a indirizzare i committenti verso un argentiere palermitano39. Soluzioni modulari, festoni e foglie, contrassegnano, invece, le modanature della base del reliquiario di Sambuca di Sicilia (Ag), opera del 1722-1723 nella quale Carlotta ricorse a testine di cherubini alati e angeli adoranti sulla teca che farebbero ipotizzare un originario uso di ostensorio più che di reliquiario40.

La chiesa di Sant’Antonio Abate di Bisacquino, ove è custodito il ricordato ornamento da statua, fu riedificata, come attesta un’epigrafe, già nel 1639, da don Francesco Bona41. Quest’ultimo appartenne alla nobile famiglia locale che, investita dal titolo di baroni di Giardinello, elargì diversi manufatti alla comunità locale42. Don Emanuele Bona Fardella, verosimilmente congiunto del precedente, donò, ad esempio, alcune opere al centro siciliano, come l’ostensorio, eseguito nel 1744-1745 da Pietro Carlotta che vi appose il punzone PC*43. In esso l’argentiere eluse le più usuali soluzioni barocche, come le testine di cherubini alati sulla cornice della raggiera costituita ancora da raggi dalla forma di fiamme che si alternano a quelle verticali, approdando a decori propri della produzione tardo barocca con motivi fitomorfi che già preludono al Rococò44. Il nostro autore poté adoperare un analogo repertorio pure sull’ostensorio, ancora da rintracciare, per la confraternita di Santa Maria Maddalena del quartiere Militare di Palermo per il quale si era obbligato il 4 giugno 174945. L’attività di Carlotta è attestata a Bisacquino anche nel 1745-1746, quando impresse il suo marchio sul calice in argento della chiesa di Maria Santissima del Carmine (Fig. 14)46. Suppellettile liturgica la cui tipologia decorativa, a eccezione del sottocoppa, sarà reiterata sul calice della Matrice Nuova di Castelbuono, opera vidimata dal console palermitano Gaspare Leone nel 1748-1749 e dall’incompleta sigla C* con il bollo della maestranza47.

Il Nostro autore fu quindi apprezzato anche dall’alto clero isolano se anche don Domenico Valguanera (1697-1751), dei principi di Torremuzza e Gravina nonché vescovo della Diocesi di Cefalù (Pa) dal 1732 al 175148, gli commissionò i tre contenitori per olii sacri della Cattedrale ruggeriana49 (Fig. 15). Le opere, vidimate dal console palermitano Antonio Gulotta nel 1735-173650, recano, in più parti, oltre al bollo della maestranza di Palermo, il marchio PC* che consente di ascriverle a Pietro Carlotta mentre in precedenza erano riferite ad altro argentiere51 (Fig. 16). I tre grandi contenitori, dalla decorazione a specchio, risultano altresì impreziositi dallo stemma del presule e dalla figura del Santissimo Salvatore, titolare del Sacro Tempio, posti dentro una ghirlanda, e dalle  iscrizioni che ne indicano l’originaria destinazione52.

Pietro Carlotta introdusse con più fermezza i motivi decorativi rococò sul calice del 1759 del Museo Diocesano di Caltanissetta e proveniente dalla chiesa di San Sebastiano. Esso fu donato dal vescovo Giovanni Guttadauro (1814-1896) nel 1879 (Fig. 17), probabilmente in occasione della ribenedizione dell’edificio chiesastico avvenuta a conclusione dei lavori di restauro53. Nella suppellettile liturgica, ultima opera a noi nota, l’autore, che il 10 febbraio 1758 fa una donazione, insieme alla moglie Giuseppa, ai figli Giuseppe e Antonina54, si avvalse di sinuosi motivi conchiliformi. Questi ultimi, intrecciandosi con tortuose volute, costituiscono la base che sorregge altrettante soluzioni che fungono da fusto terminante con una corolla la quale regge il sottocoppa e la coppa. Nell’adozione di tale repertorio decorativo, che conferisce maggiore dinamicità al calice, Carlotta si rivela conoscitore dei più diffusi repertori canonici della temperie rococò, come i progetti grafici ideati da Juste-Aurèle Meissonnier e dalla scuola francese che circolavano in Europa55. Ne costituisce prova la base dei candelieri a tre braccia ideati dal decoratore, come quello eseguito tra il 1734 e il 1735 dall’orafo Claude Duvivier e ubicato al Musée des Arts Décoratifs di Parigi56. In merito alla propagazione del Rococò francese in Sicilia è stato osservato come la via più naturale sia stata Napoli, allorquando l’isola, nel 1735, passò in mano a Carlo III di Borbone57. Si deve, infatti, attendere la fine degli anni Quaranta del Settecento affinché gli argentieri siciliani si cimentassero, anche a seguito della diffusione delle incisioni francesi, in esuberanti rocaille francesi58.

Il marchio PC con stella o asterisco è stato, infine, individuato sul servizio di lavabo del 1764, vidimato dal console Francesco Mercurio, della Cappella Palatina di Palermo59, motivo che consente di ipotizzare come il punzone dell’artefice sia stato utilizzato anche dalla fiorente bottega considerato che il Nostro passa a miglior a vita nel 1759. In conclusione, quindi, Pietro Carlotta, che vidimò le sue opere con PC con asterisco o stella a sei punte, si rivela un artefice di spicco nella produzione dell’argenteria del XVIII secolo e attento conoscitore delle più aggiornate tendenze. Coadiuvato dall’atelier di famiglia, quasi certamente composta dai figli Antonino e Giuseppe60, operò nelle diverse realtà della Sicilia occidentale e orientale.

  1. Per la storia di San Fratello si veda L. Vasi, Delle origini e delle vicende di San Fratello, Palermo1882, estratto Archivio Storico Siciliano, fasc. 3-4, n. s., a. VI (1881). L’opera in esame presenta le seguenti dimensioni 250×102 cm.[]
  2. S. Barraja, I marchi degli argentieri e orafi di Palermo, saggio introduttivo di M.C. Di Natale, II ed. Milano 2010, p. 75.[]
  3. S. Barraja, I marchi di bottega degli argentieri palermitani. Parte seconda, in Il bello, l’idea, la forma. Studi in onore di Maria Concetta Di Natale, a cura di P. Palazzotto-G. Travagliato-M. Vitella, Palermo 2022, p. 141. Si veda pure Idem, ad vocem Carlotta (Carotta) Pietro, in Arti Decorative in Sicilia. Dizionario biografico, a cura di M.C. Di Natale, Palermo 2014, p. 110.[]
  4. Per i paliotti si rimanda rispettivamente a M. C. Di Natale, Il Tesoro della Matrice Nuova di Castelbuono nella Contea dei Ventimiglia, “Quaderni di Museologia e Storia del Collezionismo”, collana diretta da M.C. Di Natale, Caltanissetta 2005, scheda n. 19, p. 62; R. Termotto, Collesano. Guida alla Chiesa Madre Basilica di S. Pietro, Bagheria 2010, pp. 133-136 e M. Failla, Il Tesoro della Chiesa Madre di Collesano. Storia, arte, liturgia, fede, Geraci Siculo 2016, pp. 57-59. Per questa tipologia di paliotti si consulti R. Civiletto. Paliotti siciliani tessili “a rilievo plastico” in argento tra Sei e Settecento. Felice commistione d’arte tessile e argentaria, in Il Tesoro dell’Isola. Capolavori siciliani in argento e corallo dal XV al XVIII secolo, catalogo della mostra (Praga, Maneggio di Palazzo Wellestein, 19 ottobre-21 novembre 2004) a cura di S. Rizzo, Catania 2008, pp. 281-301.[]
  5. M.C. Ruggieri Tricoli, Il teatro e l’altare. Paliotti “d’architettura” in Sicilia, contributi tematici di G. Bongiovanni-E. Brai-E. D’Amico-S. Di Bella-C. Filizzola-C. Laezza-L. Novara, Palermo 1992, pp. 156-157 e R. Vadalà, scheda n. 19, in Architetture barocche in argento e corallo, catalogo della mostra (Lubecca, Katharinenkirche, 15 luglio-26 agosto 2007, Vicenza, Pinacoteca Civica, Palazzo Chiericati, 7 settembre-7 ottobre 2007) a cura di S. Rizzo, Catania 2008, p. 187. Si veda pure S. Barraja, I marchi di bottega…, in Il Bello, l’Idea…, 2022, p. 141 dove l’autore riconduce con più convinzione il marchio a Placido Carini.[]
  6. G. Isgrò, Feste barocche a Palermo, Palermo 1981; a riguardo si veda pure M.C. Ruggieri Tricoli, Il teatro e l’altare…, 1992, pp. 15-43; M.S. Di Fede, La resta barocca a Palermo: città, architetture, istituzioni, in “Espacio, Tempo y forma-Historia del Arte”, s. VII, 18-19, 2005-2006, pp. 49-75 e M. De Luca, Altari e apparati effimeri nella Palermo barocca. La festa di San Mamiliano in un manoscritto del 1658, in Architetture barocche…, 2008, pp. 67-83 e, più in generale, Le capitali della festa, a cura di M. Fagiolo, Roma 2007. Si vedano pure i numerosi disegni ora custoditi alla Biblioteca Centrale della Regione Siciliana, A. Bombace, La biblioteca dell’Architetto. Libri e incisioni (XVI-XVIII secolo) custoditi nella Biblioteca Centrale della Regione Siciliana, catalogo della mostra (Palermo, Biblioteca Centrale della Regione Siciliana A. Bombace, 8-22 novembre) a cura di M.S. Di Fede-F. Scaduto, Palermo 2007.[]
  7. Firenze, Gabinetto Disegni e Stampe degli Uffizi, n. 101755 St. sc., si veda riprodotta in R.C. Proto Pisani, Riflessi fiorentini all’origine dei paliotti di “Architettura” siciliani, in Architetture barocche…, 2008, p. 35, fig. 11. A riguardo si veda pure M.C. Ruggieri Tricoli, Il teatro e l’altare…, 1992, pp. 16 e 77 nota n. 3.[]
  8. Un primo studio sui paliotti a portico di proscenio si deve a M.C. Ruggieri Tricoli, Il teatro e l’altare…1992, pp. 16-44.[]
  9. Per i paliotti in marmo e pietre dure si rimanda a V. Sola, Paliotti architettonici siciliani in marmo e pietre dure, in Architetture barocche…, 2008, pp. 85-97.[]
  10. L’osservazione è di M. Vitella, Paliotti architettonici d’argento nella Sicilia occidentale: espressione dell’arte controriformata, in Architetture barocche…, 2008, p. 57.[]
  11. Per l’iconografia e la vita dei Santi Alfio, Filadelfo e Cirino si rimanda a G. Morabito ad voces, in Bibliotheca Sanctorum, Roma 1961, I, 832-834; B. Iraci, Bibliografia sui santi Fratelli Martiri Alfio, Filadelfio e Cirino. Opere edite, inedite e manoscritti, presentazione di C. Versaci, Melegnano 2021 che riporta la vasta bibliografia e M. Re, Il codice lentinese dei santi Alfio, Filadelfio e Cirino. Studio paleografico e filologico, Palermo 2007. A riguardo si veda pure pure L’evoluzione dell’urna reliquiario in Sicilia dal Seicento al Settecento. Un caso inedito: la cassa d’argento di Sant’Alfio a San Fratello (Me), in Las artes suntuarias al servicio del culto divino. Siglos XVI-XVIII, a cura di L. Illescas, A. Jantos Santos, J. Rivas Carmona, M.C. Di Natale, S. Intorre, Sevillas-Roma 2024, pp. 423-435.[]
  12. Per l’iconografia si veda M.C. Celletti, ad vocem, in Bibliotheca…, 1966, VIII, pp. 1104-1107.[]
  13. M. Re, Il codice lentinese dei santi…, 2007, p. 56.[]
  14. Per l’iconografia si veda M.C. Celletti, ad vocem, Demetrio di Tessalonica, in Bibliotheca Sanctorum, Roma 1964, IV, pp. 564-565.[]
  15. M. Re, Il codice lentinese dei santi…, 2007, pp. 55-56 e A. Amore, ad vocem, in Bibliotheca…, 1967, IX, p. 368.[]
  16. L’espressione è adoperata da M.C. Ruggieri Tricoli, Il teatro e l’altare…, 1992, p. 70.[]
  17. L’osservazione è di M.C. Ruggieri Tricoli, Il teatro e l’altare. Paliotti…, 1992, p. 21.[]
  18. Per la pittura della Maniera in Sicilia si rimanda a Vulgo dicto lu Zoppo di Gangi, catalogo della mostra (Gangi, 19 aprile-1° giugno 1997), Palermo 1997; 1570 Porto di mare 1670. Pittori e Pittura a Palermo tra memoria e recupero, catalogo della mostra (Palermo, chiesa di San Giorgio, 30 maggio-31 ottobre 1999) a cura di V. Abbate, Napoli 1999; Omaggio ad Antonio Catalano l’Antico, catalogo della mostra (Messina, Museo Regionale, 20 aprile-20 giugno 2002) a cura di G. Barbera-F. Campagna Cicala, Messina 2002; T. Pugliatti, Pittura della tarda Maniera nella Sicilia occidentale (1557-1647), Palermo 2011 e P. Russo, «Un genio vagante… in giro per la Sicilia»: Filippo Paladini e la pittura della tarda Maniera, Caltanissetta 2012.[]
  19. Si veda S. Barraja, ad vocem Carlotta (Carotta) Pasquale, in Arti Decorative…, 2014, p. 110. Il marchio è stato riscontrato sul tabernacolo per il Giovedì Santo della collezione Cammarata di Piazza Armerina (En), si consulti M.C. Di Natale, scheda II, 125, in Ori e argenti dal Quattrocento al Settecento, catalogo della mostra (Trapani, Museo Regionale Pepoli) a cura di M. C. Di Natale, Milano 1989, p. 271.[]
  20. R. Civiletto, scheda n. 27, in Argenti e cultura rococò nella Sicilia occidentale 1735-1789, catalogo della mostra (Lubecca, St. Annen, Museum 21 ottobre 2007-6 gennaio 2008) a cura di S. Grasso-M.C. Gulisano, con la collaborazione di S. Rizzo, Palermo 2008, p. 214.[]
  21. S. Barraja, I marchi degli argentieri…, 2010, pp. 74-75.[]
  22. A riguardo si veda Giacomo Amato. I disegni di Palazzo Abatellis. Architettura, arredi e decorazione nella Sicilia barocca, a cura di S. De Cavi, Roma 2017 e Serpotta e il suo tempo, catalogo della mostra (Palermo, Oratorio dei Bianchi, 23 giugno-1° ottobre 2017) a cura di V. Abbate, Milano 2017 a cui si rimanda per la vasta bibliografia. Per gli artisti citati si veda pure C. Siracusano, La pittura del Settecento in Sicilia, Roma 1986, pp. 180-190; D. Garstang, Serpotta e i serpottiani. Stuccatori a Palermo 1656-1790, Palermo 2006; C. Monbeig Goguel, Le gènie de Palerme. Pour Antonino Grano e V. Abbate, Aggiunte ad Antonio Grano disegnatore, in Per Citti Siracusano. Studi sulla pittura del Settecento in Sicilia, a cura di G. Barbera, Messina 2012, pp. 19-29 e P. Palazzotto, Giacomo Serpotta. Gli oratori di Palermo. Guida storico-artistica, Palermo 2016.[]
  23. V. Abbate, Il tesoro perduto: una traccia per la committenza laica nel Seicento, in Ori e argenti…, 1989, pp. 54-55; Idem, Palermo 1700: i contatti con Bologna e la committenza del marchese di Regalmici, in Barocco Mediterraneo. Sicilia, Lecce, Sardegna, Spagna, a cura di M. L. Madonna, L. Trigilia, Roma 1992, pp. 299-305; Idem, Contatti tra Palermo e Bologna nel Settecento, in Il libro dei Panduri. Disegni di Domenico Maria Fratta nelle collezioni di Palazzo Abatellis, catalogo della mostra (Palermo, Palazzo Abatellis, 10 novembre 1994-5 febbraio 1995) a cura di V. Abbate e A. Mazza, Palermo 1994, pp. 78-85; A. Buitoni, scheda n. 48, in Il Museo di San Petronio in Bologna, a cura di M. Fanti, testi di A. Buitoni-M. Fanti-M. Medica, Bologna 2003, pp. 182-185 e F. Faranda, Il reliquiario di Santa Rosalia della Basilica di San Pietro a Bologna, in Il Tesoro dell’Isola…, 2008, I, pp. 95-101 che riportano la precedente bibliografia.[]
  24. A. Buitoni, scheda n. 48, in Il Museo di San Petronio…, 2003, pp. 183-185 e F. Faranda, Il reliquiario di Santa Rosalia…, in Il Tesoro dell’Isola…, 2008, I, p. 98 che riportano le diverse attribuzioni.[]
  25. V. Abbate, Il tesoro perduto…, in Ori e argenti…, 1989, pp. 54-55; Idem, Palermo 1700…, in Barocco Mediterraneo…, 1992, pp. 299-305; Idem, Contatti tra Palermo…, in Il libro dei Panduri…, 1994, pp. 78-85; F. Faranda, Il reliquiario di Santa Rosalia…, in Il Tesoro dell’Isola…, 2008, I, pp. 95-101, a cui si rimanda per la vasta bibliografia.[]
  26. A riguardo si rimanda a F. Pollaci Nuccio, Le iscrizioni del Palazzo Comunale di Palermo, trascritte, tradotte ed illustrate da F.P. N., aggiornamento a cura di P. Gulotta, Palermo (1888), 1974, pp. 201-213 e ai contributi indicati supra nota n. 23.[]
  27. V. Abbate, Il tesoro perduto: una traccia…, in Ori e argenti…, 1989, p. 55.[]
  28. V. Abbate, Il tesoro perduto: una traccia…, in Ori e argenti…, 1989, pp. 54-55.[]
  29. V. Abbate, scheda n. 57a-b, in Serpotta…, 2017, pp. 278-279; Idem, scheda n. 36, Rosalia eris in peste patrona, catalogo della mostra (Palermo, Palazzo Reale, 3 settembre 2018-5 maggio 2019), a cura di V. Abbate-G. Bongiovanni- M. De Luca, Palermo 2018, pp. 220-221 e, in ultimo, S. Mercadante, Il Tesoro del Santuario di Santa rosalia sul Montepellegrino, Palermo 2021, pp. 109-113 con precedente bibliografia. Sui reliquiari si veda pure M.C. Di Natale, Santa Rosalia nelle arti decorative, introduzione di A. Buttitta, contributi di P. Collura e M.C. Ruggieri Tricoli, Palermo 1991, pp. 43-48. Sul culto di Santa Rosalia in Sicilia, oltre al catalogo della mostra Rosalia. Protectora et Patrona (Palermo, Museo Diocesano, Tesoro della Cattedrale, 25 maggio-20 ottobre 2024, mostra a cura di M.C. Di Natale-S. Intorre-P. Palazzotto-F. Sarullo-M. Vitella) in corso di pubblicazione, si rimanda a: Rosalia Sinibaldi da nobile a Santa, saggio introduttivo di M.C. Di Natale, testi di I. Barbera-J. Vibaek-M. Vitella, catalogo della mostra (Palermo, Palazzo Asmundo, 28 settembre-4 ottobre 1994), Palermo 1994 e Rosalia eris in peste…, 2018.[]
  30. M.C. Di Natale, Andrea e gli argentieri Memingher in Sicilia, in “Storia della Sicilia”, 146-148, n.s. 46-48, 2017, pp. 115-138.[]
  31. R.F. Margiotta, La mazza d’argento dell’Universitas di Prizzi, in Estudios de Platería, a cura di J. Rivas Carmona, Murcia 2009, pp. 464-466 e S. Anselmo, Appunti sul Tesoro della Chiesa Madre di Pollina, in Estudios de Platería, a cura di J. Rivas Carmona, Murcia 2010, p. 87 con precedente bibliografia.[]
  32. Ibidem.[]
  33. Le iscrizioni dei due scudi sono le seguenti: “UNIVERSITAS TERRE POLLINA 1704” e “COMES HIERONYMUS DEI GRATIA COMES MARCHIO HIERACIS”.[]
  34. R.F. Margiotta, Tesori d’Arte a Bisacquino, “Quaderni di Museologia e Storia del Collezionismo”, n. 2, collana diretta da M.C. Di Natale, Caltanissetta 2008, scheda n. 15, pp. 114-115.[]
  35. G. Bongiovanni, scheda n. II, 135, in Ori e argenti dal Quattrocento…, 1989, p. 277. L’ipotesi che l’autore del paliotto di Gioiosa Marea sia Pietro Carlotta è stata avanzata anche da R. Vadalà, scheda n. 24, in Architetture barocche…, 2008, p. 203.[]
  36. A riguardo si veda S. Piazza, I colori del Barocco, Palermo 2007, passim.[]
  37. M. Vitella, scheda n. 42, in Serpotta e il suo tempo…, 2017, p. 272. Sulle soluzioni floreali nei parati si consulti pure G. Cantelli, Motivi floreali nell’arte tessile tra tardo barocco e neoclassicismo, in Magnificència i extravagància europea en l’art téxtil a Sicília, catalogo della mostra (Barcelona, Museo Diocesà, 7-22 luglio 2003) a cura di G. Cantelli-S. Rizzo, Palermo 2003, pp. 421-426.[]
  38. Per il presule, munifico pastore anche della Diocesi di Catania (1729-1757), si rimanda a https://www.diocesipatti.it/cronotassi-vescovi (consultato il 24 settembre 2024) e M. Vitella, Il percorso espositivo. Le opere gli artisti, in Il Museo Diocesano di Catania, coordinamento scientifico di M. Vitella, a cura dell’Ufficio per i Beni Culturali dell’Arcidiocesi di Catania, Catania 2017, pp. 27-28.[]
  39. F. Bongiovanni, Cultura e manualità dei paliotti architettonici nella Sicilia nord-orientale, in M.C. Ruggieri Tricoli, Il teatro e l’altare. Paliotti…, 1992, pp. 234-235.[]
  40. R. Vadalà, Catalogo dell’argenteria sacra, in Segni mariani nella terra dell’Emiro. La Madonna dell’Udienza a Sambuca di Sicilia tra devozione e arte, a cura di M.C. Di Natale, Bagheria 1997, p. 83 la quale ipotizza che il punzone dell’autore sia PC*e non PG*.[]
  41. R.F. Margiotta, Tesori d’Arte…, 2008, p. 79 con precedente bibliografia.[]
  42. F. San Martino De Spucches, La storia dei feudi e dei titoli nobiliari di Sicilia dalla loro origine ai nostri giorni, vol. IV, Palermo 1926, p. 72; R.F. Margiotta, Tesori d’Arte…, 2008, pp. 78-79 e Idem, Ad maiorem dei Gloriam. Opere in argento e corallo nella committenza della famiglia Bona per le chiese di Bisacquino, in Estudios de platería. San Eloy, a cura di J. Rivas Carmona-J. José García Zapat, Murcia 2019, pp. 387-396.[]
  43. R.F. Margiotta, Tesori d’Arte…, 2008, scheda n. 23, pp. 119-120.[]
  44. Ibidem.[]
  45. G. Mendola, Orafi e argentieri tra il 1740 e il 1790, in Argenti e cultura…, 2008, p. 595.[]
  46. R.F. Margiotta, Tesori d’Arte…, 2008, scheda n. 24, p. 121.[]
  47. M.C. Di Natale, Il tesoro della Matrice…, 2005, scheda n. 27, pp. 64-65.[]
  48. G. Misuraca, Serie dei vescovi di Cefalù con dati cronologici e cenni biografici, Roma 1960, pp. 57-58.[]
  49. C. Guastella, La suppellettile e l’arredo mobile, in Documenti e testimonianze figurative della Basilica ruggeriana di Cefalù, catalogo della mostra (luglio-settembre 1982), Palermo 1982, pp. 153-154.[]
  50. S. Barraja, I marchi degli orafi…, 2010, p. 75.[]
  51. Ibidem e S. Barraja, ad vocem Carlotta (Carotta) Pietro, in Arti Decorative in Sicilia…, 2014, p. 110 che le riferisce al Nostro.[]
  52. Le iscrizioni sono le seguenti “OLEUM AD SANCTUM”, “OLEUM INFIRMORUM”, “OLEUM CATECUMENORUM”.[]
  53. R. Civiletto, scheda n. 27, in Argenti e cultura…, 2008, pp. 214-215.[]
  54. G. Mendola, Orafi e argentieri tra il 1740 e il 1790, in Argenti e cultura…, 2008, p. 595.[]
  55. A riguardo si veda P. Fuhring, L’oreficeria francese e la sua riproduzione nelle incisioni del XVIII secolo, in Argenti e cultura rococò…, 2008, pp. 25-37.[]
  56. S. Grasso-M.C. Gulisano, La transizione, in Argenti e cultura…, 2008, p. 185 con precedente bibliografia.[]
  57. S. Grasso-M.C. Gulisano, Forme e divenire del rococò nella produzione delle botteghe argentarie a Palermo, in Argenti e cultura…, 2008, pp. 47-48. Sulla produzione artistica del periodo Rococò in Sicilia, oltre al volume Argenti e cultura…, 2008, si veda pure Wolfgang Hüber: un argentiere tedesco a Trapani (1764-1782), catalogo della mostra (Erice, chiesa di S. Giuliano-Oratorio di 33 del SS. Crocifisso, 21 luglio-15 settembre 2023) a cura di P. Messana-L. Novara, Erice 2024.[]
  58. S. Grasso-M.C. Gulisano, Forme e divenire del rococò…, in Argenti e cultura…, 2008, p. 48.[]
  59. M.C. Di Natale, Le suppellettili liturgiche d’argento del Tesoro della Cappella Palatina di Palermo, Palermo 1998, pp. 67-68 che riporta la fotografia del marchio.[]
  60. S. Barraja, ad voces, in Arti decorative…, 2014, p. 110 e G. Mendola, Orafi e argentieri…, in Argenti e cultura…, 2008, p. 594.[]