Ciro D’Arpa

La vita di Santa Rosalia iconibus expressa: l’edizione di “Valeriano Regnartio” del 1627

ciro.darpa@regione.sicilia.it
DOI: 10.7431/RIV26042022

La peste di Palermo del 1624-1626 è legata indissolubilmente al culto moderno di Santa Rosalia, in quella drammatica circostanza acclamata principale patrona della città 1. In mancanza di sue notizie certe, il vescovo in carica, cardinale Giannettino Doria (1573-1642), incaricò il gesuita Giordano Cascini (1565-1635) di fare ricerche approfondite al fine di compilare un’esauriente agiografia 2. La sua fatica fu compendiata in tre distinte pubblicazioni: 1627, 1631 e quella postuma del 1651 curata dal confratello Pietro Salerno, con aggiunte 3. Un recente studio di Fiorenza Rangoni 4 ha richiamato l’attenzione sull’autore-editore dell’edizione del 1627, Valerien Régnard, senza però fare una disamina del poco noto contenuto del volume. Sebbene citato negli antichi repertori bibliografici siciliani 5, di questa rarissima edizione sono state rintracciate una sola copia nel catalogo nazionale OPAC SBN 6 e un’altra presso la Bayerische Staatsbibliothek di Monaco di Baviera 7.  Ripercorriamo brevemente gli antefatti storici e agiografici che preludono quelli bibliografici trattati in questo studio. Il 15 luglio 1624 furono rivenute ossa umane all’interno di una grotta di Monte Pellegrino, per antica tradizione ritenuto il luogo in cui, secoli prima, una santa non ancora così tanto nota si era ritirata da eremita a seguito della sua scelta di condurre una vita in solitaria contemplazione. All’inventio fu subito attribuito un segno salvifico così che, di giorno in giorno, si accrebbe un culto che a Palermo si era tramandato nei secoli precedenti ma in secondo ordine rispetto a quello tributato alle quattro patrone: le martiri Cristina, Agata, Ninfa e Oliva. In tempi in cui ci si poteva salvare dalle calamità naturali e dalle malattie solo per Divina Misericordia e grazie all’intercessione di Maria e dei santi protettori, tanti più se ne avevano da invocare, tanto maggiore era la probabilità di salvarsi: in caso di peste, i fedeli si rivolgevano con particolare devozione ai santi taumaturghi Rocco e Sebastiano. Nel mese di febbraio del 1625, il cardinale Giannettino Doria proclamava l’autenticità delle reliquie, supportato dal responso di una commissione di medici e teologi e dal moltiplicarsi dei miracoli di guarigione attributi all’intercessione della santa eremita 8. Questa, inoltre, si era manifestata in sogno a un devoto palermitano affinché si facesse suo messaggero per esortare le autorità religiose, civili e l’intera cittadinanza a non indugiare oltre nel portare in solenne processione le sue ossa perché sacro rimedio contro la pestilenza. Il 9 giugno di quell’anno, con sontuosi apparati in cattedrale e lungo il percorso processionale, la città di Palermo celebrò per la prima volta il trionfo di Santa Rosalia, divenuta la sua principale patrona. L’intercessione per la salvezza dalla peste, promessa con la processione delle reliquie, assicurava tutti sull’immediato esaurirsi del contagio, pertanto quel giorno l’intera cittadinanza vi partecipò senza alcun timore o indugio. Nel corso di cinque giorni si susseguirono con un serrato programma più eventi che la precedettero e la seguirono, tanto religiosi che di giubilo, questi ultimi volti ad alleviare le sofferenze patite dai palermitani 9. Il quattro settembre seguente, tradizionale ricorrenza liturgica di Santa Rosalia, il cardinale dichiarò la città liberata dalla peste, ma lo fece troppo affrettatamente, giacché il contagio ebbe una coda prolungatasi ancora per circa un anno 10.

 Tra il mese di luglio del 1624 e il mese giugno del 1625, l’esimio porporato mise in campo le migliori forze a sua disposizione per sostenere il culto della Santa, dato che della neo-patrona di Palermo si conosceva poco o nulla.  Il suo stesso nome prima della peste era declinato dal popolo in vari modi, sebbene quello ufficiale fosse “Rosolea”, così come aveva scritto a chiare lettere nel 1617 l’emerito padre gesuita Ottavio Gaetani (1566-1620), decretandone il suo stato ‒ vergine anacoreta ‒ la data della sua festività ‒ 4 di settembre ‒ il luogo di origine del culto ‒ Palermo ‒ e l’anno presunto della morte ‒ 1160 11. Né come Rosolea, né con altro nome era però iscritta nel Martirologio Romano, l’elenco ufficiale dei santi riconosciuti dalla Chiesa che ne avalla il culto urbi et orbi, un problema questo non da poco, dato che non erano più i tempi di una volta in cui con molta facilità si proclamavano i santi per acclamazione; bisognava pertanto fare canonizzare l’antica eremita con uno scrupoloso processo di accertamento. Per risolvere la delicata faccenda, il cardinale Doria si rivolse agli Oratoriani e ai Gesuiti di Palermo e nella fattispecie a padre Giordano Cascini che, in breve tempo, mise insieme un dossier agiografico di tutto rispetto. Di Rosolea aveva rintracciato gli ignoti natali, essendo stata figlia di Sinibaldo Sinibaldi conte di Marsi, signore della Quisquina e della Montagna delle Rose, come la stessa aveva testimoniato incidendo di suo pugno un’epigrafe dentro una grotta esistente nei domini paterni, dove si era rifugiata prima di passare in quella di Monte Pellegrino presso Palermo. L’iscrizione fu scoperta casualmente quaranta giorni dopo il rinvenimento delle ossa. L’anacoreta del Gaetani era stata dunque una donna di alto rango, senz’altro avvezza a frequentare la corte del re normanno e per di più con ascendenze imperiali, dato che i Sinibaldi di Marsi formavano uno dei rami dell’albero genealogico di Carlo Magno. La svolta di vita della nobile giovane per amore del Signore era la prova inoppugnabile della sua santità. Palermo aveva riscoperto così una concittadina di nobilissimi natali, degna patrona di una città che si fregiava dell’epiteto di Caput Regni et corona regis. Nessuno però ne aveva più memoria sebbene prima della peste la si fosse rappresentata come una giovane e bella fanciulla riconoscibile dalle nobilissime vesti 12. Il rinvenimento delle sue ossa dentro la grotta palermitana impose una nuova iconografia, quella che ce la rende ancora oggi ben riconoscibile: una giovane dai lunghi capelli biondi sciolti, vestita di povero saio da cui pende una corona di rosario, con il crocifisso in mano e, accanto a lei, un teschio. Per non farla confondere con altre sante eremite le trovarono altri due attributi più specifici: i fiori della rosa e del giglio. Rosae e lilia rimandano al nuovo nome coniato per lei; è bastato cambiare due vocali al nome Rosolea per rendere così univocamente riconoscibile Santa Rosalia in questa immagine (Fig. 1). Il cardinale Giannettino Doria, subito dopo la processione, perorò con forza presso la Congregazione dei Riti l’iscrizione della Santa nel Martyrologium romanum, a quel tempo in corso di aggiornamento da parte dei padri oratoriani della Vallicella 13. Per la santa causa si avvalse delle ricerche storico-documentarie che aveva compiuto padre Cascini, il cui primo breve compendio in latino, poco più che un opuscolo, fu pubblicato nel 1631. L’opera inizia con una dedica al porporato che, in nome dell’intera cittadinanza palermitana, aveva ottenuto da papa Urbano VIII il non scontato riconoscimento ufficiale della nuova Patrona. Nelle cause di canonizzazione dei primi santi della Controriforma fu prassi far stampare oltre all’agiografia del candidato santo anche una vita iconibus expressa, ovvero una raccolta d’immagini ufficiali per promuovere il culto tra i fedeli 14. Si fece anche con Santa Rosalia. Il cardinale Doria, o chi per lui, ricorse ai Gesuiti di Roma. Nel 1627 fu dunque pubblicata la Vita S. Rosaliae virginis panormitanae. L’opera è composta di sole tredici tavole, più l’antiporta, su matrici incise da “Valeriano Regnartio”, ovvero il belga Valérien Regnard, un incisore ben noto ai Gesuiti giacché aveva in precedenza realizzato oltre all’antiporta della storia dell’ordine ignaziano dell’Orlandini anche le vite per iconibus dei Santi Ignazio di Loyola e Francesco Saverio, pubblicate in occasione della loro canonizzazione congiunta nel 1622 15. Nell’antiporta dell’edizione della vita di Santa Rosalia del 1627 16 è riportata una lunga titolazione in cui si ricordano il rinvenimento delle sacre reliquie e il loro successivo riconoscimento avvenuto nell’anno giubilare 1625 sotto la guida pastorale del vescovo Giannettino Doria (Fig. 2). Il cappello cardinalizio con l’aquila nera coronata, emblema del suo glorioso casato, domina la pagina. Di fianco due angeli reggono tondi in cui si ravvisa in uno il rinvenimento del masso in cui si trovarono incastonati i sacri resti mortali, con l’iscrizione: ROSAS LATENTE EXPLICATA; e nell’altro la venerazione tributata loro dai palermitani dopo il riconoscimento, con l’iscrizione: IRAE TONANTIS OB IICIS. In fondo alla pagina un cartiglio incornicia la Sicilia su cui vegliano figure angeliche e tutto intorno vi gira l’iscrizione: QUIBUS TRIQUETRA LANGUIDAM LEVES CAPUT IGNEAS IN AMICAS TELA CONVERTIT ROSAS. Le tavole del volumetto iconografico illustrano gli episodi salienti della vita terrena della Santa 17 e le antiche immagini che di questa si veneravano prima dell’estate del 1624. Alcune di tali figure fecero da modello alle scene inserite a ornamento nella seconda arca-reliquario d’argento del 1631 18 (Fig. 3). Le tavole numerate da I a XIII non seguono un vero e proprio ordine narrativo. Apre la serie la Santa Rosalia tratta dall’icona un tempo posseduta dalle monache del monastero palermitano della Martorana 19 (Fig. 4). Questa immagine fu un rompicapo per l’agiografo Cascini perché la rappresentazione della Santa in vesti monacali 20 ‒ dell’ordine benedettino o piuttosto basiliano ‒ poteva contraddire il suo essere stata una eremita, dubbio sciolto dallo stesso gesuita con il rimando alla tradizione iconografica di altri antichi eremiti rappresentati con vestimenti monastici 21. Per il sacro rispetto dovuto alla più vetusta delle immagini, la Santa Rosalia che svetta sull’urna in forma di statua d’argento riproduce fedelmente la figura riprodotta nella tavola I (Fig. 5). La successiva mostra invece la riproduzione del dipinto di Riccardo Quartararo (1443-1506) che si venerava a Palermo nella cappella eponima all’Olivella 22, opera oggi esposta nella Galleria Regionale di Palazzo Abatellis (Fig. 6).  Il dipinto su tavola, oltre ad essere la seconda immagine più antica della Santa, offre un documento utile alla sua agiografia: con la benedizione di Maria e del suo santo Figlio la giovane decise di abbandonare una vita agiata che le garantiva il suo rango di figlia del conte di Marsi. Due angeli le porgono ciascuno il bastone da pellegrino e il santo rosario (Fig. 7). Ritiratasi presso una grotta nei domini del padre, a imperitura memoria vi lasciò incisa l’iscrizione con il suo nome e le generalità, così come si legge chiaramente nella scena illustrata nella tavola III (Fig. 8). La tavola IIII mostra la Santa in vesti di pellegrina condotta da due angeli dalla Quisquina in Aercte montis 23 (Fig. 9).  A questa immagine si è ispirato con evidenza il pittore Vincenzo La Barbera (1577-1642) per il dipinto della chiesa Santissima Annunziata di Caccamo datato 1624 24 (Fig. 10). Le vesti con cui è abbigliata la Santa sono quelle stesse un tempo riprodotte nell’immagine che ornava una delle mensole del tetto della cattedrale, non più esistente, ritenuta pertanto dal Cascini ulteriore attestazione del tradizionale e antico culto di Rosalia a Palermo 25. L’opera del La Barbera, benché artisticamente modesta, costituisce un documento di eccezionale valore iconografico, sebbene ancora poco studiato 26. Azzardo l’ipotesi che potrebbe essere questo il dipinto della Santa commissionato dal Senato palermitano nel 1624 allo stesso pittore, ritenendo invece quello del Museo Diocesano 27 ‒ tradizionalmente riferito alla commessa ‒ del 1625. L’ipotesi è più che plausibile considerando che tra il rinvenimento delle reliquie (15 luglio), la commissione del dipinto (27 luglio) e la sua consegna (24 agosto) era trascorso poco più di un mese: un tempo troppo esiguo per avere sviluppato dal nulla l’iconografia ufficiale di una santa della cui vita ancora si conosceva poco e considerando che il riconoscimento delle ossa avvenne solo nel febbraio dell’anno successivo. A mio giudizio la creazione di una nuova immagine ufficiale dovette avvenire piuttosto tra febbraio e giugno del 1625. Nel dipinto del Museo Diocesano Santa Rosalia ha assunto la sua ben nota moderna iconografia, una immagine che è stata adottata da tutti, compreso il celebre pittore Antoon van Dick 28. Su tale questione dissente anche Fiorenza Rangoni; non ritenendo il La Barbera un artista all’altezza del compito cui sarebbe stato chiamato, avanza l’ipotesi che la nuova iconografia della Santa sia piuttosto scaturita dalla sinergica collaborazione di van Dick con il padre gesuita Cascini, collaborazione ad oggi non documentata, ma giustificata dai precedenti stretti legami che il pittore fiammingo ebbe con l’ordine ignaziano ad Anversa e a Roma 29. L’iscrizione riportata in calce sulla tavola IIII rimanda l’immagine rappresentata ad un originale in scultura un tempo nella terra di Bivona, dove Rosalia è ancora oggi venerata come patrona e una sua statua è portata in processione entro un monumentale fercolo 30. Sono in tutto cinque le figure 31 tratte da testimonianze iconografiche ante peste custodite nella cittadina della diocesi di Agrigento, nel cui territorio ricade la Montagna delle Rose, uno dei domini dei Sinibaldi 32. Nella tavola V la Santa è raffigurata in preghiera dentro la grotta di Monte Pellegrino (Fig. 11), il sacro luogo dove visse ritirata sino al giorno della sua morte. Nelle successive VI e VII tavola le immagini propongono un tema iconografico pre-peste che non ha avuto seguito in Sicilia, ovvero quello dell’offerta dei fiori come segno di preghiera.  La prima è tratta da un perduto dipinto che si trovava collocato sul soffitto della chiesa della confraternita di Santa Caterina all’Olivella (Fig. 12), il luogo a Palermo in cui si era tramandato il culto della Santa poiché ritenuto l’antico giardino annesso alla casa paterna. La seconda immagine (Fig. 13) è invece tratta «ex ferculo Bivonensis» ovvero dalla citata macchina processionale. Il tema dell’offerta di fiori sarà ripreso nel 1629 da van Dick nel grande dipinto commissionatogli ad Anversa, diffondendosi nelle Fiandre grazie anche all’incisione tratta da Paulus Pontius 33 (1603-1658) (Fig. 14).  Le tavole VIII e VIIII propongono scene di vita eremitica presso l’antro di Monte Pellegrino facendo vedere Rosalia immersa nella preghiera, ora invocando la santa Madre di Dio per contrastare le tentazioni del demonio (Fig. 15), ora affidandosi al Crocifisso con la recita del Rosario 34 (Fig. 16). Le successive tavole X e XI affrontano invece un altro tema iconografico ricorrente prima della peste, quello delle nozze mistiche, raffigurato con la simbolica incoronazione della Santa, più spesso con corona di rose. Entrambe le immagini riproducono antiche tavole pittoriche custodite anche queste a Bivona ma non più esistenti (Fig. 17); di una è riportato l’autore e la data: Tommaso De Vigilia 1494 (Fig. 18). Quest’ultima incisione, con evidenza, ha fatto da modello di riferimento al prima citato dipinto di van Dick, realizzato in occasione dell’arrivo ad Anversa di una reliquia di Santa Rosalia (agosto 1629), inviata ai Gesuiti delle Fiandre dallo stesso padre Cascini cui, come lo stesso testimonia, «havea mandato prima la vita disposta in imagini» 35, dunque l’edizione del Regnard del 1627. Ultima immagine dedicata alla vita terrena della Romita è il santo trapasso che la colse nella postura suggerita dalla disposizione delle ossa ritrovate nella grotta di Monte Pellegrino, mostrata nella tavola XII: distesa, con una mano sorregge la testa e con l’altra tiene il crocifisso e la corona del rosario (Fig. 19). Chiude la rassegna la tavola XIII tratta da un perduto dipinto ‒ di autore e data incerta ‒ allora in possesso del principe di Leonforte, don Nicolò Placido Branciforti, ai tempi della peste pretore a Palermo, dunque, insieme al cardinale Doria 36, responsabile nella gestione dell’epidemia e tra i primi ferventi promotori del culto civico di Santa Rosalia. In questa immagine la vediamo rappresentata coronata di rose e vestita di candida tunica ornata con un giglio, condotta per mano da un angelo al suo sacro sposalizio in cielo (Fig. 20).

L’opera agiografica di padre Giordano Cascini ‒ completa di testo e immagini ‒ com’è noto fu pubblicata postuma nel 1651 37. Le originarie quattordici lastre matrici del Regnard furono riutilizzate con l’aggiunta di altri sette rami ‒ dei quali resta ignoto l’autore – modificandone però l’originaria numerazione a partire dalla IIII, sebbene il nuovo ordine non segua poi una disposizione progressiva nel testo 38. Le tavole aggiunte sono la IIII, appunto, in cui la Santa è raffigurata in procinto di lasciare la grotta della Quisquina per trasferirsi in quella di Monte Pellegrino, immagine anche questa tratta da una «sculptura Bivonensi». La tavola XV mostra le cinque sante patrone librarsi sopra la città di Palermo raffigurata a volo d’uccello. Le tavole XVI e XVII illustrano rispettivamente i siti delle grotte di Monete Pellegrino e della Quisquina. La tavola XVIII mostra l’albero genealogico della prosapia di Carlo Magno al cui apice è posta Santa Rosalia. Infine, altre due tavole sono senza numerazione, introducono ciascuna il secondo e il terzo libro dell’edizione del 1651. Nella prima troviamo una Santa Rosalia in abito monacale sopra un piedistallo in cui è riportato: DISCORSO HISTORICO DELLA VITA DI SANTA ROSALIA VERGINE PALERMITANA. L’affiancano due colonne ornate di rose in cui sono esposti medaglioni con le effigi di tutti gli altri antichi santi palermitani. Ai piedi, entro un cartiglio, vi è la città di Palermo con l’iscrizione: FELIX BEATAS EDUCAT SOLUM ROSAS.  Sui piedistalli delle colonne troviamo, a destra l’aquila coronata, emblema della città di Palermo, a sinistra lo stemma araldico dei Sinibaldi conti di Marsi con le sei cime sormontate da una rosa.  La seconda tavola, contrassegnata in basso a destra da una croce, mostra le sante Rosalia, Agata, Ninfa e Oliva in primo piano e sullo sfondo la città di Palermo dominata da Monte Pellegrino. L’antiporta dell’edizione del 1651 sfrutta la stessa matrice dell’edizione del 1627 ma con alcune sostanziali modifiche. Sulla lastra originaria fu abrasa la lunga iscrizione per sostituirla con il titolo dell’opera, facendo così sparire anche il riferimento all’autore delle stampe: “Valeriano Regnartio”. L’aquila coronata dal cappello cardinalizio ‒ emblema proprio di Giannettino Doria ‒ fu commutata in quella del Senato palermitano cui è dedicata la fortunata edizione che ha diffuso nel mondo il culto di Santa Rosalia, la nobile eremita di Palermo che fu per tutti i devoti ovunque in pestis patrona.

  1. Sulla peste cfr. V. Auria, Successi nel tempo della peste in Palermo; Relazione nella maniera che osservò la città nell’anno 1624; G.B. La Rosa, Alcune cose degne di memoria; D. Cannata, Esequie del serenissimo principe Filiberto, tutti in Biblioteca Storica e Letteraria di Sicilia, a cura di G. Di Marzo, vol. 2, Palermo 1869, pp.97-111, 113-167 e 270-272, 293-307.[]
  2. S. Cabibbo, Santa Rosalia tra cielo e terra, Palermo 2004.[]
  3. Vita s. Rosaliae virginis panormitanae è tabulis è parietinis situ, ac vetustate obsitis è saxis ex antris e ruderibus caeca olim oblivione consepulitis nuper in lucem evocatis vix demum eruta aeneisque tabulis tantisper adumbrata dv ad historico stylo splendorem accipiat…, a Valeriano Regnartio, Roma 1627; G. Cascini, De vita, et inventionie S. Rosaliae, Palermo 1631; Idem, Di Santa Rosalia vergine palermitana libri tre, Palermo 1651.[]
  4. F. Rangoni, Anton van Dick a Palermo, i Gesuiti e Santa Rosalia, in A la luz de Roma. Santos y santidad en el barroco hiberoamericano, a cura di F. Quieles García-J. G. García Bernarl-P. Broggio-M. Fagiolo Dell’Arco, Sevilla España, 2020, pp. 247-264.[]
  5. Cfr. A. Mongitore, Bibliotheca Sicula, vol. I, Palermo 1707, pp. 369-370; G.M. Mira, Bibliografia siciliana ovvero gran dizionario bibliografico delle opere edite ed inedite, antiche e moderne di autori siciliani o di argomento siciliano stampate in Sicilia e fuori, vol. I, Palermo 1875, p. 190.[]
  6. Biblioteca provinciale dei Frati Minori Cappuccini di Bologna, inventario BO0342.[]
  7. https://www.digitale-sammlungen.de/en/view/bsb00082564?page=,1 (2022).[]
  8. Originale delli testimonij di Santa Rosalia, Palermo 1997.[]
  9. Cfr. Biblioteca Comunale di Palermo, Relazione del sontuoso apparato con la meravigliosa e non più vista processione fatta nella città di Palermo del glorioso corpo di S. Rosalia nel dì 9 giugno 1625 di lunedì con l’ordine di tutti gli stendardi, e bare, e conventi, e clero, con lo numero di tutte le persone, le quali intervennero ad accompagnare dette gloriose sante reliquie, manoscritto del sec. XVII, Qq_C_75; F. Paruta, Relatione delle feste fatte in Palermo nel M.DC.XXV per lo trionfo delle gloriose reliquie di S. Rosalia vergine palermitana, Palermo 1651.[]
  10. Il Seicento e il primo festino di Santa Rosalia. Fonti e documenti, a cura di E. Calandra, Palermo 1996.[]
  11. O. Gaetani, Idea operis de vitis sanctorum siculorum, Palermo 1617, pp.18, 78, 132.[]
  12. G. Cascini, Di Santa Rosalia…, 1651, p. 311.[]
  13. Santa Rosalia è iscritta con le sue due date festive: il 15 luglio, ricorrenza del ritrovamento delle sue ossa; 4 settembre, suo tradizionale dies natalis. C. Baronio, Martyrologium romanum Gregori XIII Ponti Max. iussu editum, et Urbani VIII auctoritate recognitum, Roma 1630, pp.343, 438.[]
  14. R.S. Noyes, On the Fringes of Center: Disputed Hagiographic Imagery and the Crisis over the Beati moderni in Rome ca. 1600, in “Renaissance Quarterly”, vol. 64, no. 3 (Fall 2011), pp. 800-846, htpps:// www.jstor.org/stable/10.1086/662850?origin=JSTOR-pdf (2022).[]
  15. N. Orlandino, Historiae Societatis Jesu, Roma 1614; S. Ignatii Loyolae Soc: Iesu fundator a Valeriano Regnartio delineata et sculpta, copia digitale consultabile  presso la biblioteca di Monaco di Baviera: https://www.digitale-sammlungen.de/en/view/bsb00003880?page=,1 (2022); S. Francisci Xaverii Indi Ap.li Societ: Iesu quendam miracula, a Valeriano Regnartio delineata et sculpta, cfr. J. Iturriaga Elorza, Hecos prodigiosos atribuidos a San Francisco Javeren uno grabados del siglos XVII, in “Príncipe de Viana”, a. 55, n. 203 (1994), pp.467-511.[]
  16. Nell’antiporta si legge: “Roma superiorj permissu An.° 1627”.[]
  17. Tavv. III, IV, V, VIII, IX, XII.[]
  18. Cfr.  M.C. Di Natale, L’arca d’argento, in Sanctae Rosaliae Patriae Servatrici, con contributi di M. Vitella, Palermo 1994, pp. 11-80, consultabile anche on line: http://www.oadi.it/larca-dargento/ (2022).[]
  19. G. Travagliato, Ex tabula omnium antiquissima… Alle radici dell’iconografia moderna di Santa Rosalia, in G. Travagliato-M. Sebastianelli, Il restauro della tavola antiquissima di Santa Rosalia del Museo Diocesano di Palermo, Palermo 2012, pp.15-43.[]
  20. P. Palazzotto, La Patrona contesa. L’iconografia di Santa Rosalia e le dispute della committenza religiosa a Palermo da Van Dick a De Matteis, in Rosalia. Eris in peste Patrona, catalogo della mostra a cura di V. Abbate-G. Bongiovanni-M. De Luca, Palermo 2018, pp.61-71.[]
  21. G. Cascini, Di Santa Rosalia…, 1651, pp. 299-320.[]
  22. C. D’Arpa, Architettura e arte religiosa a Palermo: il complesso degli Oratoriani all’Olivella, Palermo 2012.[]
  23. Ercta era l’antico nome di Monte Pellegrino, cfr. G. Cascini, Di Santa Rosalia…, 1651, p. 3.[]
  24. Caccamo è un antico e importante centro della provincia di Palermo prossimo a Termini Imerese, la città portuale da cui proveniva il La Barbera, cfr. G. Mirabella, Un architetto del Senato termitano tra XVI e XVII secolo, Palermo 2008. Il dipinto è stato attribuito al La Barbera con la probabile collaborazione dell’allievo Francesco La Quaresima, cfr. M.C. Di Natale, scheda n. II,5, in Le Confraternite dell’Arcidiocesi di Palermo – Storia e Arte, catalogo della Mostra a cura di M.C. Di Natale, Palermo 1993, pp. 146-147.[]
  25. «Ella è qui à foggia di Pellegrina con una vesta di color bianchiccio, e smorto come della cenere, & un mantelluccio morato, e scolorito fino alla cintola, che le avvolge, e ricopre le spalle, e le braccia affibbiato sotto il collo. Tiene nella destra avanti al petto la Croce», cfr. G. Cascini, Di Santa Rosalia…, 1651, p.12.[]
  26. Catalogo generale ragionato dei beni artistici e monumentali della città di Caccamo. La chiesa parrocchiale SS. Annunziata di Caccamo e gli altri edifici di culto, Bagheria (PA) 2008, p.46.[]
  27. E. D’Amico, scheda, in Rosalia. Eris…, 2018, p.141.[]
  28. Van Dick in Sicily. 1624-1625 painting and the plaugue, catalogo della mostra (Londra 15 febbraio – 27 maggio 2012), a cura di X.F. Salomon, Milano 2012.[]
  29. Cfr. F. Rangoni, Anton van Dick…, 2020; Eadem, Lo sposalizio mistico di Santa Rosalia nella chiesa del S. Salvatore a Vercanna. Un problema risolto? Con alcune considerazioni sulla elaborazione dell’iconografia rosaliana di Anton van Dick (2a parte), in Quaderni della biblioteca francescana di Dongo, 24.2013, 70, pp. 54-65.[]
  30. La statua lignea del 1601 è attribuita al poco noto scultore Ruggero Valenti probabile autore anche del fercolo monumentale in cui sono riprodotte a basso rilievo scene della vita della Santa, cfr. Arti decorative in Sicilia, a cura di M.C. Di Natale, vol. II, Palermo 2014, p.599.[]
  31. Tavv. IIII, V, VII, X, XI.[]
  32. Federico III d’Aragona concesse il castello di Bivona con il suo ricco feudo a Corrado Giovanni Doria, grande ammiraglio del regno. Di secolo in secolo passò dunque in altre casate: ai Chiaromonte, cui si riferisce l’introduzione del culto della Santa; ai de Luna, che se ne investirono per primi del titolo di duca elargito dall’imperatore Carlo V e infine ai Moncada, cfr. S. Cabibbo, Santa Rosalia …, 2004, pp.173-185.[]
  33. Sulla diffusione del culto di Santa Rosalia nelle Fiandre e sulla sua differenziata iconografia è in corso un mio studio di prossima pubblicazione. []
  34. Il rinvenimento di alcune sferule tra le ossa delle mani della Santa fece ipotizzare al Cascini e ai teologi che le analizzarono una pratica molto più antica della recita del rosario, per questo la corona fu assunta come altro suo attributo distintivo, cfr. G. Cascini, Di Santa Rosalia…, 1651, pp. 253-259.[]
  35. G. Cascini, Di Santa Rosalia..., 1651, p. 400.[]
  36. Con la morte del viceré Emanuele Filiberto di Savoia, deceduto per peste il 3 agosto 1624, il vescovo assunse d’ufficio l’incarico di Luogotenente e Presidente del regno.[]
  37. Per le immagini rimandiamo alla copia acquerellata disponibile online su google libri: https://www.google.it/books/edition/Di_S_Rosalia_vergine_Palermitana_libri_t/tBDHSQqmYhIC?hl=it&gbpv=1&dq=cascini+rosalia&printsec=frontcover (2022).[]
  38. Di ciò si dà giustificazione nell’ultima pagina della pubblicazione.[]